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19° Torino Film Festival

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19° Torino Film Festival

Appuntamento fisso di novembre, il Torino Film Festival, giunto quest’anno alla 19a edizione rappresenta a tutto diritto, per importanza e per presenze, la seconda rassegna cinematografica dopo quella di Venezia.
A giustificare tutto questo, il festival del Cinema Giovane 2001 si è ulteriormente ampliato, con l’incremento delle sale di proiezioni, affiancando alla collaudata Multisala Reposi, anche la Multisala Massimo. Ed anche quest’anno, noi di Kult c’eravamo, pronti, pur di darvi notizie dei film, anche a "rubare" posti riservati dal regista Mario Martone.
A parte questa nota curiosa, a Torino non ci sono mai particolari episodi da segnalare, in un festival che nonostante l’importante presenza di registi e attori, non fa della mondanità una sua caratteristica, ma piuttosto della qualità. Personalmente, ritengo questa, dopo quattro anni, la migliore edizione a cui ho assistito, valutando sempre il breve periodo di mia permanenza qui. Fra i film visionati, tre nel concorso ufficiale lungometraggi, tre buone pellicole che rappresentano tre cinematografie estremamente diverse fra di loro: l’americano "Ghost World" di Terry Zwigoff, il danese "Et Rigtig Menneske" di Ake Sandgren, e l’italiano "Giravolte" di Carola Spadoni.
"Ghost World", prodotto da John Malkovic, è un classico film indipendente americano, dal ritmo comico, ma dai contenuti tutt’altro che leggeri, ancora una volta proiettato ad analizzare il complesso mondo giovanile. Storia di due ragazze, nell’estate che segue la fine delle scuole superiori, alle prese con il loro futuro, insoddisfatte della società e delle persone che le circondano, in una noiosa cittadina di provincia assolutamente omologata ai valori consumistici dell’america contemporanea. L’incontro con uno strano personaggio (Steve Buscemi) anch’egli annoiato e disilluso, con piccole passioni da collezionista, porterà le due a capire le proprie differenze, e ad intraprendere ognuna, un proprio cammino separato, disattendendo i sogni comuni pianificati durante il periodo scolastico.
"Et Rigtig Menneske" è un film "Dogme" che racchiude in sé tutte le caratteristiche del manifesto programmatico dei registi interessati a quel progetto: telecamera a mano, storia contemporanea, luce naturale ecc…
La vicenda, quasi favolistica, mette a nudo i problemi di una famiglia "moderna" e le difficoltà dei rapporti personali, nella veloce e incalzante società contemporanea. Una coppia troppo presa dal proprio lavoro, vive con la propria figlia un problematico rapporto familiare. La bambina sostiene di parlare da anni con il proprio fratello maggiore nascosto nel muro di casa, il figlio che la coppia ha rinunciato ad avere, dopo un aborto, anni prima. In un incidente la bambina muore, i genitori si trasferiscono e la casa viene abbattuta. Dalle macerie esce il fratello, che vaga per la città alla ricerca dei genitori. Scambiato per un extracomunitario, non parlando correttamente, il giovane viene portato ad un centro assistenza, dove sarà aiutato ad inserirsi nella società. Ma il suo animo ingenuo e puro non riuscirà ad integrarlo nel mondo impietoso che lo circonda.
"Giravolte" è l’ultimo film girato dall’attore
Victor Cavallo1 prima della sua morte. La pellicola è un piccolo tour metropolitano negli ambienti della Roma popolare: prima un pranzo con amici sotto un ponte sul Tevere, poi al mercato ed infine la sera in un piccolo bar di quartiere. Film genuino ed in alcuni punti estremamente poetico, a tratti vagamente autobiografico, che s’ispira ad un cinema popolare, anche nel modo di girare, il cui esempio, negli ultimi anni, si può trovare nelle pellicole di Matteo Garrone. Omaggio dovuto ad un bravo attore di cinema di "frontiera", ed ad una città, Roma, vista con occhi sinceri, "girata" da Victor Cavallo sul suo motorino, un pò come Moretti in "Caro Diario".
Anche il concorso cortometraggi ha riservato pellicole di buona qualità. Da segnalare soprattutto il vincitore di questa categoria, "Un Oiseau dans le Plafond", della regista svizzera Cèline Macherel. Divertente racconto di un uccello rinchiuso nel proprio orologio a cucù, erede di una tradizione familiare che si protrae di generazione in generazione. Dopo anni, la solitudine e l’inutilità del proprio ruolo lo spingeranno a ritrovare la libertà.
Sensibile da molti anni alle tematiche del lavoro, il Festival di Torino ha assegnato anche quest’anno il Premio Cipputi più che meritato, ad un mediometraggio che ho avuto la fortuna di vedere: "Signorina Fiat" di Giovanna Boursier.
La pellicola è un’intervista a Maria Teresa Arisio, un’impiegata Fiat che dopo 33 anni di fedele lavoro, un autentico amore per l’azienda, sempre presente nella sua vita (figlia di impiegato a Mirafiori), viene licenziata senza troppi ringraziamenti dopo la ristrutturazione aziendale del 1994 che colpisce lei e altri tremila dipendenti. Straordinaria la protagonista della vicenda, che ci racconta senza vendette ma con estrema emozione un pezzo di storia politica e sociale dell’Italia degli ultimi trent’anni.
L’esplosione di un nuovo mezzo cinematografico come il digitale, ha portato indubbiamente il cinema ad una fetta di persone molto più ampia, e ad una libertà espressiva maggiore. Lo stesso Kiarostami che ha presentato a questo Festival il documentario "ABC Africa", girato totalmente in video, è rimasto favorevolmente colpito da questa nuovo mezzo. La premessa serve a spiegare le vere sorprese di questo Festival, la grande quantità di documentari girati nelle varie sezioni collatelari (Italian Spotting, Concorso Doc 2001, Concorso Kataweb, ecc..).
Due su tutti: "Ruas de Sao Paulo" di Tonino De Bernardi e "Paz 77" di Stefano Mordini.
De Bernardi non lo si scopre certamente in questo festival. Gia da alcuni anni habitué di Venezia, Torino, ma anche festival minori, il regista, personaggio straordinario nella sua umanità e nel suo naturale umorismo, ha portato quest’anno un piccolo gioiello di vita vissuta, un atto di amore verso il Brasile ed in particolare la città di San Paolo, che lo ha invitato diverse volte al proprio festival locale.
De Bernardi ci porta dentro le Favelas, ci illustra tutte le contraddizioni ed anche le angosce di un paese ed in particolare di una città, dove il valore della vita è praticamente nullo, e dove ogni fine settimana muoiono, nella sola San Paolo, 70-80 persone. Un occhio critico, ma uno sguardo tenero che esprime un forte amore per il Brasile e la sua cultura.
"Paz 77" è un mediometraggio che illustra la figura di
Andrea Pazienza attraverso il racconto dei suoi amici e colleghi. Ma è anche la ricostruzione di un periodo della nostra storia recente, fatta di lotta politica e fermento culturale, che ha avuto forse il suo apice nel 1977 durante l’occupazione dell’Università di Bologna e degli scontri con la polizia che portarono all’uccisione di un giovane autonomo. Il tutto rivissuto attraverso la penna di Andrea Pazienza e le immagini di repertorio. Il giovane regista ha girato con la curiosità di chi non ha vissuto quei fatti e cerca di capire la portanza culturale del periodo, non solo attraverso l’analisi di un personaggio geniale e della traccia fondamentale che ha lasciato anche al di fuori del mondo fumettistico italiano, ma anche attraverso la musica del periodo (è allora che sono nati gruppi come gli Skiantos o i Gaznevada), e la sperimentazione che usciva da una scuola come il Dams.
Una pellicola che mi ha seriamente incuriosito ed emozionato, un piccolo ricordo simbolo della grande edizione di quest’anno.


Andrea Leonardi

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E’ sua l’immagine sullo sfondo.

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