tra pensieri, parole e omissioni
…che cosa importa ai viaggiatori delle città che restano indietro alle fermate del treno…
(Musil)
Si avvicina la pausa per il pranzo e vedi che improvvisamente tutto si ferma, tutto tace, tutto scompare dalla tua vista per concentrarsi in una saletta dove il forte profumo degli spaghetti aglio olio e peperoncino (molto peperoncino) sbaraglia quello del sudore dei lavoratori che, evidentemente, sono riusciti a sudare ben poco lavorando o, altra faccia della medaglia, a lavorare ben poco.
Con poca fatica molti guadagnano, molto o poco dipende dalle esigenze, ma guadagnano
Vedere persone che in un’ora riescono a studiare cinquanta pagine di un tomo perché a loro basta leggerle una volta per capirle ed impararle mi ha sempre provocato invidia o meglio ammirazione. E io cercavo di essere migliore e di leggere sessanta pagine in un’ora, ma poi dovevo rileggerle altre dieci volte per impararle, me tapino!
Tanto di cappello a chi riesce a ottenere i risultati con poca fatica e frustate a chi non li ottiene con nessuna fatica, ma perché mi hanno insegnato che chi ha tempo non aspetti tempo e che a fare un lavoro fatto male o fatto bene si impiega lo stesso tempo con la differenza che generalmente se lo si fa male bisogna farlo una seconda volta? Perché non riesco a stare con le mani nelle mani per un’ora ma devo sempre fare qualcosa? I tempi lavorativi non sono i miei; ci sono troppe pause che devo riempire e se non ho altro da fare faccio i fatti miei, sembrando sfaticato: datemi qualcosa da fare, altrimenti lasciatemi in pace; io ho i miei ritmi e se sono troppo veloce impiego il tempo rimanente curando e sviluppando i miei interessi e non rompete!
C’è chi è in una determinata posizione perché qualcuno ce l’ha messo o perché è amico di qualcuno e chi ne occupa un’altra perché non ha mai voluto chinare il capo davanti agli altri. Come sempre la verità sta nel mezzo, ma è difficile cavalcarla. Chi rifiuterebbe un favore ad un amico o chi rifiuterebbe un favore di un amico? Certo in determinate situazioni gli amici spuntano come funghi e si diventa amici di amici di amici, ma se una persona ha un minimo di orgoglio si sentirebbe una volontà: è stato scelto non per quello che è ma per le conoscenze che ha.
Mi è capitato di essere stato raccomandato solo una volta, per essere ammesso in un collegio universitario e devo dire che mi sono sentito veramente male. Probabilmente sarei riuscito ad entrare lo stesso dato che i parametri erano abbastanza standardizzati, ma per sicurezza una persona influente mi ha dato la classica spintarella. Per questa persona era una cosa abituale raccomandare a scatola chiusa tutti quelli che glielo chiedevano e probabilmente per lui ero solo una dei tanti, ma per me la situazione era particolare. Non avevo il coraggio di guardarlo negli occhi per gli anni successivi, mi vergognavo di me stesso e mi impegnavo al massimo per dimostrare che la sua fiducia era stata ben riposta. Ho sempre confermato con anticipo il posto dando tutti gli esami e non ho mai sgarrato con i pagamenti. Ma mi trovo sempre in soggezione quando lo incontro, anche se lui non mi riconosce più, e forse non mi ha mai riconosciuto. Perché devo ottenere qualcosa che qualcuno merita più di me? Perché devo appropriarmi di qualcosa che non mi spetta? Non so, anche qui sono sbagliato, ma preferisco arrivare ultimo senza avere barato, che primeggiare usando sostanze dopanti: è questione di etica; così come è questione di morale non fregare a priori la gente.
Mi sono trovato per un periodo della mia vita a fare il venditore. Dovevo commercializzare un prodotto che nel rapporto qualità – prezzo non era competitivo per il compratore. Avrei potuto inventare fandonie e convincerlo, ma non ne ero convinto io e così ho provato a tacere sui limiti del prodotto, seguendo il detto che non dico quindi non mento, ma se qualcuno mi interrogava nel modo corretto ero costretto a dirgli la verità e a confermargli che facevano bene a non comprare, anzi, ferito nell’orgoglio, ero io che li consigliavo di non comprare: sono stati di più i clienti che ho preferito non convincere che quelli che ho gabbato.
Come al solito qualcuno ha apprezzato la mia sincerità e la mia onestà e mi è stato riconoscente, qualcuno mi ha anche consolato dicendo che non era colpa mia, qualcuno mi ha consigliato di cambiare lavoro, qualcuno si è preso gioco di me. Va bene così. Meglio falliti ma con la coscienza a posto che vincenti ma con i rimorsi, il problema è che non sempre chi è vincente ha la coscienza per provare rimorsi.
E già perché io ho l’abitudine, la sera quando sono a letto, prima di dormire, di riesaminare la mia giornata. Vado alla ricerca non tanto di ciò di positivo che ho fatto, quanto di quello che di negativo è accaduto per causa mia: è indispensabile che mi comporti bene se voglio riposare.
Mi capita di riflettere su una discussione che ho avuto e di analizzare il perché e il per come mi sono comportato in una determinata maniera e ho detto determinate cose; cerco di mettermi nei panni del mio interlocutore e di guardare la cima dall’altro versante per scoprire qual è il crinale più agevole e meno pericoloso; cerco di capire se e dove ho torto per rendere ogni parola ed ogni critica mossa la più costruttiva possibile. Sono presuntuoso e alla fine raramente trovo deficienze nel mio modo di ragionare e di agire, ma mi metto sempre in discussione per poter prendere il meglio dagli altri e saper riconoscere il peggio per poi evitarlo come la peste.
Raramente mi è capitato di condannare un comportamento e poi di assumerlo io stesso, ma a volte è capitato, d’altronde al cuore e ai sentimenti è difficile porre controllo: le volte che ho perseverato nel mio errore è stato quando accecato dall’amore non mi rendevo conto di essere caduto in fallo: faccio ammissione di colpa. Anch’io posso errare.
Una tranquilla giornata in fabbrica,
Spalla (Continua)