Anche quest’anno finalmente è arrivato. Per un’appassionata di cinema e Oriente come me, l’appuntamento al Far East Film di Udine è assolutamente da non perdere, un concentrato di tutto ciò che "fa" Oriente in pochi giorni. Mi appresto a vivere intensamente le poche giornate a mia disposizione, non solo per il programma intenso, ma per il richiamo che ogni film offre alla cultura del proprio paese. Assistere ad un film è un rito: comincio ad assaporare ogni singolo dettaglio, i luoghi, i suoni, i gesti, gli oggetti, il cibo, mancano solo gli odori, è l’unica cosa che un film non riesce a trasmettere, ma con un po’ d’immaginazione riesco a percepire, o ricordare, l’aroma di un tè verde bollente, il profumo di un pesco in fiore, l’odore stuzzicante di un riso fritto……
Il mio arrivo a Udine è tutto calcolato, in tempo per assistere al primo film disponibile, non importa quale, perché meritano tutti, dal momento che derivano da un’accurata selezione che l’organizzazione del festival, grazie anche all’esperienza maturata negli anni, mette a punto mesi e mesi prima. In verità sarei disponibile a vedere qualunque film con la certezza di trovarvi comunque qualcosa di interessante.
Udine è una città fuori mano, lontana da tutto, devi avere un motivo preciso per arrivare fino lì, e quando ti butti nell’impresa, ti sembra di non arrivare mai. Quando poi scopri di essere praticamente al confine con Austria e Slovenia, ti rendi veramente conto che sei alla fine dell’Italia, che da lì puoi solo tornare indietro. Questo festival ti offre anche questa possibilità, di scoprire una città e una regione accoglienti, ricche di opportunità per tutti i gusti e le tasche (comprese le mie).
Già durante il viaggio inizio a pregustare le tranquille passeggiate tra i vicoli e le belle piazze del centro storico, con soste (numerose) nelle piacevoli osterie per gustare qualche piatto tipico e un buon bicchiere di vino rosso…..
Finalmente arrivo a Udine, anche se devo ammettere che dopo anni che partecipo al festival non mi sembra più così lontano, tutto ormai mi è famigliare, la strada, la città, l’atmosfera del festival.
Anche l’albergo, sempre lo stesso, mi sembra come una seconda casa, il personale si ricorda di me, io di loro. Nella hall, mentre aspetto le chiavi della mia camera, mi guardo attorno e percepisco già il festival: facce già viste, studenti, giornalisti, qualche straniero rigorosamente asiatico, tutti con le tipiche borse del festival sulla spalla. E’ il primo biglietto da visita nonché il simbolo del festival, ma per chi la porta è soprattutto una sorta di identificazione, di appartenenza ad un gruppo, di lasciapassare in quei giorni a Udine.
Appena preso possesso della camera, mi precipito al Teatro Nuovo Giovanni da Udine. Se prima le sensazioni del festival erano appena percepite, qui esplodono. Il teatro è tutto un fermento. Abbellito e migliorato rispetto agli anni precedenti, mi accoglie in maniera più sontuosa e affollata. Chissà, forse prima o poi anche qui avremo la Croisette con la sfilata di stelle e paparazzi…..
Se razionalmente capisco che l’ampia partecipazione sia un bene per il festival, nel mio intimo, egoisticamente parlando, avrei preferito la cerchia più ristretta di "afecionados" degli anni precedenti. Ma si sa, il fatto che se ne parli, e se ne parli bene, non può che fare diventare la cosa quasi di massa, e questo fa perdere un po’ l’immagine da veri estimatori che aveva all’inizio. E mi chiedo, ma tutta questa gente è veramente interessata ai film? O è qui solo perché ci deve essere? Anche questo ha il suo peso. Tornando alla razionalità, devo comunque considerare che se non ci fosse partecipazione, il festival potrebbe rischiare la sopravvivenza, quindi la mia conclusione è che va bene così. Anzi, l’anno prossimo spero sarete ancora più numerosi.
La folla non ha messo in crisi, almeno per il momento, la buona organizzazione del festival. Tutto è preciso e puntuale, tranne l’attesa davanti alle porte chiuse e l’assalto ai posti migliori, ma si sa, per un cinefilo vedere un film iniziato anche da soli 5 minuti può essere una tragedia…..
Bene, che la kermesse abbia inizio. Come primo film mi sono piazzata bene, ma la cosa funziona così, man mano che si fa sera la disponibilità si fa sempre più limitata, ammetto di non essere mai riuscita ad arrivare alla proiezione di mezzanotte e provo un misto di ammirazione e invidia per quelli che ci riescono. Quindi mi sono concentrata sulle proiezioni del giorno, che sono anche le meno affollate, ma non necessariamente le meno interessanti. Infatti comincio il mio festival con il regista cinese Zhang Yuan, già noto anche da noi per il film "Diciassette anni". Il film è del 2002 e si intitola "I love you". E’ il primo di una serie dell’autore che il festival presenta in questa edizione, tra cui l’ultimo appena realizzato "Jiang Jie", un’opera rivoluzionaria anni Settanta, definito imperdibile e, visto che la sottoscritta se l’è perso, spero di vederlo presto sugli schermi di un qualche cinema d’essai. "I love you" conferma la vena intimista dell’autore, affrontando i problemi di relazione all’interno di una giovane coppia nella Cina moderna.
Esco un po’ frastornata dal film e, mentre sto ancora riflettendo sul fatto che le coppie cinesi con i loro problemi non si discostano molto da quelle occidentali, mi ritrovo nel foyer ancor più affollato di prima. Facendomi strada tra la ressa, presto realizzo il motivo di questo assembramento all’ingresso del teatro. Al di là di una vetrata, in un locale ancora inaccessibile, si intravede un invitante buffet in preparazione per festeggiare l’inaugurazione del festival.
Contrariamente agli anni precedenti, in questa sesta edizione mi sono presentata fin dal primo giorno, e devo dire che gli anni scorsi mi sono persa qualcosa.
Mi metto in fila con gli altri e, appena si aprono le porte, mi tuffo sui vassoi colmi di delizie nostrane. E’ un incrocio di braccia e mani, un confondersi di grazie, prego, scusi e piedi pestati, di sguardi incrociati e facce viste a tre millimetri dalla tua. Appena entrata in possesso della dose media di sopravvivenza, cerco un angolino appartato, se così si può definire, e mi soffermo ad osservare ciò che mi circonda. Certo che è buffo vedere la gente che sembra che non mangi da 1 settimana (me compresa), ma è così solo perché è gratis o perché l’uomo è portato nella sua indole ad accaparrarsi il cibo?? E’ altrettanto buffo vedere gli ospiti asiatici, spaesati ma sopravvissuti all’assalto, gustare tartine al prosciutto di San Daniele bagnate da calici di vino rosso, forse ancora non sanno che i vini friulani picchiano……
Questa piacevole sorpresa mi ha fatto rimandare la prima sosta in un’osteria di Udine, un po’ perché di vino ne avevo già ingerito abbastanza, e un po’ perché mi apprestavo ad assistere al mio secondo film della giornata "Dance with the wind" del coreano Park Jung-woo. Un film diverso, che tratta un tema occidentale, la danza di sala, in un contesto asiatico. E così scopro che una cosa che da noi è del tutto naturale, da loro viene considerata ambigua e peccaminosa….. Il film è delicato, a tratti ironico e divertente, ma soprattutto vivo, con musica e danze che contrastano gli effetti soporiferi del vino. La mia prima giornata di festival termina qui, ho avuto abbastanza emozioni per oggi e non potrei reggere fino a notte fonda. Mi dirigo mio malgrado verso l’albergo, e penso già al programma di domani.
Sono andata a letto presto e di conseguenza mi alzo presto. Per fortuna, altrimenti non avrei potuto vedere "Killer clans" di Chor Yuen, regista di Hong Kong, che mi aveva fatto pensare alla solita storia di faide malavitose in una metropoli buia e solitaria. In realtà si è trattato di una piacevole sorpresa: un episodio della famosa serie di film di arti marziali tratti dai romanzi di Ku Lung e riadattati per il cinema negli anni settanta. Un bellissimo ritratto della Cina del passato, con vizi e virtù dell’epoca. Costumi e scenografie molto curate, combattimenti magistrali, scene d’amore delicate come un acquerello.
A margine di questo film, vorrei aprire una parentesi che riguarda le arti marziali. Oltre ad amare il cinema e l’oriente, amo e pratico le arti marziali. Quale miscela esplosiva per non ribadire che i film di arti marziali piacciono, e non solo a quelli come me, ma ad un pubblico molto più ampio ed eterogeneo. Per troppo tempo si è pensato ai film di arti marziali come film di serie B, dovevamo attendere tempi più maturi e recenti per vedere questa mentalità modificata, grazie anche a registi come Tarantino e film come "L’ultimo samurai" che, come ben sappiamo, non hanno inventato nulla ma semplicemente ripreso questi temi in chiave hollywoodiana. Lo stesso Tarantino ha ammesso in un’intervista di essere un amante di questo genere e un cultore di Bruce Lee.
Rivolgo quindi un invito agli organizzatori del festival: riproponete i film di arti marziali, vecchi e nuovi, anche tutti gli anni, perché chi se li perde li possa vedere l’anno dopo, e chi li ha già visti li possa rivedere. Quale emozione poter vedere un film di Bruce Lee sul grande schermo, l’occasione del festival è troppo ghiotta per non pensarci…..
Tornando alla mia giornata appena iniziata, posso dire di aver proseguito dando il meglio di me, ben 4 film in un unico giorno! Dopo "Killer clans", è stata la volta di un bel film che affronta un tema scottante della storia recente della Korea: detenuti politici in Korea del sud che non vogliono rinnegare il loro credo comunista e per questo trascorreranno gran parte della loro vita in carcere.
Un affresco duro e spietato, che lascia qualche spiraglio all’ironia. Il film è tratto da una storia vera, e alla fine scorrono le immagini del vero detenuto politico che, ormai anziano, viene liberato e va a trovare la madre moribonda. Una scena che riporta bruscamente alla realtà, anche a chi s’illudeva che fosse pura fantasia.
La giornata prosegue con il secondo film di Zhang Yuan "Green tea" del 2003, una conferma della bravura di questo regista e un’immagine inedita, raffinata e moderna della Cina e di Pechino in particolare.
Uno dei momenti clou di questo festival è la presentazione del prequel e sequel di "Infernal Affairs" visto l’anno scorso, il film d’azione che si trasforma in saga dove, oltre a sangue e sparatorie, si mescolano amore, solitudine, tradimento, onore. Ho concluso il mio festival con queste due proiezioni, entrambe all’altezza della prima ma che mi hanno lasciato con un’immagine della vita ad Hong Kong, almeno per i poliziotti protagonisti dei film, senza speranze in un futuro migliore, anche perché i "buoni" sono tutti morti. Meno male che in questo caso si tratta di finzione e non mi resta che sperare che la realtà sia un po’ migliore (ma di solito non è il contrario??).
Mi ritrovo ancora una volta nel foyer del teatro e do un ultimo sguardo intorno a me prima di lasciare il festival. Vedo dei bellissimi manifesti dei film in programma e non, alcuni sono in vendita e per riprendermi ne vado ad acquistare un paio. Sembrano delle vere opere d’arte, e per i comuni mortali come me che non comprendono nessuna lingua orientale, anche le scritte sono di una bellezza estetica unica. Peccato che siano così pochi, come anche tutti gli altri articoli in vendita, sono certa che se vi fosse più scelta sarebbe un’ottima occasione per fare un po’ di shopping, orientale naturalmente.
Sono già sulla via del ritorno, e già penso per consolarmi al festival del prossimo anno. Nei giorni successivi, guardando dalla finestra del mio ufficio il piccolo pezzo di cielo che riesco a intravedere, penso: "quale film staranno guardando a Udine?" e ancora "Avrò mai l’occasione di rivederli?"
Un ultimo invito lo rivolgo agli organizzatori del festival: perché non istituire una sorta di "premio fedeltà" per chi, come me, partecipa in maniera devota tutti gli anni? Attendo vostre notizie in merito.
Appassionatamente,
Cronaca semi-seria di una partecipante
Cristina Campani