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Le avventure di Banedon -VI

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Le avventure di Banedon -VI
Ratz e Wolf


Banedon partì verso il Sud con destinazione Glantri, ma con l’intenzione di non affrettare troppo il suo arrivo. Il mondo era ampio e vario e voleva conoscerlo il più possibile prima di ritrovare Iruben. Perciò non prese cavalli o diligenze, né si diresse a sud per prendere una nave dopo Kren. S’incamminò invece verso Ovest, verso la città di Emyn, con l’intenzione di costeggiare a debita distanza il deserto del Sole Ferito, scendendo verso Glantri lungo vie interne. Accettò i passaggi di mercanti o altri viaggiatori quando ci furono, camminò quando doveva camminare, osservando e respirando l’aria del mondo, con la sensazione che la sua vita iniziava lì. in quei momenti, in quel viaggio. Non aveva fretta, e poteva dirsi felice.
Aveva fatto solo un paio di giorni di viaggio e si trovava a metà strada da Emyn quando una sera, in una locanda, conobbe due persone che nel bene e nel male avrebbero avuto importanza nella sua vita. Furono loro stesse a farsi avanti, avvicinandosi al tavolo dove il giovane stava consumando un bicchiere di vino; quegli uomini avevano evidentemente riconosciuto la sua professione dalle sue vesti e dal suo bagaglio – e ovviamente dal fatto che non portava grosse armi con sè.
Quello che gli si rivolse per primo era un uomo con robuste vesti da viaggio non troppo economiche, e un simbolo sacro che pendeva da una collanina. Banedon capì immediatamente che quell’uomo era un religioso, uno della razza peggiore, secondo lui, quelli che vanno in giro a uccidere, rubare e distruggere in nome di un qualche ordinamento religioso che provvede a pagarli ed equipaggiarli. E alcuni Immortali intercedevano per loro, fornendo alcuni squallidi tentativi di magia. Era un mondo davvero strano, se grandi eroi che avevano raggiunto l’Immortalità potevano permettersi di proteggere simili meschini personaggi.
Si riebbe da questa constatazione amara quando si rese conto che l’uomo lo aveva interpellato.
– Dici a me? – , domandò, dando un’occhiata veloce all’altro uomo. Questi era vestito con un pesante corpetto imbottito, che doveva aver visto tempi migliori: era infatti ricoperto di squarci e macchie. L’aspetto trasandato e sporco, e un certo cattivo odore che emanava, lo classificava come uno di quei nordici capaci solo di menar la spada, sceso nel continente in cerca di gloria e di denaro. Ma il mondo si era evoluto, e Conan era ormai morto e sepolto da secoli. Non c’era più molto spazio per quegli esseri idioti: la scienza stava prevalendo sulla uso della spada. L’arte magica era ormai più importante di qualsiasi altra cosa, di questo Banedon era ampiamente convinto.
– Sì, dico a te. Io sono Ratz, rappresentante del famoso Ordine della Pagoda Lucente di Guimaraes, e questo e Wolf, un mio compagno di viaggio, che viene dal lontano paese di Cassfort. Possiamo sederci con te, e riposarci facendo due chiacchiere?
Banedon esitò qualche attimo, poi decise che non apparivano pericolosi. Il religioso era pericoloso su una più ampia scala sociale, non certo nei suoi confronti. In quanto all’altro, non aveva ancora aperto bocca, e probabilmente l’avrebbe fatto solo per divorare un grosso pezzo di pollo arrosto.
– Sedetevi pure.
Ratz, il religioso, si sedette di fronte a lui. Wolf si appoggiò pesantemente al fianco di Ratz.
Chiamando l’oste, il nordico si fece portare – come previsto – un grosso piatto di carne arrosto e un boccale di birra, mentre Ratz fece portare un bicchiere vuoto e una bottiglia di vino.
– Allora, come ti dicevo io sono un rappresentante dell’Ordine della Gondola Lucente di Guimaraes… – attaccò Ratz. A Banedon qualcosa stonò, ma non ci fece molto caso. Lo ascoltava distrattamente.
– Sono stato mandato dal mio ordine a compiere una sacra e delicata missione in un posto poco a Sud di questa provincia. Devo recuperare un oggetto sacro che è appartenuto per secoli e secoli al mio ordine, prima che venisse rubato da un gruppo di ladri senza scrupoli all’incirca un paio di anni fa. Ho compiuto lunghe ed estenuanti ricerche – e qui fece un gesto molto teatrale per indicare la sua stanchezza – quando finalmente sono riuscito a rintracciare il capo di quel gruppetto di delinquenti. Fingendomi suo collega sono riuscito a strappargli la confidenza che mi serviva: il rubi… voglio dire l’oggetto sacro non è più in mano loro, ma è stato smarrito durante un’altra loro impresa, in una grotta. Qui è rimasto: non hanno voluto rischiare di tornare in quella grotta perchè, dicono, ci abitano alcuni animali…
– Ma non aveva detto che era una grotta maledetta? – intervenne il guerriero tra un boccone e l’altro, facendo sentire per la prima volta la sua roca voce.
– Sono superstizioni di poveri sciocchi – lo corresse rapidamente Ratz. – Avranno sentito lo scalpiccio di qualche topo e avranno subito pensato ai fantasmi. Sai come sono questi ladri, superstiziosi fino all’inverosimile. Scelgono solamente certi giorni della settimana per rubare e non cambiano mai, convinti che portino fortuna.
Banedon non disse una parola, mentre Ratz si riempì il bicchiere e ne bevve qualche sorso.
– Vuoi?
– Il tuo ordine ti permette di bere vino?
Ratz ebbe un sussulto.
– Il sacro Ordine della Pagaia Lucente di Guimaraes insegna agli uomini a essere forti messaggeri nel mondo. Insegna a essere spiriti fedeli e capaci di affrontare con serenità le avversità della vita. Non è con la pura meditazione e con l’assenza di esperienza che si può migliorare il mondo. Il Dio Pan tramite il suo adepto immortale Marx ci insegna a vivere nel mondo, non a isolarcene.
– Va bene, ho capito. Comunque no, ti ringrazio.
– Non accetti? – fece il religioso con espressione affranta.
– No, non bevo vino – si scusò il mago.
Ratz lo guardò per un attimo. poi scoppiò a ridere.
– Ah, stai parlando del vino. Credevo che dicessi che non venivi con noi.
Banedon sorrise.
– A dir la verità, non ho ancora deciso…
– Ed è giusto – lo interruppe l’altro. – Non sai ancora tutto. Il mio ordine è ansioso di riavere l’oggetto gradito al nostro beneamato Marx. Dunque i nostri compagni in tutto il continente saranno eternamente grati a colui che ci aiuterà a recuperarlo.
– Tutto qua?
Il religioso rimase interdetto qualche istante.
– Be’, ovviamente… sai, siamo gente modesta, non possiamo offrirti grandi ricompense… tuttavia la grotta possederà sicuramente qualche tesoro abbandonato, armi e averi di vecchi cadaveri, depositi di vecchi accampamenti. La diceria messa in giro dai ladri avrà sicuramente tenuto lontano la maggior parte dei cacciatori di tesori. Noi potremo approfittarne. A me interessa solo la pietra prez… la pietra sacra. Tutto il resto rimarrà a te e a Wolf. Che ne dici?
– Non mi dispiacerebbe aiutarti. I tuoi propositi sembrano buoni. Ma sai, l’ultima volta che sono entrato in una grotta a raccogliere monete finisce che a momenti vengo bruciato dal soffio di un drago.
– Un drago? – esclamò Ratz. Molti degli uomini che affollavano la locanda si girarono sentendo nominare la leggendaria creatura.
– Tu hai visto davvero un drago? – gli chiese l’oste.
Banedon rimase sorpreso di questo stupore.
– Sì, certo. Un drago bianco.
– E ne sei uscito vivo?
– Be’… sì. Per un "soffio", direi.
Per favore, perdonategli l’infausta battuta.
Un tizio si alzò da un tavolo, un omaccione che puzzava di campi e di terra. Oltre che di vino, naturalmente. Si avvicinò al tavolo del giovane mago cercando di apparire sprezzante.
– Non è possibile. Nessuno può vedere un drago e rimanere vivo.
Banedon lo fissò glaciale, senza lasciarsi intimidire dalla sua stazza.
– Be’, io l’ho fatto. Vuol dire che sono speciale, no?
L’uomo non seppe cosa rispondere, e perse la sua arroganza. Si limitò a borbottare ancora: – Naaa, non ci credo – poi se ne tornò al suo tavolo.
– Come è successo? – gli chiese Ratz a bassa voce.
– Be’, ecco… è iniziato tutto quando… – e in breve Banedon gli raccontò della sua prima pericolosa avventura, quella che voi già conoscete. Ripercorse con un brivido i vari eventi, la tristezza e la disperazione di quando era rimasto solo, i pochi terribili momenti in cui aveva lottato con il drago, e il miracoloso arrivo di Iruben. Il suo cuore perse un colpo al pensiero della splendida maga di Rodendhal.
Mentre raccontava, una piccola folla si era radunata attorno a lui. Anche l’omaccione, pur rimanendo al proprio tavolo, allungava le orecchie per sentire.
– E’ andata così, ecco.
– Che splendida storia! Davvero eri riuscito a imprigionarlo?
– Beh, sì… ma poi ho rischiato grosso.
– Ma sei ancora vivo! Per vedere un drago e rimanere vivo devi essere davvero un gran mago.
Non c’era che da esserne orgogliosi.
Quando la folla si fu dispersa, Ratz gli disse:- Tu sei l’uomo che fa per me. Ti prego di accompagnarmi nella mia missione.
– Ci penserò su stanotte. Domani mattina ti darò la risposta.
La serata era finita. L’omaccione si alzò dichiarando:- Tanto sono tutte balle. – Uscì dalla locanda e se ne tornò verso casa sua, dieci minuti di camminata verso l’aperta campagna, da sua moglie e i suoi figli e i suoi campi da curare. Banedon e Ratz si salutarono e si avviarono alle rispettive camere, l’uno con l’intenzione di ripassare il suo libro prima di addormentarsi, l’altro con l’intenzione di pregare un poco prima di addormentarsi. L’oste spense tutte le lanterne tranne due e nella penombra cominciò a mettere le sedie sui tavoli, e a pulire per terra, sperando che la moglie avesse voglia di divertirsi un poco prima di dormire. L’ultima voce che si sentì fu quella di Wolf, che ruttò fragorosamente, e poi dichiarò: – Buonanotte.

La mattina dopo era splendida di sole e di cielo limpido. Banedon provò un inconscia serenità quale è quella di certe splendide mattine di primavera, quando tutto sembra possibile e mille speranze riempiono qualsiasi anima. Scese per la colazione e di lì a poco venne raggiunto da Ratz e da Wolf.
– Buongiorno, amici. Dormito bene?
– Splendidamente – rispose il religioso.
– Sì – grugnì il guerriero.
Il religioso parlava in continuazione. Raccontò delle opere miracolose compiute dal suo Ordine, e dalla raccolta di oggetti sacri che possedeva.
– Allora vieni con noi, mago? – chiese improvvisamente.
– Vengo, buon religioso. Vengo per abituarmi alle difficoltà e affinare le mie tecniche. E spero che i tuoi fratelli si ricordino dell’opera che presto.
– E non dimenticare i tesori che sono abbandonati là.
– Certo, certo. Quelli mi serviranno per continuare il mio viaggio verso sud.
– Allora è deciso. Andiamo.
– Come "andiamo"? Adesso?
Ratz si era già alzato in piedi e stava recuperando il suo equipaggiamento. Wolf non aveva altro che lo spadone e una sacca sporca semivuota.
– Certo. Avevamo già in mente di partire oggi. La grotta è a poche ore di viaggio da qui. Meno ci pensi, meglio è. Entriamo, teniamo a bada i topi e l’opera è fatta. Che ne dici?
Banedon si alzò dal tavolo, indosso il suo mantello e la borsa con il libro e i suoi preziosi ingredienti e disse semplicemente: – Sono pronto.

Alessandro Zanardi (continua)

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