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Le avventure di Banedon – IX

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Le avventure di Banedon IX
La stanza del rubino

– Hai detto che qui non ci sono trappole, Lorelin?
Ratz stava osservando la porta, in attesa che Banedon riprendesse un po’ di colorito.
– Direi che le uniche difese sono appena saltate addosso a Banedon.
– Quella sporgenza là sopra?
– E’ artificiale, ma non nasconde niente. Probabilmente è stata usata durante qualche scavo.
– Okay. Allora, William, vuoi provare ad aprirla?
Wolf si voltò e afferrò il pomolo, tirando prima verso di sé e poi spingendo. La porta non si mosse nemmeno. Provò a spingere e tirare più forte, senza ottenere risultati. Cercò di ruotare e muovere il pomolo in alto in basso, dapprima più delicatamente per sentire un eventuale scatto, poi con più forza, e non successe niente. Finché, mentre con tutte e due le mani stava tirando verso il basso e verso di sé, il pomolo saltò via e Wolf cadde a terra per lo slancio.
– Hmm… – intervenne Lorelin sopravanzando il barbaro seduto a terra – Era solo un coperchio.
Dove c’era prima il pomolo, infatti, ce n’era ora uno più piccolo e subito sotto il foro di una serratura.
– Okay, lasciate fare a me. State distanti, e tu, Mozart, tienili d’occhio.
Lorelin estrasse nuovamente la propria attrezzatura e cominciò ad armeggiare con la serratura, muovendo impercettibilmente gli attrezzi in varie direzioni senza pronunciare parola, poi si fermò e disse: – Potete stare fermi e non fare rumore? Ho bisogno di silenzio per riuscire ad aprire questa serratura.
Banedon respirava lievemente, ancora appoggiato alla parete. Osservò i compagni, immobili. Quel silenzio stava diventando quasi minaccioso.
– Insomma, chi è che fa questo rumore? Come posso lavorare?
Banedon si voltò perplesso.
– Quale rumore? Siamo tutti immobili.
Lorelin si voltò con aria seccata, e li osservò, tendendo allo stesso tempo le orecchie. La sua abilità di sentire anche i più deboli rumori poteva diventare una seccatura, quando si trattava di conservare la concentrazione. In pochi secondi, tuttavia, l’aria seccata passò e lasciò il posto a un’espressione preoccupata.
– Avete ragione. Non siete voi. Ma ci sono dei rumori.
Lasciò un momento gli attrezzi e fece qualche passo verso la galleria dalla quale erano arrivati.
– Vengono da qui.
– Tu prosegui – disse Ratz avvicinandosi. – Questo atrio è un pessimo posto per nascondersi, siamo troppi. Se riesci ad aprire la porta potremmo essere maggiormente al sicuro.
La ladra lo guardò e valutò il consiglio, poi tornò al lavoro. Wolf si avvicinò al sacerdote ed entrambi tesero le braccia per illuminare più lontano con le torce.
– Non allontanatevi, in ogni caso. Aspetteremo qui qualunque ospite – disse Lorelin.
– Sì, lo sento anch’io – intervenne Banedon – è una specie di lieve gemito… o un ringhio debole. E… sembra che si muova.
– Verso di noi? – chiese Ratz, tendendo le orecchie.
– Direi di sì…
Un ulteriore ringhio, ancora lontano ma udibile da tutti, risuonò nella caverna. Gli avventurieri si zittirono all’istante, voltandosi con volto speranzoso verso Lorelin, che si rese conto dell’improvvisa responsabilità assunta e cercò di affrettare il lavoro.
I click della serratura si alternarono ai sordi ruggiti della cosa proveniente dalla caverna. Entrambi i rumori crescevano di intensità. Il gruppo, tenendo fissi gli sguardi sullo scuro antro rumoroso, indietreggiò lentamente verso la ladra, che, per la fretta, fece cadere i suoi attrezzi. I ringhi erano sempre più vicini…
Lorelin recuperò rapidamente gli attrezzi, mentre Wolf sguainava la spada. Mozart, come se non aspettasse altro che qualcuno da imitare, armò la propria balestra puntandola verso l’ignoto preoccupante ringhio in arrivo. Ratz si ritrasse dietro ai due, stringendo il proprio simbolo sacro e mormorando preghiere. Banedon, ancora confuso, guardò gli altri indeciso sul da farsi, poi si ritrasse verso la parete più lontana.
Un ringhio più forte degli altri fece sobbalzare la compagnia, e sovrastò il rumore della serratura che finalmente si apriva. Ci fu un improvviso silenzio, poi i passi della creatura in avvicinamento gelarono il sangue degli avventurieri.
– E’ aperta – disse Lorelin, nello stesso istante in cui la creatura si affacciava da dietro la curva e si fermava a osservare il gruppo.
La vista era piuttosto preoccupante: un animale vagamente simile a un lupo, ma molto più grosso, di colorito rossiccio e con un’espressione decisamente minacciosa. Emanava un lieve calore, e una voluminosa nube di condensa usciva dalle fauci del mostro.
Ci fu, effettivamente, qualche attimo di panico.
Lorelin raccolse rapidamente gli attrezzi e si tuffò nella stanza buia, sorpassata da Ratz che dopo aver lanciato la torcia verso il mostro le saltò sopra la testa con inaspettata agilità. Mozart scoccò un dardo con la propria balestra colpendo solo di striscio l’animale. Wolf attese immobile e ben saldo sulle gambe ma pronto a scartare eventuali attacchi frontali.
Banedon attese che Lorelin e Ratz si levassero dall’uscio per lanciarsi dietro di loro, e una volta al sicuro invitò i compagni impegnati in combattimento a seguirlo. Mozart ascoltò immediatamente il consiglio del mago, mentre Wolf si accinse a una mossa intelligente – e inaspettatamente altruistica. Per evitare che il mostro si infilasse nella stanza dove già stava il resto della compagnia, si spostò infatti nella direzione opposta alla porta, richiamando l’attenzione del mostro e attendendo il suo attacco; quello non si fece pregare e si lanciò nella sua direzione. Wolf attese fino all’ultimo istante e poi scattò verso la porta roteando al tempo stesso la spada per coprirsi dalle zampate avversarie. Riuscì a subire solo qualche graffio e a infilarsi nella stanza un attimo prima che i compagni chiudessero la porta e ci si appoggiassero tutti insieme contro per bloccarla. Erano immersi nel buio, le torce erano rimaste fuori, cadute o lanciate nella concitazione.
– La spada, Wolf, la spada!
Il guerriero sentì la mano di Ratz che brancolava nel buio per prendergli l’arma, e gliela porse. Il chierico, a tentoni, provvide a piantarla nel pavimento e incastrarla contro la porta, come un cuneo. Nel frattempo Lorelin stava tentando di bloccare nuovamente la serratura. Il mostro caricò più volte, ma l’insieme di spade e spalle riuscì a tenere abbastanza chiusa la porta ed evitare la tragedia. Infine Lorelin riuscì a chiudere a chiave la porta, e tirò un sospiro di sollievo.
– Per qualche tempo dovrebbe resistere – concluse soddisfatta, e si allontanò di qualche passo in attesa di una successiva carica del mostro, che però non arrivava.
– Si deve essere già stancato – propose Ratz – non era poi così…
THUMP!
Una grossa botta smentì l’ipotesi del chierico, e tutti sobbalzarono un’altra volta. Ma la porta rimase chiusa. Poco dopo, il mostro smise di caricare.
– Sì, dovrebbe resistere – azzardò Ratz – siamo prigioneri, ma per il momento al sicuro. Che ne dite di un po’ di luce?
Qualcuno nel buio cominciò a rovistare nella propria sacca, ma Banedon intervenne: – Ci penso io.
Recitò alcune parole a bassa voce; improvvisamente, ci fu una piccola esplosione e un globo luminoso grosso come un’anguria comparve attorno alla mano del mago.
– Bel trucchetto, Banedon – sottolineò Ratz.
– Niente di complicato. Tutti bene?
– Direi di sì – rispose Lorelin, dando un’occhiata ai compagni.
– Che cos’è quel mostro? – chiese ancora il mago.
Mozart, per la prima volta, prese la parola.
– E’ un mostro del sottosuolo. E’ l’animale che chiamano ‘mastino infernale’.
– Dici sul serio? – intervenne Ratz – allora quello che abbiamo visto è niente. I mastini infernali soffiano come i draghi… anche se è un soffio molto meno potente, ovviamente.
– Fantastico. E scommetto che non c’è un’altra uscita… e quello che cos’è?

Banedon si era girato con la propria mano illuminata, per dare un’occhiata ai dintoni. La stanza copriva una piccola area di circa quattro – cinque metri per lato. Vicino alla parete opposta alla porta, al centro, era comparsa una fuggevole luce rossastra, apparentemente sospesa a mezz’aria.
Ratz si avvicinò subito alla luce, infilando nel frattempo le mani in una tasca ed estraendone un paio di guanti di pelle piuttosto eleganti, che indossò. Lorelin seguì rapidamente i passi del chierico, senza nemmeno degnarsi di togliere l’equipaggiamento da scassinatrice che ancora indossava.
– Avvicina quella luce, Banedon.
Il mago si alzò e andò verso Ratz, illuminando meglio la parete. Potè notare allora che la luce rossa non era sospesa, ma appoggiata su un grezzo blocco di pietra cavo, coperto da un pannello roccioso. Una piccola depressione sulla faccia superiore di questo coperchio ospitava la luce… che si rivelò, una volta abituati gli occhi al riflesso luminoso, una pietra grande come un occhio. Le sue numerose sfaccettature riflettevano caoticamente la luce mobile della mano di Banedon.
– Sembra proprio un rubino… è questo che cercavi? – chiese Banedon al chierico.
Ratz finse di non aver sentito la domanda, fissando la pietra e avvicinando la mano.
Lorelin lo bloccò mettendogli una mano sulla spalla.
– Fermò là, chierico. Questa pietra non mi sembra proprio un simbolo magico. Mi sembra solo una sana, preziosissima pietra.
– Ma tu che ne vuoi sapere…
– Non è onesto. Non abbiamo trovato altro bottino e quella pietra da sola vale un mucchio di soldi. Non ho intenzione di andarmene a mani vuote.
– Guarda qui, prima di parlare.
Ratz aveva spostato leggermente il pannello di pietra su cui era appoggiato il rubino, e indicava l’interno del blocco di roccia. Lorelin e Banedon si avvicinarono e videro un buon numero di monete, gioielli e pietre che riempivano fino a metà questa specie di baule.
– Allora? – insistette il chierico.
– Adesso vediamo. Permettimi di contarli.
Lorelin si mise con grande pignoleria a dividere il tesoro e a contare le monete, sotto lo sguardo di Banedon. Ratz, nel frattempo, aveva raccolto la pietra e la osservava con grande attenzione, muovendosi con cautela come se avesse avuto in mano un uovo. Wolf e Mozart se ne stavano in disparte, ciascuno immerso nella cura delle proprie armi.
Infine Lorelin annunciò l’esito.
– Non è un granché. Abbiamo qui cinquantotto monete d’oro, quattro bracciali che varranno una decina di monete d’oro ciascuno, e due collane che potrebbero essere vendute a trenta. Se mi permettete, propongo io una divisione. I bracciali sono molto simili, e potremmo prenderne uno per uno. Io e Mozart ci prenderemo le collane, abbiamo le conoscenze per rivenderle a un buon prezzo… non credo che per voi sarebbe altrettanto facile. Voi due vi dividete le monete e siamo a posto. Che ne dite?
Wolf annuì senza pensarci molto e si avvicinò per reclamare la sua parte. Il bracciale avrebbe navigato nel suo equipaggiamento fino ad essere regalato alla prima donna che se lo fosse portato a letto. Le monete facevano sempre comodo, e quella trentina di monete potevano valere una buona arma nuova. Banedon finse profonda concentrazione, ma l’inesperienza gli impediva di capire se la spartizione fosse stata equa, e se il tesoro fosse valevole dei pericoli corsi. Accettò il bracciale e le ventinove monete, ma non si sentì particolarmente ricco.
– Rattizen.
Il chierico si girò verso Lorelin che l’aveva chiamato.
– Abbiamo diviso il bottino. Ma come hai potuto sentire, è piuttosto scarso. Non posso lasciarti quella pietra senza una spesa da parte tua.
Ratz sospirò e rispose ironico: – Okay, se vuoi prenderla e affrontare il mastino per conto tuo, prego, buon lavoro.
La ladra esitò.
– No… la nostra collaborazione non è ancora finita. Ma voglio una parte del valore della pietra, o dovrai scegliere tra i dentoni del mastino e un pugnale nella gola.
– Cosa credi di…
– Avanti, Ratz – intervenne Banedon – da qui non usciremo se non tutti insieme. E poi sono d’accordo con lei, quella pietra vale molto più di tutto il resto del bottino. Abbiamo corso troppi pericoli, e non è ancora finita. Se vuoi ancora collaborazione, devi promettere una ricompensa.
Il chierico ci pensò su qualche momento, poi decise evidentemente che non era il luogo né il momento adatto per farsi dei nemici.
– Questa non è quella che si dice una condotta esemplare. Ma per dimostrarti che so collaborare…
– … e per salvarti la vita … – si intromise Lorelin.
– … ti offrirò, Lorelin, un ventesimo del valore che il primo gioielliere che troveremo sulla strada darà a questa pietra. Dovrai dividertelo con Mozart o con chiunque vorrai. Non sono disposto a trattare. Se ancora non ti va bene, dovremo combattere.
– Se il mio occhio non mi inganna, un ventesimo del valore di quella pietra mi può bastare. Accetto.
– E io? – intervenne Banedon.
– Noi ci metteremo d’accordo in seguito, se permetti. O sei diventato improvvisamente un mercenario, mago?
– Sono qui solo per i tesori. Così eravamo d’accordo fin dal principio. Non sono venuto a rischiare la pelle per simpatia.
– D’accordo, avrai una ricompensa. Anche a te darò un ventesimo del valore della pietra. Santo cielo.
– Non essere afflitto, Rattizen – lo schernì Lorelin – ti rimane comunque una bella fetta, non trovi?
– A me non rimane niente. Io porterò questa pietra indietro al mio ordine e sarò fortunato se mi pagheranno le spese del viaggio e le vostre ricompense. Ma voi questo non potete capirlo ovviamente.
– Hai ragione, non possiamo capirlo – concluse la ladra infilando nella propria sacca la collana e il bracciale e porgendo gli altri due oggetti a Mozart. – Senti, piuttosto, non mi va che tu tenga la pietra. Potresti in ogni momento cercare di fuggire, soprattutto se riusciamo a uscire dalla grotta.
– Certo, e io invece dovrei fidarmi a farla tenere a te.
– No, non mi aspettavo questo. E’ chiaro che fuggirei – accennò maliziosa. – Diamola invece a Banedon.
– A me?
– Sì. Mi sembri il più onesto di tutti e tre, e non credo che fuggiresti da solo. Finchè la pietra è in mano tua non andrà lontano.
Ratz fece più volte per dire qualcosa, interrompendosi, poi concluse: – Siamo d’accordo. Banedon, ti devo chiedere tuttavia di non toccare la pietra per nessun motivo. E’ molto fragile e se non sai come maneggiarla potresti danneggiarla in un momento. Porgimi la tua sacca, la infilerò io stesso.
Banedon, che si aspettava una maggior resistenza da parte del chierico, rimase un attimo sorpreso. Ma decise alla fine di non dare peso alla faccenda.
– Okay. Grazie per aver chiesto il mio parere. Mettila qua, non troppo vicino al mio libro, che potrebbe schiacciarla. Fatto? Perfetto. Hey, adesso sì che sono ricco. Possiamo andare.


Alessandro Zanardi (continua)

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