a Paola
E’ stato un vero colpo di fortuna! Sono seduto in uno scompartimento di prima classe, declassato, di quelli che si vedono solo nei paesi lontani. Strano ritrovarlo in luoghi così familiari. I sedili, insolitamente comodi per un treno, rendono agevole il riposo. E’ giorno, ma l’attività di commesso viaggiatore mi ha impedito di dormire in questi ultimi mesi. Sono molto stanco, ed è forte il desiderio di tornare al paese. Quanto potrò dormire tra le mura domestiche! E poi, dopo un bagno rilassante, potrò scendere in piazza a salutare gli amici, quelle persone che non vedo da tempo, e che, probabilmente, si sono scordate di me. Ma quanti ricordi potremmo evocare! Con il mio nuovo mestiere non ho nessuno che possa ricordarmi; mi rimangono solo loro, quelle persone che in poche settimane sembrano dimenticarsi di me.
Sono stanco, e le comode, quanto spaziose, poltrone di prima classe mi consentirebbero facilmente di prendere sonno. Ho così voglia di dormire che le ciglia pesanti cadono sui miei occhi di vetro.
Purtroppo, però, la stazione dell’arrivo dista solo poche ore di marcia. Addormentandomi potrei correre il rischio di svegliarmi in ritardo, perdendo l’unica fermata. Un solerte capostazione mi rimprovererebbe certamente di questo mio sbaglio. “Non è possibile tornare indietro” sosterrebbe, quasi dispiaciuto, “mi scusi, ma devo trattenerla con noi, forse per sempre.” Non mi rimarrebbe che accettare quell’inevitabile stato di cose, anche perchè non avrei pistole per potermi difendere. Uccidere il capostazione non servirebbe certamente a nulla, anzi, aggraverebbe la situazione, ma mi riempirebbe di grande soddisfazione. No, non posso correre il rischio di non svegliarmi per tempo. Ma ho così voglia di dormire… la testa
è stanca, i sensi intorpiditi. Purtroppo, e sono troppo stanco per continuare a pensarci, questa antinomia non ha soluzione.
Di fronte a me, spostata verso il finestrino, si è seduta un’attraente fanciulla. E’ appena più grande di me, contingenza facilmente intuibile dalla severa espressione del viso. Il suo trucco è sottile, non evidente, a sottolineare labbra appena pronunciate, mentre qualche piccolo neo si disegna sulla sua pallida pelle di vetro. Un delicato vestito bianco di lana ricopre quel corpo, lasciando in parte scoperte due gambe fredde e flessuose. La sua severa espressione, unita a folti capelli che non riescono a trovare una giusta posizione, la rende particolarmente piacevole. Ma non ho interesse per lei. Da tempo, infatti, ho rinunciato a quelle rapide avventure che ho sempre ottenuto con sorprendente facilità. Vorrei solo, se solo distogliesse per un momento lo sguardo dal suo libro di scuola, chiederle di svegliarmi alla stazione del mio arrivo. Non le sarebbe di alcun sforzo darmi un piccolo strattone. Questo sarebbe sufficiente per svegliarmi, e mi consentirebbe di scendere per tempo. Ma la fanciulla, assorta dalla sua lettura, non sembra riservarmi la minima attenzione.
Forse dovrei provare in qualche modo ad attirare la sua attenzione. E se poi, a quel punto, la fanciulla mi facesse notare che è poco galante disturbare in quel modo qualcuno che non si conosce? E se chiamasse l’attenzione del capostazione per farmi scaraventare fuori dal treno in rapida corsa? Tutti i mie sforzi, in quel caso, andrebbero perduti. Forse, poi, la ragazza scenderà prima del mio arrivo; forse potrebbe a sua volta addormentarsi con me e, per questo, non riuscire a svegliarmi per tempo; forse potrebbe decidere intenzionalmente di non svegliarmi, per vendicarsi di quella disdicevole seccatura; forse, infine, si sta chiedendo se quel giovane seduto di fronte a lei potrebbe svegliarla alla stazione del suo arrivo.
Sono sempre più stanco, ma a questo punto, inevitabilmente, non resta che soffrire, e aspettare la stazione dell’arrivo, sperando di non addormentarmi. La fanciulla ha da tempo lasciato questo scompartimento. Alzandosi dal suo posto mi ha lanciato un’ultima occhiata. Se non fossi così stanco giurerei di aver visto un sorriso.
Il treno
Raffaele Gambigliani Zoccoli