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Perchè dedicarsi alla lettura di Lovecraft?

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Perchè dedicarsi alla lettura di Lovecraft?

Howard Phillips Lovecraft è, senza mezzi termini, il nome più importante della letteratura fantastica del XX secolo; è colui che ha travolto i luoghi comuni e rivoluzionato lo stantio immaginario del genere, che solo allora stava faticosamente cominciando a uscire dalle trite e ritrite rielaborazioni della triade fantasmi-vampiri-lupi mannari, imprimendo una decisa accelerazione all’ampliamento di prospettive della narrativa soprannaturale; è colui che, a parole e forse anche nell’animo ligio all’autorità ed all’irraggiungibile esempio dei maestri Poe, Blackwood, Machen o Dunsany, è stato in realtà capace di sintetizzarli tutti e nel contempo trascenderli e superarli di gran carriera; è colui che ha saputo fondere elementi a prima vista antitetici, quali un profondo attaccamento alla dimensione localistica della sua narrativa (e della sua vita in primis) ed un contemporaneo sguardo visceralmente cosmico sulla realtà, quale nessun autore prima di lui aveva saputo proporre.
Per chiunque ambisca a farsi una cultura nell’ambito della letteratura fantastica in genere, Lovecraft è un punto fermo ed un passaggio obbligato; ma anche il cultore della fantascienza più classicamente intesa o dell’orrore più tradizionale troverà pane per i suoi denti, almeno in settori specifici del corpus lovecraftiano, e dovrà ringraziarlo per aver imposto quel cambio di rotta che avrebbe in seguito portato la fantascienza lontana dai puerili esordi caratterizzati dalla mera trasposizione su altri pianeti di vicende, emozioni e storie tipicamente umane, verso la definizione di creature aliene veramente aliene, tanto dal punto di vista fisico quanto da quello delle motivazioni e dei sentimenti. Senza di lui, tutto quello che avremmo avuto sarebbero stati forse i variopinti umanoidi di Star Trek, ma non i terribili ed implacabili aracnoidi di Alien: e questo la dice lunga. Il porsi a cavallo fra narrativa fantastica e fantascientifica ha reso Lovecraft unico e gli ha consentito di innovare tanto un genere quanto l’altro, rendendo poi possibili (e talvolta ispirando direttamente) gli sviluppi ai quali entrambi sono andati incontro nei decenni a venire.
E questo se vogliamo limitarci al Lovecraft-narratore: perché un universo altrettanto affascinante ma assai meno noto ci si schiude se decidiamo di dedicarci al Lovecraft-epistolario, ossia all’autore di veri e propri saggi di stile e di erudizione nei quali i temi più disparati (umanistici come scientifici: letteratura, astronomia, sociologia, politica e quant’altro) sono affrontati con piglio da polemista, cultura enciclopedica ed atteggiamento lucidamente cinico e disincantato a beneficio dei fortunati che ebbero modo di corrispondere con lui nel corso degli anni. Lovecraft è stato talvolta definito, e potrebbe non essere un azzardo, come uno fra gli uomini più voluminosamente documentati della storia dell’umanità. Delle circa centomila (!) lettere di cui si rese autore nel corso delle sua vita sopravvive solo una parte irrisoria, eppure sufficiente a riempire pagine su pagine e a svelarci di volta in volta aspetti nuovi ed interessanti della sua affascinante personalità.
Chi scrive coltiva da anni una passione profondissima per questo autore, nata dalla lettura delle sue opere ma maturata definitivamente anche tramite la lettura del suo epistolario e dalla condivisione della stessa visione sostanziale del mondo. Per me Lovecraft non è solo un maestro della letteratura fantastica ma anche un pensatore instancabile, un formidabile erudito ed un lucido critico della realtà che lo circondava: un personaggio dunque degno di essere scoperto o riscoperto in toto nella sua assoluta attualità.

Cosa leggere della produzione di Lovecraft?
Lovecraft nel corso della sua carriera ha scritto molto, ma non moltissimo. Gran parte del suo impegno è stato canalizzato nella corrispondenza piuttosto che nella narrativa, cosicché la raccolta completa di quest’ultima risulta occupare solamente quattro volumi nell’edizione italiana: ciò è dovuto anche alla particolare predilezione dell’autore per la forma del racconto, solo verso il termine della sua carriera evolutosi tutt’al più in romanzo breve.
Possiamo facilmente (e semplicisticamente, ma in questa sede spero mi si vorrà perdonare questo schematismo in virtù del suo valore esplicativo) individuare nella carriera lovecraftiana almeno tre fasi, abbastanza omogenee anche cronologicamente ma differenziabili soprattutto tematicamente: per comodità le indicherò qui come la fase tradizionale, quella onirica e quella matura.
La fase tradizionale rappresenta gli esordi di Lovecraft nel mondo della letteratura (permettiamoci qui di escludere i primissimi lavori di gioventù realizzati già a partire dal chiudersi dell’Ottocento), ed occupa pertanto la prima parte della sua vita estendendosi all’incirca fino ai primi anni Venti. In questa fase egli si concentra sulla forma del racconto breve, dallo svolgimento semplice eppur mai banale e dal rapporto stretto ma mai asfissiante con una visione abbastanza ‘classica’ dell’orrore della quale troviamo illustri referenti in Edgar Allan Poe e nel filone gotico. Sebbene parte di essa verrà giudicata poi in termini tutt’altro che lusinghieri dallo stesso Lovecraft, che d’altronde non smetterà mai i panni di severissimo censore della propria intera opera, la produzione di questi anni si rivela in ultima analisi come la più accessibile del corpus, in virtù di una certa immediatezza che non viene mai meno nonostante l’indugiare già deciso dell’autore in un linguaggio rifinito ed elegante e nel ricorso ad espedienti tesi a costruire una suspence crescente mano a mano che le storie procedono verso la propria conclusione. Seppur buone candidate a rappresentare il primo approccio all’opera del maestro di Providence, è bene chiarire fin d’ora che questi primi racconti non ne testimoniano invero lo stile più proprio ed effettivamente passato alla storia con l’aggettivo "lovecraftiano". Ciò non toglie che soprattutto episodi come The Tomb (1917), Facts Concerning the Late Arthur Jermyn and His Family (1920), From Beyond (1920), The Outsider (1921, un classico dell’estetica lovecraftiana), The Music of Erich Zann (1921), Herbert West, Re-Animator (1921-22) meritino certamente una lettura attenta e regalino indubbie gratificazioni; per non parlare poi delle vette più alte raggiunte dal Lovecraft ‘tradizionale’, in The Rats in the Walls (1923) o in The Shunned House (1924), in cui però la capacità ed il malcelato piacere di padroneggiare un background storico o pseudo-storico di alto livello parlano già di un momento successivo nell’evoluzione stilistica in atto.
La fase onirica¸ che pure attraversa trasversalmente un po’ tutta la sua carriera, si può collocare grossolanamente tra la fine del secondo ed il terzo decennio del secolo; dal momento in cui Lovecraft si imbatte nell’opera di Lord Dunsany fino al canto del cigno rappresentato dal lungo ed elaborato The Dream-Quest of the Unknown Kadath (1926-27). Folgorato dalla capacità di Dunsany di evocare paesaggi onirici, sospesi tra realtà e fantasia (nonché, ma sarà più evidente con il passare degli anni, conquistato dalla sua idea di costruire un vero e proprio pantheon immaginario ed auto-referenziante e di calare così le vicende narrate sullo sfondo di un’ipotetica mitologia di ampio respiro), Lovecraft si gettò anima e corpo nel tentativo di cristallizzare le suggestioni oniriche, nelle quali egli stesso era da tempo immerso, nello stesso stile immaginifico e magico del suo illustre modello. Questo sforzo rappresenterà un capitolo ben preciso della sua carriera, che seppur gravido di riflessi e creditore di elementi poi ripresi negli anni successivi rimarrà sostanzialmente (ma non completamente, va da se’) isolato ed isolabile dal resto della produzione. In questo caso possiamo in parte condividere l’inevitabile scetticismo di Lovecraft, non tanto nella sua pretesa incapacità di eguagliare l’abilità di Dunsany quanto piuttosto nel constatare la discutibile efficacia del mezzo scelto (il racconto onirico) per tradurre compiutamente le idee e le intuizioni di cui egli si sentiva portatore: difficile inoltre non notare un certo appesantimento ed una consistente sfocatura laddove questi quadretti onirici si dilatano fino alle dimensioni di un romanzo breve, come nel caso del già citato The Dream-Quest of the Unknown Kadath che sicuramente non brilla per uniformità interna e brillantezza di esposizione. Racconti quali Polaris (1917), The White Ship (1919) o Celepha s (1920) costituiscono un buon esempio di quello di cui stiamo parlando, e per quanto privi del respiro che renderà immortali le opere posteriori testimoniano dell’innegabile abilità dell’autore anche alle prese con un modo letterario comunque inadatto ad esaltare in pieno le sue capacità. Ed in fin dei conti Lovecraft rimane pur sempre un sognatore che trae dalla sua ricca vita onirica immagini potenti da trasferire nella propria letterature, al di là di qualunque esempio o indicazione esterna che possa essergli arrivata da Lord Dunsany come da chiunque altro.
L’ultima fase matura è aperta programmaticamente da The Call of Cthulhu (1926), per quanto in realtà fosse già stata anticipata in alcuni aspetti perfino da Dagon (1917) e comunque non fosse priva di specifici precedenti significativi nemmeno nell’ambito di altri titoli della sua produzione; ma si dovrà attendere gli ultimi anni Venti e soprattutto i primi Trenta perché lo stile ad essa abbinato produca i suoi frutti più maturi e mostri di aver assimilato le sperimentazioni alle quali Lovecraft si dedicò con minuziosità durante quegli anni.
La maturità lovecraftiana non assume ne’ i tratti di una rivoluzione ne’ quelli di uno statico seppur raffinato conservatorismo: si colloca invece a metà fra i due estremi, caratterizzandosi per la suprema sintesi di quanto fin lì prodotto più l’incorporazione di elementi nuovi e peculiari. L’approfondita ed erudita ricerca storico-paesaggistica nel delineare le ambientazioni; lo sviluppo vorticoso ma coerente del pantheon immaginario, di derivazione ormai solo vagamente dunsaniana; la raggiunta padronanza di uno stile letterario maestoso e dall’incedere massiccio, unito ad un senso del climax assai perfezionato; il ricorrere di personaggi ‘colpevoli’ di aver indugiato troppo a lungo nello studio di testi esoterici esacrabili (vedi il celeberrimo Necronomicon) e nella pratica di rituali dalle conseguenze incontrollabili, o di avere in ogni caso sollevato il velo su una realtà che meglio sarebbe stato lasciare nascosta ad occhi umani; il delinearsi di una remota preistoria terrestre popolata da esseri alieni, talvolta dagli attributi ambiguamente semi-divini (ambiguità che poi spianerà purtroppo la strada alla mistificazione dell’intera opera lovecraftiana operata dal discepolo August Derleth, che vorrà inquadrarla in uno schema di derivazione cristiana di lotta perpetua fra il Bene ed il Male in realtà del tutto estranea alla visione originale dell’autore), un tempo padroni del nostro pianeta e produttori di un sapere che ancora oggi filtra fino a noi con effetti spesso oscuri e potenzialmente apocalittici; il tutto reso coerente ed accettabile non solo da un approccio estremamente sobrio, scientifico e quasi ‘clinico’ alle vicende, ma soprattutto dal costante riferimento ad una vera e propria teoria della narrativa soprannaturale che Lovecraft era andato elaborando dallo studio delle autorità nel campo, e che aveva enunciato nel suo testo dottrinario The Supernatural Horror in Literature nonchè in numerosi passaggi della sua corrispondenza. A coronamento di quanto è stato qui accennato giungono i capolavori assoluti quali The Case of Charles Dexter Ward (1927), The Dunwich Horror (1928, invero famoso forse oltre i suoi effettivi meriti soprattutto se riletto alla luce di quanto seguirà), The Whisperer in the Darkness (1930), At the Mountains of Madness (1931), The Shadow Over Innsmouth (1931) o The Shadow Out of Time (1935): lavori in cui l’ampio respiro garantito dalla forma del romanzo breve consente a Lovecraft di dispiegare pienamente il lirismo della sua prosa e di sviscerare gli aspetti più reconditi e minacciosi del suo mondo fantastico. Pur richiedendo pazienza ed attenzione nella lettura, ed essendo francamente improponibili a chi abbia già deciso che dopotutto Lovecraft non fa per lui, questi lavori ricompensano il lettore con l’elargizione di profonde emozioni e con la trasmissione di un terribilmente efficace senso di lontananza, tanto temporale che spaziale, capace di assicurare un potentissimo senso di momentanea astrazione dalla realtà o, parafrasando lo stesso Lovecraft, di "cosmic outsideness".
Giunti al termine di questa breve panoramica, è opportuno chiarire comunque che il lettore non troverà mai cesure interne di alcun genere nella produzione fin qui descritta: lo stile di ogni autore muta impercettibilmente da opera ad opera, cosicché non è affatto raro trovarne alcune in cui siano compresenti elementi che solo a posteriori noi possiamo eventualmente giudicare come caratteristici di questo o quello specifico periodo. L’amore per la propria terra natia e la ricerca di un soverchiante senso di alienità sono ad esempio due fattori che accompagnano l’intera produzione lovecraftiana, e solo il modo ed il grado in cui si dispiegano possono indurci a ritenerli elementi validi per la definizione di scansioni tematico-temporali all’interno di essa: ma esse sono pur sempre il frutto del lavoro e delle emozioni di uno stesso individuo, che sicuramente non andava scrivendo i propri testi in funzione di qualche ipotetica scansione temporale o tematica quale noi oggi possiamo intravedere.


(Continua…)

Fabrizio Claudio Marcon

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