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Terrarossa – Parte terza

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Terrarossa -Parte terza


Filine e Rejtiel si vedono ancora

Era di nuovo giorno e Rejtiel non c’era più. Ma per la prima volta dopo molti giorni il primo pensiero della giornata di Filine non fu rivolto nè a Tefa nè al caldo nè ai soldi che aveva raggranellato. Pensava invece a Rejtiel e alla piacevolissima nottata trascorsa. Quando una donna fa l’amore di mestiere ce ne vuole per dargli una botta di vita sufficiente a non svanire con l’arrivo dell’alba.
– Cazzo, che scopata d’argento – ridacchiò tra sè. Era una delle frasi di Tefa, una delle più dolci che sapesse dirle.
La mattina era quasi completamente andata, era ora di scendere a comprare qualcosa, per sopravvivere a Meralba. Ma questa volta lo fece con un poco più di buon umore. Come se fosse una cosa piacevole, oltre che necessaria. Come se ogni tanto, incredibilmente, quella citta’ le appartenesse davvero. Si concesse persino di salutare molte persone. Poi torno’ a casa, fece un po’ d’ordine e si preparo’ qualcosa da mangiare.
– Oggi non lavoro – si disse ad alta voce. E non lavoro’, ma attese sonnecchiando che venisse sera, fantasticando sul suo amico della notte precedente, l’unico che, da quando Tefa era partito, le venisse voglia di vedere ancora. Quasi quasi credette di aver trovato un amico. Dovette ammettere che non avevano parlato molto, erano stati piu’ occupati a scoparsi che altro. Ma quei pochi gesti e parole che si erano scambiati lasciavano intendere un’intesa piu’ profonda, come capita ogni volta che si e’ in un posto nuovo e si formano dei gruppi estemporanei, e alcuni fra loro riconoscono subito i propri simili, da poche parole, da una sensazione di familiarita’. Senza dimenticare che quell’uomo le aveva fatto provare piacere. Che non era mai una cosa da buttare via.
Forse tutto era dovuto alla noia e alla tristezza del periodo. Filine non era priva di amici, ma in quel momento sembravano tutti spariti. C’erano problemi nel mondo, questo lo sapeva bene, e puo’ darsi che molti di loro avessero troppe preoccupazioni per pensare a divertirsi. Fatto sta che molti di quegli amici erano diventati piu’ freddi, altri erano spariti dalla circolazione. E a lei non restava che tenere duro con il suo lavoro, a testa bassa, senza svaghi, sopportandone la noia, godendosi la pace di quei due giorni di vacanza che si concedeva piu’ o meno ogni dozzina di giorni, tornando a casa e pensando alla sua vita futura… quella tranquilla e lontana dalla citta’. Solo che quei due giorni finivano in fretta e poi tornavano ad esserci soltanto il caldo e la noia.
Forse era solo per questo che Reitjel le era piaciuto tanto. Era un simpatico diversivo. Non mancava molto al tramonto quando scese alla locanda per cercare se il suo passatempo era ancora la’.

Ebbe una piacevole sensazione di allegria quando lo vide.
– Ciao. Ancora solo?
Lui sorrise. Era felice di vederla, ma tranquillamente, come se fosse li’ ad aspettarla. Ordinarono da bere e chiacchierarono con noncuranza, ma lei con l’occhio esperto di chi seduce per mestiere si accorse del suo desiderio. Questo quasi la deluse, perche’ òla compagnia di quell’uomo era cosi’ rasserenante che avrebbe voluto passare la nottata a parlare con lui. Ma poi ripensò agli uomini in generale, e capi’ che in fondo era una reazione del tutto comprensibile, e peraltro – nel caso ce ne fosse bisogno – una forma di ammirazione. Si chiese se lo desiderava ancora: lo osservo’, assentandosi un momento con lo sguardo mentre lui parlava, osservando i suoi capelli lisci e corti, quel caschetto cosi’ innocente che avrebbe potuto farlo passare per un idiota, e invece gli dava solo un aspetto molto regale. Vide la sicurezza della sua espressione, il suo atteggiamento fisico composto, ed ebbe un fremito quando abbasso’ lo sguardo sul suo corpo, verso l’inguine, sulle gambe. Decisamente, non le sarebbe dispiaciuto avere ancora a che fare con lui. E una volta soddisfatto, forse, sarebbe rimasto da lei a parlare, e le avrebbe fatto compagnia.
– Sei un chiacchierone – scherzo’ lei interrompendolo, e lui rimase un attimo interdetto.
– No, e’ molto bello stare qui a parlare con te – continuo’ per tranquillizzarlo. – Solo… ho come la sensazione che ci sia qualcos’altro che desideri.
Reitjel non pote’ fare altro che sorridere. Bello. La sincerita’ lo rendeva ancora piu’ bello.
– Percio’ pensavo che potremmo finire i nostri bicchieri e poi salire da me, che ne dici?
Un’ombra di malumore scese sul volto di lui.
– Oh, accidenti, non pensavo che stessi ancora lavorando.
– Lavorando?
Fu lei ora a rimanere interdetta. Poi capi’ la gaffe. E rise.
– No, hai capito male. Non sto lavorando. Non sto cercando di accalappiarti. Davvero mi fa piacere stare qui con te e davvero mi farebbe piacere farti salire da me. Non a pagamento. Che ne dici?
L’uomo si rischiaro’ un poco, scrutandola per capire se le sue intenzioni erano davvero quelle. Decise che era cosi’, e si lascio’ andare.
– Certo. Volentieri. – sbuffo’ con un sorriso rilassato. – Wow. Anche subito.
– D’accordo, saliamo.
Uscirono ridacchiando ma senza dire altro, proseguendo in un silenzio imbarazzato. Poi Reitjel sbotto’ allegro, quando furono davanti alla porta della sua stanza: – E che cavolo, sai una cosa? Sarei venuto a cercarti lo stesso. Anche a pagamento.
Lei lo fece entrare, chiuse la porta alle sue spalle, mosse la testa per far cadere i capelli all’indietro e mise le mani sui fianchi in un atteggiamento teatralmente provocatorio.
– E invece… be’, sai come si dice… stasera offre la casa.
Si avvicino’ a lui. Reitjel aveva quasi in mente di risponderle con una battuta spiritosa. Era sempre stato un buon conversatore: aveva sempre la battuta pronta e l’ultima parola. Penso’ a una battuta spiritosa ma non riusciva a pensare a niente di spiritoso – che fisico dio che gambe che occhi fantastici la voglio baciare – semplicemente una parte molto piu’ istintiva dell’ironia stava prendendo il sopravvento ed era probabilmente alimentata dalla ragazza splendida di fronte a lui, che come tutte le splendide ragazze sanno trasformarsi, sanno trascendere, mettile nelle penombra di una casa al primo piano in una citta’ poco illuminata, metti loro adosso un vestito leggero che lascia le braccia scoperte e le gambe libere di scoprirsi mentre camminano, che lascia intuire un seno generoso ma rispettabilmente sodo, dove sara’ bello affondare e stringere e giocare, prendi queste ragazze e falle camminare avanti piano piano, ondeggiano lievemente, con una tale decisione erotica che l’atmosfera intorno a loro sembra modellarsi per accoglierle, lasciale venire avanti piano piano con tutta la loro bellezza sensuale all’avanguardia. E non gli venne nessuna battuta ironica. Fu solo posseduto dal desiderio di possederla. Il demone dentro di lui gli ordino’ di averla. Lei remo’ nella stessa direzione. Fu un’altra scopata d’argento.

Era notte tarda. Avevano fatto l’amore molte volte. Con piu’ ricercatezza, con meno fretta della notte prima. Con la passione quieta e inarrestabile di un ricercatore. Con la voglia di non perdersi niente di cio’ che c’era di buono nella notte. Lui si era addormentato, come tutti gli altri, e come rimproverarlo? Era stato molto bello e molto lungo e molto faticoso. Lei non era rimasta delusa: era certa che si sarebbe svegliato e non sarebbe andato via subito. Lo sentiva. E cosi’ avvenne. Si sveglio con ancora qualche accenno di sudore addosso, e la guardo’ con un’ammirazione ai limiti dell’incomprensione.
– Non ho mai conosciuto una donna come te – disse semplicemente, e lei non rispose. Segretamente, si felicito’ per averlo catturato. Non aveva voglia che sparisse subito. Dopo qualche minuto, lei butto’ li’ una frase scelta a caso. Disse "Parlami del tuo lavoro" ma poteva essere "Parlami della locanda dove dormi" o "Parlami del governo di Meralba". Era solo un modo per avviarlo. Lui parlo’ volentieri, lasciando che lei rispondesse o le facesse altre domande. Parlarono a lungo e liberamente, senza limiti. Fu bello e fu lungo e non fu faticoso.
Filine e Rejtiel divennero buoni amici.
Si videro molte sere. Non tutte le sere. Mai, comunque, durante il giorno: gli affari di lui sembravano comporare frequenti brevi spostamenti intorno a Meralba, a volte anche piu’ in la’ e allora spariva per due o tre giorni. Filine torno’ a lavorare. Ma Rejtiel non era piu’ un cliente.

Tefa e Louis nel nord: i primi passi

Come Louis aveva predetto, tutto sembra migliore alla luce del giorno. E siccome la luce abbaglia piu’ di quanto il buio nasconda, fu quasi piu’ facile per Luc Cherbin mascherare le proprie intenzioni. All’equipaggio fu concesso di scendere: sotto la supervisione degli ufficiali locali dell’esercito del Nord, fu concesso inoltre di trattare con i principali fornitori locali di tabacco per cercare un accordo che facesse contenti tutti. Luc, soddisfatto della piega che stava prendendo la vicenda, lascio’ che a condurre le trattative fosse un uomo della compagnia commerciale proprietaria della nave, il quale peraltro era ben contento e non poteva quasi credere di poter davvero trattare per ottenere una fornitura esclusiva. Essendo vera, la copertura non desto’ sospetti. Luc si tenne in disparte come fosse un vero capitano che ha condotto la nave in porto e lascia che le questioni economiche vengano gestite da altri.
Pote’ allora dedicarsi a un altro compito: far pervenire a Tefa e Louis il proprio equipaggiamento. Era gia’ difficile per i due ragazzi nuotare in un’acqua fredda velocemente e senza farsi sentire: sarebbe stato impossibile che si portassero dietro anche l’equipaggiamento. Senza dimenticare che i colori di Louis avrebbero decisamente preferito non essere immersi nelle acque del grande mare. Quindi sulla nave avevano preparato un altro piano. Una nota piantagione di tabacco vicina alla citta’ contava due infiltrati della scuola di Alexi, giunti li’ nel corso della prima missione: sulla nave, si erano messi d’accordo perche’ quello fosse il loro primo punto di riferimento. Li’ Luc avrebbe fatto pervenire il materiale; e li’ Tefa e Louis avrebbero dovuto passare a ritirarlo la notte successiva.
Quindi Luc Cherbin si reco’ per una visita alla piantagione, scortato da un paio di soldati sospettosi; fece generici apprezzamenti sulle colture; disse che sperava di concludere affari, e che se intanto poteva offrire una birra a qualcuno, sarebbe stato al porto per tutta la giornata; e quando, tornati in citta’, fu raggiunto dagli allievi che lavoravano nella piantagione, li invito’ nell’osteria di Nalici. Mentre tutti tenevano d’occhio lui, un marinaio della nave "distrattamente" carico’ una cassa sul carro degli allievi di Alexi, che sarebbe tornato alla piantagione con loro.
La notte successiva, i due passarono alla piantagione e ritirarono l’equipaggiamento. La missione era iniziata bene.
Le trattative procedettero e si giunse a un accordo. La nave carico’ quel che poteva del magazzino invenduto delle locali aziende di tabacco: e riparti’ verso casa. Il piacevole sapore delle sigarette di contrabbando avrebbe raggiunto i circoli piu’ nobili delle citta’ del sud. Tutti erano contenti. Luc Cherbin e il suo equipaggio tornarono a casa, con il progetto di tornare appena possibile a prendere il resto del magazzino: casse di sigarette, sigari, tabacco per pipa… e un paio di uomini del Sud che per allora – si spera – sarebbero stati pronti per tornare a casa.

Tefa e Louis, recuperato l’equipaggiamento, si avviarono cercando di nascondersi: cespugli, tronchi, gole, ovunque ci fosse un riparo minimo dal freddo e dagli sguardi dei passanti. Louis, mischiando i ricordi di visite precedenti con l’osservazione diretta e le informazioni di Luc, trovo’ in ogni momento il passaggio migliore attraverso boschi, fiumi, alture, rocce. Riusci’ sempre a trovare passaggi che consentivano loro di procedere lontani dalle strade.
Il secondo giorno furono costretti a rimanere per un tratto su una strada. Ne approfittarono per prendere del cibo, cercando di non attirare l’attenzione: Tefa non parlo’ per nulla, Louis lo stretto necessario. Quando qualcuno chiese loro informazioni sul loro viaggio, l’esploratore bofonchio’ qualcosa a proposito di arruolarsi nell’esercito, e tronco’ la discussione. La loro prudenza era comunque eccessiva: ogni paese della contea era attraversato da molte persone, messaggeri, soldati, futuri soldati, semplici viaggiatori, e nessuno sembro’ prestare particolare attenzione ai due uomini che viaggiavano verso nord. I trucchi di Louis che schiarivano la loro pelle li rendevano uguali a decine di altri come loro. Erano ancora in un paese di contadini e signorotti, un paese in fermento, ma sempre un paese di contadini e signorotti. Alla fine, il passaggio sulla strada si rivelo’ come un ottimo segnale, come una prova generale della loro abilita’ di confondersi tra la folla; meglio mettersi alla prova qui, in un anonimo e tranquillo villaggio della contea, che direttamente tra le fauci del nemico.
Senza altri intoppi, rimasero sulla strada finche’ non trovarono il modo di abbandonarla, e poi procedettero di nuovo nascosti. Il castello di Cimaron si trovava a circa centocinquanta miglia da Holye Nan; con un po’ di fortuna, altri cinque giorni di cammino sarebbero bastati.

La pioggia! Che una goccia o due fanno quasi piacere, una pioggerellina sottile puo’ passare inosservata, una pioggia pesante dopo essere fradicio non la senti piu’… a meno che passi dei giorni cosi’. Giorni e notti. Addormentarti fradicio sotto la pioggia. Alzarti fradicio sotto la pioggia. Dopo un paio di giorni cosi’, veramente fai fatica a fare finta di niente. Le gocce sono dappertutto. Gli oggetti scivolano di mano. Camminare e’ piu’ difficile, con il fango che ti resta attaccato alle scarpe ad ogni passo.
Tefa e Louis imprecavano silenziosamente. Il terzo e quarto giorno furono accompagnati da una continua fitta insistente pioggia. L’unica nota positiva era che la pioggia rendeva piu’ facile passare inosservati. Limitava la visibilita’. Sconsigliava passeggiate nei boschi. I due uomini del Sud potevano sentirsi davvero soli. Alla sera del quarto giorno, un fienile relativamente isolato, con un tetto all’apparenza solido, appari’ loro come una reggia. Era un rischio, ma in quel momento rischiarono volentieri per il privilegio di potersi asciugare almeno un poco, per evitare di morire di polmonite prima di aver potuto portare a termine la missione.
Ci si infilarono con discrezione, sensi all’erta, e fu bello sentire il profumo di qualcosa di semplice. Bestiame. Fieno. Vita da contadino. Era un piacevole ritorno alle origini, a una vita magari noiosa, ma priva di grosse preoccupazioni; una vita dove le giornate sono faticose ma facili, dove i gesti sono sempre quelli, dove non serve pensare al mondo intero. Si addormentarono con piacere, pensando che tra pochi giorni ancora tutto sarebbe finito.

Tra Filine e Rejtiel succede qualcosa di bello.

Era ancora notte in casa di Filine. Era ancora caldo ma c’era una brezza leggera, talmente leggera da sentirsi appena, e sebbene non facesse molta differenza a livello fisico, ne faceva a livello morale. Sembrava presagire un cambiamento, sembrava presagire che il fresco sarebbe finalmente arrivato. Era una bella sensazione.
Rejtiel stava accanto alla parete, congelato in uno strano movimento. Sembrava appena aver scoperto qualcosa, come una riflessione improvvisa, come quando i pensieri improvvisamente convergono in un solo punto e senti il tlac! di una rivelazione.
– Che c’è, bello? Sei già stufo di me? – lo provocò Filine, imbarazzata dal silenzio.
La risposta dell’uomo tardò alcuni secondi.
– Senti, tu sei bella, bellissima, così, e non mi è necessario prenderti a morsi per rendermi conto di quanto sei bella, intendo dire, è già meraviglioso starti qui a guardare, sei una favola.
Filine sentì accapponarsi la pelle.
– Non ho bisogno di strusciarmi contro di te – proseguì Rejtiel – di ansimarti addosso e respirare l’odore della tua pelle per sentire l’emozione che la tua sola presenza mi provoca, sei un’opera d’arte, un capolavoro, e certamente è meraviglioso far l’amore con te, non lo nego, ma non è fondamentale, non ho bisogno di toccarti per gustarti. Mi spiego?
Fu la prima volta che Filine si accorse quanto in la’ si era spinta. Abituata al rapporto completamente libero e distante che aveva con Tefa, non si era posta nessun limite: aveva dato per scontato che anche Rejtiel fosse fatto come loro. Senza rendersene conto, aveva vissuto come una bella amicizia condita di piacevolezze fisiche quello che chiunque altro avrebbe visto come una storia d’amore. E fu a un certo punto spaventata. Timorosa di qualsiasi conseguenza, perche’ proseguire non era possibile, ma fermarsi voleva dire perderlo. Quest’uomo non era un rivale di Tefa, Tefa era fuori classifica, era il suo uomo e basta e non aveva rivali; ma Rejtiel era pur sempre la miglior persona che avesse conosciuto da molti anni a questa parte e ora l’idea di doverlo in qualche modo allontanare la dilaniava. Con un barlume di lucidita’ capi’ che la magia era finita: il solo essersi resa conto della situazione aveva infranto tutto. Ora poteva allontanarlo o tenerlo, essere sincera o mentirgli, ma ormai aveva capito che le loro strade avevano smesso di correre parallele.
Decise di essere sincera, e dopo molti secondi di pausa si spiego’.
– C’e’ una cosa che mi e’ successa poche volte nella vita. Emozionarmi. E mi e’ successo poco fa mentre parlavi.
Rejtiel guardava altrove. Un poco imbarazzato.
– C’e’ un uomo nella mia vita.
Blam. Fagli male subito, che poi hai piu’ tempo per guarirlo.
– Un uomo solo, da moltissimo tempo. So che sembra assurdo per una come me dire una cosa del genere… ma dire che gli sono fedele sarebbe ancora poco. Il punto e’ che posso non vederlo per mesi e avere molti uomini, per lavoro o per piacere. Posso andare dove mi pare e fare quello che mi pare della mia vita. Ma lui rimane il mio unico uomo e lo rimarra’ per sempre.
– Da quando sto a Meralba, tu sei l’unico con cui sono stata a letto che non sia un mio cliente. Da quando sto a Meralba, sei il miglior amico che ho avuto. E non ho pensato a nient’altro. Ti ho tenuto vicino. Ho pensato solo a questo. A quanto mi faceva piacere stare con te. Non ho pensato a nient’altro.
L’uomo la guardo’, dubbioso.
– Non capisco bene quello che mi stai dicendo.
Filine sospiro’.
– Ti sto dicendo che sei un amico, il mio miglior amico. Che sto passando del tempo bellissimo con te. E che e’ tutto qua. Non ci sara’ nient’altro, durera’ finche’ durera’. Non sono sicura che sia lo stesso che vuoi tu.
– Accidenti…
Rejtiel accenno’ un sorriso, lo spense come se fosse uscito male, poi fece correre lo sguardo su Filine e sulla camera.
– Non dire piu’ niente. Non scusarti, non giustificarti, non cercare di definire. Una cosa cosi’ e’ troppo bella per essere definita, e anche se in questi giorni qualche pensiero a lungo termine mi e’ passato per la testa, non ho mai cercato di definire, o di ottenere da te qualcosa di piu’, o di costringerti e prendere decisioni.
Silenzio.
– Insomma, va benissimo cosi’.
Filine ebbe qualche momento di esitazione, intanto che si rendeva conto della situazione. Quell’uomo era veramente straordinario. Per un momento pensò che se non ci fosse stato Tefa, ora avrebbe seriamente pensato di fare di Rejtiel il suo uomo. Ma quello che Rejtiel diceva era proprio il contrario, che non c’era bisogno di vederla in questi termini. Esattamente come lei, tutto quello che Rejtiel voleva era stare bene con qualcuno in un mondo impazzito. Esattamente come lei, Rejtiel aveva trovato un angolo di felicita’ in un modo e in un posto del tutto inaspettati, e ora con cautela lo teneva vivo, camminando con delicatezza per non svegliare le infinite possibili distruzioni, senza pensare a niente, senza volerlo trasformare, ma tenendolo cosi’ per come era e per tutto il tempo che sarebbe durato. Senti’ che se c’e’ un amore nel mondo, e’ questo. Senti’ che una cosa cosi’ bella puo’ essere solo amore. Che una cosa cosi’ bella non puo’ essere definita "tradimento". Senti’ che non stava tradendo Tefa ammettendo con se stessa che lei amava Rejtiel.
– Rejtiel. Ti amo. Se capisci cosa intendo dire. Ti amo davvero.
– E io non ho nemmeno bisogno di dirtelo.
Ci furono baci leggeri e lunghi, statici, quasi interminabili abbracci. Ci furono i gesti dell’amore. Il mondo intero ne sarebbe rimasto sorpreso. Ma il mondo fu escluso dalla felicita’ di quella stanza.


Alessandro Zanardi (CONTINUA)

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