(Settimo classificato)
"Entriamo a vedere?" sussurrò Tony.
"Certo, i fantasmi non esistono." assicurò Cris. La porta, comunque, era chiusa a chiave. Dovettero girare intorno alla casa, alla ricerca di un eventuale altro ingresso. La porta di servizio era crollata. Attraverso resti di legname putrido e calcinacci sgretolati entrarono.
Tony si guardò intorno. La casa era splendida all’interno: pavimenti scintillanti di marmo, lampadari dorati e il ricercato arredamento del XVII secolo. Anche un bambino trovava assurdo che si fosse conservata così, senza neppure un granello di polvere.
"Cris, non è strano?" ma Cris non c’era. Non erano entrati insieme?
Anche Cris era entrato nella villa, ma il suo stupore, dopo aver varcato la soglia, fu addirittura maggiore di quello di Tony.
Una radura in un bosco. Come diavolo era finito lì? Chiamò più volte Tony, ma senza risposta. I rami degli alberi erano neri e le loro fronde spesse e buie. Una nebbia grigia e sottile schermava i raggi del sole.
"Tony! Tony!"
Tony tornò alla porta di servizio per vedere dove fosse finito Cris, ma… com’era possibile? La porta non solo era chiusa a chiave, ma era sui suoi cardini, nero legno liscio e pulito. Tony iniziò ad avvertire un nuovo terrore. Non sapeva cosa fosse meglio fare. L’idea di visitare la villa stregata, che aveva trovato tanto eccitante fino a mezzo minuto prima, gli sembrava più pericolosa che il vecchio cane da guardia dello zio Max. Decise di cercare un’altra porta da dove uscire: doveva trovare quella principale.
Mentre Tony attraversava il corridoio che portava alle stanze del piano terra, Cris se ne stava impietrito nel bosco, consapevole delle lacrime che stavano scendendo sulle sue gote. "Tony…" bisbigliò, invano, di nuovo.
Tony era giunto nel salotto. Era certamente la dimora di persone molto ricche, magari nobili. Nonostante gli si presentasse alla mente l’immagine di una graziosa signora vestita con un lungo abito di broccato ricamato di perle, un continuo senso di terrore mordicchiava i suoi nervi. Fece appena in tempo a notare alcuni eleganti arredi del salone: un pianoforte a coda, una libreria di mogano, alcune poltroncine di velluto rosso, che un’altra persona entrò nel salotto. Era sì una signora con un abito raffinato e barocco, ma non era affatto graziosa come Tony aveva fantasticato. Il volto della donna era segnato da rughe profonde e contorto in una smorfia, che poteva essere di dolore, malignità o infelicità. Per un attimo, Tony sperò che la donna non riuscisse a vederlo, ma la signora, con uno strano accento, si rivolse al bambino: "Chi sei tu? Che fai nella mia casa?"
"Sono entrato da là." indicò la direzione da cui era giunto "ma la casa era distrutta e disabitata."
"La casa è distrutta e disabitata" sorrise la donna, ma senza gioia.
"Sei un fantasma?" chiese Tony.
"No!" e rise di cuore.
Cris camminava nel bosco già da ore, il sole sempre lontano e sempre più basso, eppure non riusciva a trovare altro che boschi e radure. Anzi, la radura – ormai ne era convinto – era sempre la stessa! Inutile fermarsi, camminare, correre: tornava sempre lì. Aveva i capelli arruffati, le gambe e le braccia graffiate dai rami spinosi e il cuore che rullava impazzito, spaventato da ogni contatto con gli alberi e da ogni voce del bosco.
La donna osservava Tony con occhi famelici. Se non è un fantasma, è di certo una strega crudele, pensava il bambino.
"Mai entrare in questa casa, se si pensa di uscirne." disse lei all’improvviso "Pochi son coloro che possono farlo, coloro che sanno i segreti passati."
"Signora…" iniziò Tony, ma la signora proseguì senza distogliere gli occhi da lui. "Questa è la mia dimora. Mia e dei miei servitori. Ti darò una possibilità di uscire."
Rise di nuovo, ma a Tony sembrò una sghignazzata spaventosa, orrenda, nefasta.
Cris si accasciò esausto ai piedi di un albero. Il terreno era umido e fresco, coperto d’erba tenera, gialla. Non sarebbe più tornato a casa, lo sapeva. Si era inizialmente illuso di poter trovare un sentiero che dal bosco lo riportasse in città. Si sarebbe accontentato di una qualsiasi città, una semplice casa dove chiedere se, per favore, potevano riportarlo dai suoi genitori. Si sentiva in colpa per l’idea di visitare la vecchia villa stregata, che tutti dicevano popolata di fantasmi. Chissà Tony dov’era, era anche lui nel bosco? Magari, in un altro bosco, condannato anche lui a vagarvi alla ricerca di un sentiero e a morire di fame nel giro di pochi giorni.
Quella era ormai l’idea fissa del povero bambino: sarebbe morto di fame, nessuna pianta presentava il più piccolo frutto o la minima bacca e lui non sapeva neppure arrampicarsi su quegli alti alberi per cercare se vi fosse qualche uovo nei nidi.
La donna si avvicinò a Tony e gli pose una mano su una spalla.
"Come ti chiami?" gli chiese.
"Tony" bisbigliò.
"Tony… strano nome. Vorresti divenire uno dei miei servitori?"
"Che… cosa… devo fare?"
La donna represse un ghigno. "Morire. Morire dovresti in ogni caso, quindi, non hai da preoccuparti. Soltanto, potresti continuare a venir in mio aiuto anche dopo."
Tony cercò di scappare, ma la mano della signora era forte e inesorabile.
"Resta qui!" ringhiò "Deciderò io la tua sorte!"
Al tramonto, Cris se ne stava raggomitolato nel bosco, gli occhi rossi e le mani gelide. Aveva cercato se ci fosse almeno un piccolo torrente, ma senza alcun risultato. La sete non aveva ancora seccato la sua gola, ma avrebbe venduto volentieri tutti i suoi giochi in cambio di un sorso d’acqua. Ed avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare a casa…
Sentì una voce all’improvviso.
Una donna, vestita di una lunga tunica scura, cantava una nenia in una lingua a lui sconosciuta. Portava una bisaccia sulle spalle e una torcia nella mano destra. Quando fu più vicina, Cris si accorse che si stava dirigendo verso di lui.
La donna era giovane, ma il suo viso era solcato da piccole rughe e contorto in una smorfia, che poteva indicare dolore, malignità o infelicità.
Fece una domanda al piccolo Cris, che però non capì cosa dicesse.
"Non capisco, signora, mi scusi."
Provò a dirglielo anche nel suo stentato inglese, ma la donna continuava a dirgli chissà cosa nella sua strana lingua. In effetti, tanto strana non era: assomigliava remotamente all’italiano. Cris immaginò che stesse parlando in latino: questo lo spaventò ancora di più e rimase a tremare e ad implorarla di aiutarlo, di non fargli del male, mentre la donna lo legava contro il tronco di un albero.
La signora aveva condotto Tony in una piccola stanza, sempre arredata con cura, lo aveva salutato dicendogli: "Attenderemo il tramonto." e se ne era andata, chiudendo la porta a chiave.
Era lo stesso terrore che pulsava nel cuore dei due amici, al tramonto del sole, mentre la donna li legava per l’esecuzione. Nel medesimo punto sorgevano il vecchio castagno e il piccolo altare di pietra nella villa della donna.
Con le stesse corde ella legò le braccia sottili, con lo stesso rito invocò i suoi servitori affinché venissero a nutrirsi.
Un pugnale d’argento luccicava nelle mani della donna e il suo viso era più duro e rugoso della corteccia del castagno, della pietra dell’altare. Il sangue gocciolava per terra, scuro come legno dannato. La donna ne bevve, insieme ai suoi servitori, finché i due bambini non giacquero morti ai suoi piedi.
Trovarono due corpi, il giorno seguente, presso la villa. Uccisi entrambi da un ignoto assassino.
La vecchia villa
La vecchia villa stregata. Nessuna meta sembrava migliore ai due amici per trascorrere una domenica pomeriggio di giochi. La giornata era spazzata da un vento freddo e violento, mentre Tony e Cris, dieci anni ciascuno, giungevano di fronte al vecchio cancello rugginoso. Le erbacce crescevano incolte e aggrovigliate, come ruvida lana non cardata da secoli. I piedi dei due bambini tracciarono un timido sentiero fino alla porta d’ingresso.
Fu scandagliata la vecchia villa cadente, ma non si trovò altro che anziani mobili grigi di polvere, specchi rotti dal tempo e nidiate di ratti. Un altare di pietra recava macchie recenti, ma nessuno lo vide, murato dietro una parete recente.
Elisa Penini