Davide
Dopo l’esordio “Bossa storta”, gli Squarcicatrici ritornano con un secondo omonimo album… Gran bel disco tra jazz, etnica cosmopolita, folk balcanico e tutto il resto! Vi ho sentito dentro le lezioni che vanno da Egberto Gismonti a Jan Garbarek, da Vinicio Capossela a un Frank Zappa, da Anthony Braxton a John Zorn, da ecc. ecc. a Squarcicatrici, cioè in sostanza una personalissima summa libera di suonare non “una”, ma “la” musica come pare… e piace (esattamente come coloro che ho citato più sopra). Dopo l’esordio di “Bossa storta”, puoi parlarci di questo progetto e di questo ensemble? Chi ha suonato, come nasce e quali obiettivi artistici si prefigge in particolare?
Jacopo
MI fa piacere vedere come ogni persona che si è espressa su questo album abbia indicato nomi sempre diversi. Forse è una delle dimostrazioni che Squarcicatrici suona La musica, come dicevi tu. Il gruppo si evolve costantemente, libero di suonare quello che gli va e di cambiare idea quando e come gli pare. Chi ci vede dal vivo adesso forse direbbe che suoniamo afrojazz, più vicino a Dudu Pukwana e Johnny Diani che a John Zorn e Capossela.
Spendo due parole sulla genesi di Squarcicatrici: avevo delle canzoni che avevo registrato suonando tutti gli strumenti da solo, ma mi ero stancato di questa sterilità isolazionista. Allora ho chiesto a vecchi e nuovi amici di suonarle insieme, riregistrando tutto in maniera professionale ma solo in case, senza studi di registrazione. Questo è stato “Bossa Storta”, uscito su Saravah, la storica etichetta francese che dagli anni ’60 ha prodotto un cantautorato sghembo fatto di Brigitte Fontaine con l’Art Esemble of Chicago, Jacques Higelin, Steve Lacy eccetera. A quel punto avevo voglia di suonare queste canzoni dal vivo e abbiamo formato una band per farlo. Con Matteo Bennici, Andrea Caprara, Piero Spitilli e Riccardo Bartolozzi, il primo di una lunga serie di batteristi, tra cui anche Jonathan Burgun (Radikal Satan), Simone Tecla, Andrea Belfi (Rosolina Mar), Enzo Rotondaro (Ronin). La band è dunque un quintetto non aperto ma mobile, con ospiti che si sono uniti per una sera o un tour (Enrico Antonello, Raphael Anker, Thollem McDonas) e braccia aperte a cercare sempre più lontano.
Davide
Sei prossimo a un lungo periodo in tour da febbraio fino a giugno. Di cosa si tratta? Quante date sono previste e in quali città e paesi? Chi ti accompagnerà?
Jacopo
In realtà sono più tour che si incatenano l’uno con l’altro. Si parte con l’Enfance Rouge con l’ensemble maghrebino (At-tufula al Ahmra) per una serie di date in Spagna e Francia, poi alcune date con Squarcicatrici in Italia, una settimana di lavoro col Jealousy Party per chiudere il prossimo album in studio (Mercato Centrale), una data in solo chitarra e voce, altre due settimane con l’Enfance Rouge in trio in Francia e Belgio, tre settimane come batterista di Miss Massive Snowflake (la band di Shane de Leon, ex cantante dei Rollerball) in Germania, Olanda, Francia e Italia, poi tre date con Squarcicatrici nel nord Italia e subito ripartenza oltreoceano. Poi ci sarà il resto!
Davide
E’ in uscita anche un altro lavoro. Puoi anticiparci qualcosa?
Jacopo
Sarà un lavoro con una band avantpunk anch’essa nata tra le mura di Nipozzano, con Andrea Caprara, Matteo Bennici e Thollem McDonas. Affronta la guerra dal punto di vista di chi la subisce. Abbiamo già registrato anche il terzo volume, che uscirà probabilmente entro la fine del 2010, e parla di chi lavora per fermare i conflitti. È un gruppo molto sanguigno, diretto, anche qui un sacco di musica diversa che converge in una forma canzone di impatto.
Davide
Viaggi molto, fai molti concerti e molti incontri? Anche per te la cosa più pericolosa da fare è rimanere immobili, come scrisse William Burroughs…? O come per il nomade il movimento è moralità, perché senza movimento i suoi animali morirebbero, così per te senza il viaggio morirebbe la musica in un artista (per parafrasare Chatwin)? Cosa sono per te il viaggio e la musica?
Jacopo
Punti di vista molto interessanti. Di sicuro non riesco a star fermo se non per brevissimi tratti, e comunque anche quando sono a casa tutto ruota intorno alla musica (soprattutto trovare concerti per poter partire di nuovo). Non vedo una particolare relazione tra la musica che faccio e i viaggi, anche se mi capita di comporre “a mente”, guardando una persona su un treno o ascoltando il suono di una nave che salpa. Il viaggiare mi fa sentire leggero, per diluire la pesantezza che altrimenti mi porto dietro da sempre. Però considera anche che ho preso la patente un anno fa (e ne ho 37) e ho comprato il mio primo furgone da un mese. Ho camminato tanto e forse questa è la dimensione del viaggio che mi è più consona.
Ieri ho letto una frase che più o meno diceva “contro l’odio e il razzismo spegni la televisione ed esci per strada”. Parlare con qualcuno che non conosci è sicuramente la base dell’accrescimento personale.
Davide
Ti conosco anche come inventore e auto-costruttore di strumenti musicali… per esempio il clarinetto supercontrabbasso (è il contrabajissimo?)… L’ho visto in una fotografia e l’ho anche sentito suonare. E poi il basstarra… Puoi descriverceli? Hai fatto altri strumenti?
Jacopo
Quando ero piccolo non avevo soldi per comprarmi degli strumenti, quindi mi sono arrangiato con quello che trovavo per casa. Mi sono costruito una chitarra a tre corde col filo per i panni, amplificata con una cassa di autoradio, strumenti a fiato con tubi forati, percussioni con pentolini vari eccetera. Il Contrabajissimo erano due corde da chitarra classica e tre pezzi di legno messi insieme per avere una cosa fretless con cui produrre quei suoni glissati che mi avevano affascinato ascoltando alcuni contrabbassisti (quello di Astor Piazzolla e Roberto Bellatalla ad esempio). Il Clarinetto Supercontrabbasso invece è uno degli ultimi esperimenti con i tubi di forassite (quelli da canaline elettriche). La foto a cui ti riferisci probabilmente è la versione da 6 metri, che però non dava le soddisfazioni di quello da 60cm. La Basstarra invece era una chitarra con la paletta spappolata comprata in un negozio a cui ho messo corde da basso elettrico e da chitarra elettrica, allargando dei fori. Ci ho fatto qualche concerto e un album intero (Jack Andrews & his unidentified oneman big horny blues band), ora la uso per il suono rugginoso delle corde superstiti.
Davide
Se è arte, non è per tutti. Se è per tutti, non è arte… (Arnold Schönberg). Cosa ne pensi?
Jacopo
Io non credo nell’arte elitaria. L’avanguardia come posizione così avanti da risultare solo brutta non mi interessa. L’arte è un bisogno di ogni essere vivente, e preferisco comunque quella che non è chiusa nell’accademia o in un museo, dove muore. Quello che mi interessa è l’azione, fare e per tutti, senza ghetti. La famiglia (con tutti i suoi rapporti incestuosi) invece della scena. Quello che fai dovrebbe far riflettere e crescere, dovrebbe far diventare te e chi ti ascolta più intelligente, mettendovi in discussione, farti ballare e avvinghiato al tuo nuovo vicino imparare un odore nuovo, una nuova mossa di ballo, un’ispirazione. E l’arte di per sé non è né un valore né un diritto. Suonare la chitarra per chi zappa tutto il giorno, un lavoro socialmente utile. O fare dell’house per chi esce la sera dopo aver lavorato in un call center. Fare un film per alleggerire il peso della vita, farti sognare con le foto di un paese lontano, farti venire voglia di andarci, cambiare vita e andarci a vivere, imparando una nuova lingua. A questo dovrebbe servire l’arte, e dovrebbe servire a tutti.
Davide
Hai scritto che un giorno potresti diventare veramente cattivo… E allora… Cosa potrebbe farti diventare veramente cattivo? E cosa faresti esattamente in tal caso? Smetteresti di suonare o cosa?
Jacopo
Io sono permaloso, rancoroso, faccia di merda, polemico, stucco (è un termine toscano, ma ora non saprei come tradurlo). Quando non riesco più a tenere a bada i miei lati negativi, è tempo per DJ Faccia di Merda di venire allo scoperto. Potrei smettere di creare legami, chiudere i contatti con tutti, eliminare anche solo la possibilità di un dialogo. Oppure passare all’attivismo diretto, mettere le bombe, andar a distruggere le banche. Ma l’importante è tenere a bada il proprio lato nichilista.
Davide
Squarcicatrici è anche il titolo di un tuo testo…
“guardami mi fa guardami – che cazzo non ti piacciono le mie cosce? non più? Guarda mi sparo guardami le cosce mi fa non ti piaccio più? mi sparo all’inguine – mi sparo alla testa guardami mi fa e io gli occhi spappolati mi sparo dentro mi fa guardaaaaami! Non più? perché non mi dai un bacio qui sulla tempia? ci sparo sopra – stronza guardami qui – mi ci sparo tutti i giorni dammi un bacio sulla canna della pistola e io no che fai t’ho detto baciami qui tra le dita e il grilletto piango – anch’io piango vieni qui leccami il grilletto e poi BAM!”
Hai anche scritto molto. Puoi parlarci della tua scrittura offrendoci un breve passo, dei versi che senti tra le tue cose migliori, una buona sintesi che rappresenti e racchiuda il tuo stile?
Jacopo
Difficile questa… ho smesso di scrivere nel 1999, senza nessun motivo, non mi è venuto più nulla. Anche i pochi testi per le canzoni di questi ultimi album mi hanno richiesto tempi enormi, mentre prima bastava carta e penna. Quindi te ne parlo come se parlassi di un’altra persona, di un altro tempo.
La mia scrittura è sempre stata improvvisativa. Sessions di macchina da scrivere e foglio di carta, buona la prima, simile al calligrafo che scrive con un solo movimento del polso. Non mi sono mai messo a scrivere con l’intento di parlare di qualcosa, sono le storie che sono emerse da sole, esattamente come in un’improvvisazione musicale dal vivo. La forma è questa specie di prosa poetica, lontana dal flusso di coscienza come dall’endecasillabo. Ho pubblicato con AssCultPress tanti titoli, dalla pagina fotocopiata con quattro testi al libretto di 60 pagine stampato in 200 copie. Squarcicatrici è innanzitutto quel testo, che poi è diventato un cortometraggio, e infine il titolo dell’ultima raccolta pubblicata.
Ho ritrovato questo, improvvisazioni in chiave femminile basate sull’ascolto dell’album degli Starfuckers, uscite all’epoca in un formato molto particolare e mai ristampate.
INFRANTUMI
ho partorito mia figlia mentre ero ubriaca.
mi sono sempre sentita invischiata con le mani o con i piedi in qualcosa di più grande di me, che non potevo controllare o fuggire – mi sono imbarcata in un viaggio all’estero come sedermi al bar a bere.
ho sentito vibrare tutto dentro di me – pulsazioni del cazzo ossessive e tonde – porticine che si chiudono
respiri
senza allontanarmi mai ho respirato l’aria di quello che poteva essere altrove – di martedì – strappato alla valigia trafitta da quella picca medievale scovata nella cantina piena di ragni e pidocchi in cui nella seconda guerra mondiale ci rifugiavamo dalla luce del giorno troppo spessa
sacrificata continuamente e premuta da schiaffi sul viso e colpi di tosse lontani – sentivo ronzare le orecchie spesso e niente di così insulso come quella carne sopra a strusciare e slabbrare come brace sudicia
costruivo le giornate a sentimenti sovraesposti magra e bianca e nuda contratta secchiata d’acqua a nessuna temperatura sulla mia pelle morfinica che parrebbe tagliente le ossa del bacino ne stirano la superficie e mi piaccio
mi scordo le cose si riavvolgono i ricordi sbagliati di quel che non è successo quei treni persi per un piede pesante di chilometri assonnati le canzoncine che mi ricordo di non so chi la faccia improvvisa dietro una porta di un angolo tra i miei passi lenti frammentati incerti pestati incespicosi falsi in queste strade bianche di gesso impauriti sfasciati in salita dei muscoli traditi felici
sto in piedi pensierosa cerco di schianto un’idea apposta dietro la prossima onda che sbatte indistinta sfrigolando la polvere con le dita sopra piatti dipinti d’argento che si sbreccano tra le onde corte di una radio lasciata a macerare sul fondo e l’omino dentro la mia testa sente un suono dietro la schiena e sente di svenire con gli occhi che stirano nervi per il contrario mi arriccio le maniche e vibro tutta a squarciagola mentre sono pezzi della mia pelle che volano intorno a quel tuo sussultare di formica stupida persa nei fili di una radiolina cruda messa sul cranio che stronca primitivi battere ineguali e strafelice mi sbatto per terra fruttuosa e desta nel guazzabuglio introverso che resta a girare sempre qui sempre qui come melodia spersa
ho l’impulso qualunque di pietrarmi in cucina a far da mangiare sorridendo a uno zero che mi paga l’affitto e io mi tocco i capelli pieni di bestie di cemento e fragole ma mi accingo a tornare a casa a toccarmi di nuovo piena di farisei tra ascella e maglietta
dimmi l’orecchio sinistro spostato gelato che inizia nell’acqua cucita negli occhi aperti sempre dicevi che sono storta e cruda giù per strada lecco le vetrate su cui poggi il riflesso e canto spenta friabili insistenti tranci di note
bambini studiati a ripetizione si incagliano sotto le unghie dell’organista lesbica che mi trapana la giugulare con la lingua mentre cerca di toccarmi l’anima che non le darò mai che non troverà passandomi attraverso che incaglierò sul fondo fino a che non mi strappo il collo all’indietro e mi batti sul petto e la schiena per farmi respirare aria asmatica febbricitante sento che si spenge che se ne va sotto la camicia a quadretti celesti stirata male vedo i resti del pranzo di ieri avvinghiati dentro un castello infeltrito di buio stratosferico una guardiola silenziosa di notte non mi fa sentire al sicuro quando mi tocchi senza cercarmi
schiaffi su tutto il corpo mentre rido e dita negli occhi per andare altrove stretta intorno a un angolo che mi imprigiona nella stessa città magnetica stupida che mi schiaccia tra due fette di ferro a panino frullato in due secondi fuori da questa finestra schiusa alla calura indistruttibile del sole dimenticato acceso troppo a lungo un teatro vuoto e una luce per terra mi fan sentire di tavola di legno cocciuta sparisco nella piega
in un rituale stridente ti lego a un palo e io pure con i vestiti e le forbici impazzite che spargono brandelli ovunque soffocati cianotici qui senza parole adesso vibro ancora e ancora di un blu elettrico secco e mattutino alzo il volume e crepo la bocca piena di ancora rosso e friàto di grandi calamari stronzi pigiati fra pareti di caucciù cantano roba dei paesi loro senza capirci un cazzo
riempio i flutti di sputi mentre si sbriciolano le lacrime io monto un urlo e lo distruggo a morsi respirando a strappi senza ascoltare lo strusciare indisponente gracchia a 28 giri e non c’è più la puntina seppellita nell’eco di questa buca scavata dal mio respiro a fatica stendo il ronzìo trasportato inscatolato e svanisco
(Starfuckers, Infrantumi, 44:02)
Davide
Parlaci della tua Frigorifero produzioni. Anzitutto cos’è, di cosa si occupa e come? Cosa c’è in arrivo?
Jacopo
Frigorifero è da sempre stato principalmente l’output per le mie musiche. Partita nel 1992 con cassette (tra il demo e la pubblicazione più seria), cresciuta nel periodo in cui si scambiavano cassette con gruppi ed etichette simili in tutto il mondo (Stati Uniti, Regno Unito, Giappone, Ungheria, Finlandia, Belgio…), approdata ai primi cd-r alla fine degli anni ’90, messa in pausa (a parte coproduzioni di cd e vinili) in tutti gli anni 2000 per vari motivi, sto cercando di farla ripartire adesso con una serie di session di improvvisazione e composizione fatte con Gi Gasparin, Thollem McDonas, Jooklo duo, Lubuaku, Terrastatic e Starfuckers, alcune già pronte, altre previste per il 2010. E’ stato un buon metodo per creare dei contatti con tantissime persone, conoscere, imparare, crescere e a volte pagare le bollette, perché no? Ho da sempre pensato che avere un’etichetta indipendente, legale o meno, sia salutare, esattamente come fare una fanzine, e molto di più che tenere un blog. Prendersi dei piccoli rischi facendo le cose come vuoi tu e non come si dovrebbe. Inventarsi qualcosa che non c’è. E creare un dialogo.
Davide
E la AssCult Press?
Jacopo
AssCultPress è stata per anni una cosa simile, portata avanti con Simone Molinaroli, David Napolitano, Andrea Betti, Rocco Traisci e altri scrittori. L’idea era di fare da soli, pubblicare i nostri scritti quando e come volevamo, senza dover chiedere il permesso a nessuno. Ci siamo impegnati per farli circolare il più possibile attraverso reading, più di un centinaio in ogni tipo di situazione. Abbiamo cooptato dai poeti/barboni dei primi del novecento l’idea di stampare un foglio con pochi testi urgenti, poca spesa e poche rimanenze ma grande incidenza. Di alcuni titoli abbiamo superato le 500 copie, forse più di molti altri poeti contemporanei che pagano case editrici squalo per tenersi scatoloni di libri in cantina.
Adesso AssCult prosegue soprattutto con l’attività di Simone Molinaroli, ma collaboriamo ancora in varie forme. Ho continuato a musicare alcuni reading o a curare le registrazioni di collaborazioni con dj o gruppi musicali. Si ritorna al concetto di famiglia incestuosa.
Davide
Qualcuno ha scritto di te (fu a proposito di “Vs. 900 vol. 1”) che dal vivo batti 10 a 0 le tue registrazioni, dato il tuo approccio alla musica in perpetuo divenire e mai sintetico verso la tua opera (ONQ, Succo Acido). Non concordo del tutto; quanto meno con questo Squarcicatrici ho trovato un disco perfettamente compiuto, capace di bastare a se stesso. Per un artista a cui piace soprattutto improvvisare, la registrazione rappresenta una forma di limite, quasi di imprigionamento? Come affronti il momento dell’esecuzione fotografata, consegnata a una sola possibile riproduzione?
Jacopo
Sono d’accordo con entrambi. Suonare dal vivo mi dà un’adrenalina che mi permette di strafare, producendo un’energia (termine che odio, ma tant’è) che non si riesce a mettere su un disco, e che anzi talvolta è proprio sbagliato mettere su un disco. L’album di Squarcicatrici, come Bossa Storta, come vs900, esplora la composizione e forse per l’1% l’improvvisazione. Squarcicatrici è stato SOVRAINCISO al 100%, ci tengo a dirlo. Non ci sono due persone che abbiano suonato contemporaneamente. La metà dei pezzi sono stati creati registrandoli. C’erano magari serie di accordi, melodie o vaghe strutture, ma in molti casi la forma è data dalla stratificazione. E’ stato un lavoro molto lungo, ben diverso da quello di fotografare una band su un repertorio che sta eseguendo dal vivo. Gli album di improvvisazione li ho fatti (ad esempio quello pubblicato da RAITrade con Scott Rosenberg e Arrington de Dionyso) e continuo a farli ma sono diventato molto più esigente, forse perché io per primo non riesco più ad ascoltare dischi di questo tipo, a meno che non siano di maestri (La Caita, Hamza el Din, Munir Bashir, Roscoe Mitchell e la lista potrebbe ovviamente continuare)
Davide
Secondo Bakunin, il movimento Anarchico è caratterizzato da due tipi di esponenti: Distruttori: sono coloro che, mediante la ribellione (sia di tipo politico sia di tipo rivoluzionario) distruggono l’autorità costituita e l’ordine vigente. Creatori: sono coloro che, sulle macerie del vecchio mondo si dimostrano in grado di apportare benefici al nuovo, diffondendo l’idea anarchica e favorendo la sua instaurazione
Da un punto di vista musicale, artistico, intellettuale, a quale delle due categorie senti di appartenere maggiormente?
Jacopo
Braxton a queste due figure aggiunge quella di chi conserva la forma appena creata, prima che venga distrutta di nuovo. Avrei voluto tanto far parte dei Creatori, ho tentato sicuramente di far parte di Distruttori, ma alla fine mi sa che mi toccherà un posto nell’enorme schiera dei Conservatori.
Davide
Delle molte decine di dischi che hai fatto (una settantina?), quali indicheresti tra quelli essenziali e fondamentali per conoscerti? Quali ritieni quindi i migliori?
Jacopo
Come sempre i prossimi! Abbiamo un sacco di pezzi per il prossimo Squarcicatrici, il prossimo Tsigoti è già registrato, il prossimo Enfance Rouge, il prossimo Jealousy Party in studio, quello appena iniziato a registrare con Gi Gasparin. Sono però affezionatissimo per motivi anche e soprattutto extra-acustici ai dischi dei Nando Meet Corrosion, Bz Bz Ueu, Nicotina & the Legs, E-NEEM e a tutte quelle registrazioni che non sono diventate niente (I Trellocoritzi, un trio pomeridiano con Claudia Cancellotti e Matteo Bennici, un concerto con Michel Doneda, delle sessions con Arrington e Scott ai Dub Narcotic studios…)
Davide
Per concludere… Nella quotidianità, cosa rispondi a chi non sa tanto di musica, quindi alla maggior parte delle persone, quando vengono a sapere che suoni e fai dischi, e ti chiedono che musica fai?
Jacopo
Potrebbe essere una buona domanda per cambiare finalmente quella biografia che hai messo all’inizio e che risale a 12 anni fa… adesso dico che suono un po’ di tutto, sia come strumenti che come generi. E che riesco a sopravviverci, ma non a camparci come si deve. Ma forse non mi va davvero di vivere come si deve!