Anche se il panorama della lirica può contare su diversi interpreti, sia maschili che femminili, stimati da critica e pubblico per le loro doti vocali e teatrali, sulle dita di una sola mano si possono contare quelli entrati nella leggenda: una di questi era Gina Cigna. Caratteristiche sulle quali poteva contare erano gli studi di pianoforte compiuti a Parigi, un temperamento drammatico non comune e una personalità certamente inusuale per le cantanti di allora: arrivava alle recite in Torpedo aperta, infischiandosene degli spifferi, e guidava personalmente un’Alfa "Soffio di Satana", pur non avendo pretese da primadonna.
Il ruolo a cui la ricordiamo più legata fu Turandot: lo interpretò quasi 500 volte, insieme a un’altra settantina di personaggi in tutti i maggiori teatri del mondo: dal Colòn all’Arena di Verona, dal Metropolitan al Covent Garden passando ovviamene per la Scala. Una disciplina ferrea caratterizzava tutto il suo lavoro; il suo stile incontrava pienamente il gusto dell’epoca ed è considerata la prima dei soprani "di forza", oggi rappresentati, ad esempio, da Alessandra Marc. Odiava la pratica del "portamento", tecnica di esecuzione che consiste nel passare da un suono a un altro sfiorando rapidamente tutti i suoni intermedi: in questo modo molti interpreti mascherano i problemi di passaggio da registri gravi a quelli acuti e viceversa.
Prima di una recita a Vicenza ebbe un incidente automobilistico e già dal ’47 dovette abbandonare la carriera per dedicarsi all’insegnamento; molti i nomi dei suoi allievi famosi: Fiorenza Cossotto, Marcella Pobbe, Ghena Dimitrova, Luis Lima. Apprezzava la Freni e la Kabaivanska.
Il Corriere della Sera le aveva donato, l’anno scorso, una medaglia commemorativa e alla Scala l’hanno ricordata con un minuto di silenzio; sarebbe bello che anche gli altri luoghi, enti, istituzioni, persone che l’hanno ospitata, vista crescere, studiare, lavorare si ricordassero di lei.
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Gina Cigna, 1900-2001
Alessandro Melotti