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Purgatorio – Ilaria Palomba

4 min read

Alter Ego Edizioni (Viterbo, 2025)

pag. 205

euro 18.00

Dopo aver letto Vuoto avevo pensato d’aver letto uno dei libri più estremi che potessero esser scritti, da “Dissipatio H.G.” del Morselli a questa parte – per intenderci; epperò ho dovuto adesso far i conti – come si suol dire – con l’uscita del romanzo “Purgatorio” (ovviamente) sempre scritto dalla poetessa e scrittrice nata in Puglia e cresciuta a Roma, Ilaria Palomba. E la vedo subito, che s’aggira per le mie terre. Per esempio a salutare il mio amico e poeta fra i massimi che ci sono: Alfonso Guida. A San Mauro Forte. Basilicata. Alla giusta e sacrosanta distanza con San Mauro di Romagna, la San Mauro Pascoli, appunto, della tradizione dei calzaturifici e del poeta giovane per sempre, Giovanni Pascoli. Il romanzo s’apre con “Clozapina”, il capitolo che sconvolge, almeno a me intanto, soprattutto quando parla del punto di vista delle infermiere dell’ospedale dove l’autrice era stata ricoverata dopo il suo tentativo di suicidio. “L’analista mi confida: Ora sei umana, prima eri troppo, perciò nessuno ti sopportava. Non si tollera di una donna la bellezza, l’intelligenza, l’insubordinazione, il talento”. Ecco la presentazione d’Ilaria Palomba. Fuori di dubbio resta il fatto che nei giorni dell’avvenimento, anzi quasi nello svolgimento dell’atto, nonostante da lontano, sono stato con altre e altri quasi testimone. Ed ecco che ora con tanta paura addosso leggo questa confessione di Palomba, che in verità confessione proprio non è. Della sua vita. Della scrittura. Di questo stiamo parlando. Come per le più grandi autrici e i più grandi autori. Quelli che si tengono nella parola in ogni secondo. E in ogni circostanza. “Sono consapevole, ma ciò non cambia l’agire, è tutto mentale. Ho bisogno di legami osceni, ma non in senso erotico, nel senso del superamento dei confini dell’identità”. Proprio come accadeva durante le nottate salentine. Oltre il concetto stesso di perdizione. Prima di pensare, Palomba scrive. Candida e spudorata. “Questa casa era la memoria dell’ipotesi di noi”: con questa frase, con questo tipo di frase, Ilaria Palomba ricorda a noi esseri umani d’essere piccoli piccoli. Lei che promette l’amore in un’ossessione. Ma che, soprattutto, con due termini riesce ad uscirne. Per entrare in una delle voci della letteratura. “Sto attraversando il deserto, da decenni, decenni, ore è la notte del corpo, l’anima rinasce dal fondo, sa sempre dove volgersi, vive altrimenti”. Il corpo è rotto. La redenzione del corpo è lunga. Durante questa fase la voce sta ascoltando tutte le altre persone incontrare nelle stanze delle cure mediche. Durante la valutazione del suo, suo di lei certo, rapporto con H.: “Era rimasta la coscienza di esserci senza esserci. Camminavo in tutti i modi possibili per mantere il ricordo di ciò che ero stata, ma scivolava da tutte le parti”. Qualche giorno fa a Bologna ho conosciuto una giovane cantante che m’accennava quasi scherzando al suo ricovero dopo una crisi. Ed ho pensato a quel momento d’Ilaria. E sono corso a leggere questo nuovo libro suo. Questa nuova meraviglia della sua opera poetica.

 

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