Qualcuno di voi ha preso nota della novità? Sì, proprio quel piccolo adesivo sulla copertina di alcune fra le ultime uscite discografiche che recita "Copy Controlled"…
Ebbene, dell’esistenza di una legislazione contro la pirateria eravamo tutti al corrente da tempo. Conoscerne i limiti e le pieghe recondite non mi ha mai interessato più di tanto: immaginavo dovesse essere materia di studio piuttosto per chi in tale pieghe ambiva poi ad infilarsi, non visto, per trarre profitto dalla duplicazione di prodotti musicali e dalla loro successiva commercializzazione. L’esistenza della pirateria musicale è sempre stata, d’altronde, ancora più visibile delle contromisure prese allo scopo di arginarla. Chi non ha mai avuto per le mani un CD masterizzato, in particolare oggi che i dispositivi di copia fanno parte dell’equipaggiamento standard di tutti i PC in vendita? Che la pirateria danneggiasse l’industria discografica, peraltro già impegnata strenuamente a danneggiarsi da sé con una politica dei prezzi a dir poco assurda, era altrettanto ovvio. Meno scontata era la valutazione degli effetti che il recente sistema anti-copia avrebbe avuto sull’utente medio…
Non so voi, ma a me ben di rado capita di ascoltare un intero CD dall’inizio alla fine. Voglio dire, lo faccio la prima volta, tanto per capire cosa mi sono messo in casa e decidere se si è trattato di una buona mossa; ma dalla seconda in poi programmo il lettore o, ancora più saggiamente, includo le canzoni che mi interessano in una compilation assieme ad altre che mi va di ascoltare e inserisco quella nel walkman. Da oggi la pacchia è finita! Il mite e docile consumatore, che deve stare zitto e sborsare la bellezza di venti euro ogni volta che si azzarda a portare una nuova uscita alla cassa, non più nemmeno servirsi del sudato dischetto come meglio crede. Eh già, perché ovviamente il copy control non fa distinzioni: semplicemente, impedisce la duplicazione della traccia in qualunque caso, sia che l’intenzione fosse di smerciare il risultato per le vie del quartiere, sia che più modestamente si volesse solo inserire un singolo brano nel potpourri di propria creazione a proprio esclusivo uso e consumo. Invece no. Paga e taci, idiota! Ecco la logica che sottintende l’opera delle multinazionali del disco!
Volete sapere una cosa? La misura è colma. Ho incassato il primo colpo con il CD di Dave Gahan, e passi; ho chinato nuovamente la testa per i Jane’s Addiction, che includo volentieri nel novero delle Parigi che valgono bene una messa; ma il secondo lavoro dei B.R.M.C., che pure mi interessava e che avrei in altre circostanze comprato senza pensarci due volte, è rimasto sullo scaffale. No, grazie: se le condizioni sono queste, tenetevelo pure. Ci sono nomi per i quali lo zoccolo duro dei fan spenderebbe anche cinquanta euro ad uscita, ma non si può pretendere che una sola campagna promozionale azzeccata e qualche opportuno passaggio in radio o su MTV facciano da lasciapassare per il portafoglio dell’acquirente medio senza colpo ferire. Il fascino di scoprire volti nuovi rimane immutato, ma a venti euro a botta e senza nemmeno la possibilità di masterizzarsi le proprie compilation il gioco non vale più la candela. Al diavolo le major! Falliscano miseramente, travolte dai debiti, e mi presenterò alle loro esequie ridendo come un matto. Non ci sarà nemmeno bisogno di scavare loro la fossa, visto che ci hanno pensato da sole in questi ultimi anni!
Certo, la Universal ha operato a partire da ottobre un taglio dei prezzi sul proprio catalogo… prima di lasciarsi andare a facili entusiasmi, però, considerate che 1) il costo di produzione di un CD era e rimane tuttora irrisorio rispetto al prezzo di commercializzazione; 2) un simile taglio, tutto in un colpo solo, non fa che aprire gli occhi sul margine di guadagno a dir poco impressionante vantato (poco importa se dalla casa discografica, dal distributore o dal negoziante al dettaglio) fin qui sul prodotto venduto. Sarà anche meglio di niente, ma suona proprio come un pentimento fuori tempo massimo.
Soluzioni? Mi permetto di suggerirne una, che prescinde dal pur florido ed incontrollabile fenomeno del file-sharing in rete. Lasciamo pure a venti euro i CD che veramente li valgono. Anzi, pur tirandomi la zappa sui piedi dico prendiamo per la gola il collezionista con edizioni sciccose, booklet omni-comprensivi, grafica curatissima e propiniamogli i grandi classici a venticinque: li valgono tutti, quindi verranno comprati comunque. Se volete, manteniamo nello stesso price range anche la musica che fa impazzire i ragazzini: se i Limp Bizkit vendono milioni di CD ai prezzi attuali, che senso ha abbassarli? Facciamo però un discorso diverso per gli emergenti: sono le band alle prime armi che dovrebbero beneficiare di un deciso abbassamento dei prezzi, diciamo almeno a otto-dieci euro. Molta più gente sarebbe stimolata a fare conoscenza con la loro musica, e se ne decretasse il successo anche loro potrebbero in seguito fare ingresso nel novero dei gruppi di fascia alta; con piena soddisfazione propria e della casa discografica, e con rammarico solo moderato da parte dell’ascoltatore, che potrebbe a suo piacimento decidere di lasciar perdere e rituffarsi nella ricerca della next best thing.
Copy Controlled
Fabrizio Claudio Marcon