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Le avventure di Banedon – IV

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Le avventure di Banedon – IV

La magia è un’arte e una scienza. Come per ogni altra scienza, non si finisce mai di scoprire: la ricerca costante può portare a imparare cose nuove ogni giorno, benchè il compito maggiore per chi vi si è dedicato da poco sia quello di impararne i fondamenti. E come per ogni altra arte, dona a chi la ama una passione del tutto particolare, tanto che egli non desidera impiegare il suo tempo in alcuna altra maniera, e rinuncia non solo ai divertimenti, ma anche a pasti e a ore a sonno per studiare ed esercitarsi.
E così trascorsero i mesi di Banedon alla scuola: immersi in uno studio avido, senza pausa, che riempiva tutta la sua esistenza. Null’altro occupava ormai le sue giornate, assisteva attentamente alle lezioni di Klenar, e nel tempo libero cercava qualche altro maestro o qualche apprendista, per confrontare le proprie conoscenze; e in mancanza delle precedenti occupazioni, si recava in biblioteca per leggere tutto quanto potesse fornirgli anche il minimo insegnamento aggiuntivo sull’uso della magia.
La notte, poi, si dedicava agli esperimenti. Dopo circa un paio di anni, quando gli ebbero insegnato i primi, semplici incantesimi, il giovane prese l’abitudine di recarsi in una saletta destinata proprio a quello scopo per provare la gestualità, le parole da pronunciare, raggiungere la necessaria concentrazione. Talvolta la saletta veniva chiusa, e allora Banedon si recava nel giardino della scuola, in qualche angolo coperto da piante, con magari uno dei tavoli di pietra vicino, per appoggiarvi gli ingredienti. Klenar ogni tanto lo vedeva attraversare a notte fonda il cortile, ma non lo rimproverava, anzi, era orgoglioso della passione e della tenacia del ragazzo. Pensava che tutti i maghi avrebbero dovuto essere così, amanti dell’arte che praticano.
E con tenacia, con anima e corpo dedicate allo studio e all’esercitazione, Banedon bruciò le tappe. Dopo meno di tre anni di scuola già sapeva tutto quello che agli altri veniva insegnato nei cinque anni che ogni apprendista doveva trascorrere alla scuola perchè venisse infine insignito del titolo di "Mago della Scuola di Arendal", e a lui venisse donato il bracciale magico che portava incise le rune della sua scuola.
Così Klenar fu costretto (con sommo piacere) a tenere lezioni speciali per il solo Banedon, che nel tempo libero continuava a esercitarsi e a studiare, ora sui testi privati dei suoi maestri, e su testi fatti pervenire apposta da altre biblioteche e da altre scuole di magia. Klenar gli propose pure di accogliere i nuovi apprendisti, e Banedon, dapprima un poco riluttante (non si vedeva proprio, lui, così schivo, solitario e impaziente, a tenere lezioni a giovani irrequieti e magari pure distratti), accettò infine la proposta, con la condizione di farlo solo saltuariamente, in casi di necessità. Come poi capì, i giovani apprendisti non erano mai inviati a caso da un maestro o dall’altro, bensì suddivisi a seconda delle loro attitudini, del loro carattere, della loro storia, sulla quale i maestri si informavano ben presto, non appena un ragazzo veniva a bussare alla loro porta.
E così venne mandato da lui un ragazzo che già seguiva le lezioni di Klenar; questi, intravedendo in lui delle grandi potenzialità, decise di fargli frequentare Banedon, nel pomeriggio, per far sì che acquistasse anch’egli l’amore per la magia e sfruttasse appieno il talento che dimostrava di possedere. Per alcuni mesi, dunque, Banedon occupò parte del suo tempo insieme a quel ragazzo, che si chiamava Nielvin e veniva da un’altra città della repubblica di Arendal; fra i due si stabilì subito una forte amicizia, causa il comune, sviscerato interesse per la magia. Poi Banedon dovette prepararsi, perchè mancavano ormai pochi mesi al momento in cui sarebbe uscito dalla scuola, e lasciò Nielvin alle sole lezioni di Klenar. Ma Nielvin aveva ormai dentro di sè una grande ammirazione per il più anziano, quasi quanto quella per il suo maestro; e Banedon si era affezionato a quel ragazzo, l’unico che gli assomigliava, in quanto ad amore per l’arte magica. E non mancò di promettergli che sarebbe tornato a trovarlo, quando egli avesse finito i suoi studi.
E arrivo alla fine il gran giorno, un giorno di fine estate dell’anno 998, quando Banedon si svegliò, preparò il suo bagaglio, passò a salutare Nielvin ed entrò nella grande sala delle cerimonie per essere insignito del titolo. Con grande orgoglio Klenar donò il bracciale al giovane mago, vestito d’azzurro, e più tardi lo volle accompagnare fino al portale, dove i genitori lo aspettavano.
– In bocca al lupo, ragazzo. Mi aspetto di sentir parlare ancora di te. Sai cosa devi fare, vero?
– Sì, maestro. Essere sempre fedele alla mia arte, difenderla da chi la rifiuta, e usare i miei poteri per aiutare chi dimostra di saperli apprezzare.
– E cerca di essere sempre fedele a te stesso. Non smettere mai di imparare, di cercare, di scoprire. Non togliere mai al tuo cuore la meraviglia, e ricordati che i tuoi poteri non serviranno a niente, se non sarai un uomo giusto, verso te stesso e verso gli altri.
Banedon sorrise. Era un sorriso largo, sincero.
– Sì, maestro. E grazie – dichiarò, fremente per l’emozione.
Il maestro abbracciò il giovane.
– Stai attento, non rischiare troppo prima di aver sperimentato più volte ogni incantesimo che conosci e che imparerai. E non andare lontano, per ora: passami a trovare, ogni volta che hai dei dubbi, prima di prendere decisioni affrettate.
Banedon, commosso, si allontanò. Era un mago.

E nei primi giorni fece esattamente quello che Klenar gli aveva detto, studiando ancora, cominciando a conoscere la gente, tornando spesso a trovare il suo maestro.
Lo fece anche il giorno in cui un gruppo di avventurieri provenienti dal sud lo incontrò nel negozio di armi dello zio Firk, riconobbe dalla veste e dal bracciale la sua professione, e gli propose di unirsi a loro per andare a recuperare un tesoro nelle grotte sotto le colline di Ferlak, poco fuori Arendal. Gli occhi del giovane si illuminarono: poteva essere la prima occasione di mettere alla prova le sue conoscenze, per difendere gli avventurieri dalle creature e dalle insidie nascoste in quelle grotte.
Ne parlò a Klenar la sera stessa, e il maestro si mostrò preoccupato.
– Quello che i tuoi amici avventurieri non sanno è che là sotto c’è la tana di un drago, chiusa secoli fa da una frana interna. Si ciba delle poche creature che vivono là sotto, che hanno tanto timore di lui da offrire spontaneamente cibo e tesori al drago. Altrimenti sarebbe già morto di fame, perchè è imprigionato in un antro senza uscita.
– Va bene, maestro – rispose Banedon – ci terremo alla larga dalla sua tana. In questo modo, se davvero è imprigionato, non ci può fare alcun male.
– Sì. Ma stai molto attento. Non val la pena di rovinarsi per un tesoro. Cerca di fare esperienza, senza esporti a troppo pericoli, intesi?
– D’accordo – rispose Banedon, pensando che Klenar stesse esagerando per costringerlo ad essere prudente. – Maestro? – aggiunse dopo un momento di esitazione.
– Sì?
Ancora un istante di esitazione.
– Da quanto tempo sapete del drago?
– Da diversi anni, ormai. Da quando un vagabondo del luogo, girando a caso nelle grotte, finì all’entrata della grotta del drago. Scappò fuori urlando. Da allora qualcuno tentato di entrare per abbatterlo, ma non ne è più tornato.
– Ma, maestro – chiese timidamente il giovane – qualche Stregone di queta scuola, ben protetto da qualche guerriero, non sarebbe in grado di uccidere quel mostro?
Klenar guardo fissò davanti a sè per alcuni secondi, poi si girò verso Banedon e lo guardò DENTRO agli occhi, giù, parlò direttamente al suo cuore.
– I draghi sono una delle razze più nobili e antiche esistenti su questo continente. Essi usano la magia, e in questo possono tranquillamente competere con i più grandi stregoni umani. Tuttavia due o tre di noi potrebbero abbattere quel drago, come tu dici. Ma perchè? – domandò, incupendo all’improvviso il suo tono, e lasciando aleggiare nell’aria quella domanda per qualche attimo.
Banedon abbassò gli occhi, confuso.
– Quel drago è imprigionato là sotto – riprese Klenar – non può fare alcun male alla popolazione locale, a meno che qualcuno non sia tanto stupido, presuntuoso e invadente da andarlo ad affrontare proprio nella sua tana. La vita è il più grande potere esistente. Che diritto abbiamo noi di annullarlo così, solo perchè ci dà un poco fastidio? E, per di più, si tratta della vita di una creatura esperta nell’arte magica. Che ne dici, Banedon? Dovremmo davvero ucciderlo? O forse fareste meglio voi a non finire nella sua tana?.
Banedon restò in silenzio per mezzo minuto, mentre Klenar tornava a occuparsi del libro aperto sulla sua scrivania.
– Dico che non me lo dimenticherò, maestro – dichiarò poi all’improvviso il giovane. Sorrise a Klenar, e uscì.
Nei giorni successivi Banedon e gli altri si prepararono, si conobbero meglio, e infine partirono. E quello che successe poi, già lo sapete.

Alessandro Zanardi (continua)

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