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Quale riforma fiscale?

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Quale riforma fiscale?

Ormai credo che anche i muri siano convinti della necessità di riorganizzare l’azienda Italia, onde evitarne il fallimento. Vorrei occuparmi dei principi che dovrebbero essere considerati nel riorganizzare l’aspetto delle entrate che ha avuto un ruolo molto importante nella formazione della stratosferica cifra di duemilionidimiliardi di debiti (vi ricorda qualcosa?).
Quasi tutte le forze politiche danno per acquisito il federalismo fiscale (almeno a parole) come punto di partenza per la riforma fiscale.

Quando il ministro delle finanze, Giulio Tremonti rese pubblico il suo
Libro bianco, il Governo Berlusconi era oramai giunto al termine del suo cammino, e con esso la prospettiva di discutere in Parlamento la sua proposta (e quelle eventualmente avanzate dall’opposizione, tra cui il PDS che avrebbe presentato la riforma studiata dal professor
Visco e dai suoi collaboratori). Ne deriva la scarsa pubblicità data a questi progetti.

Ma perchè la riforma fiscale dovrebbe gettare le basi sul federalismo fiscale?
La risposta è molto semplice, basta che vi guardiate attorno. La burocrazia italiana (che genera le file quotidiane degli sportelli pubblici e le lungaggini per le pratiche) è figlia di un apparato eccessivamente centralizzato che tende a deresponsabilizzare gli apparati periferici, e per questo a rendere difficoltoso il giudizio su chi gestisce le amministrazioni locali, dal momento che queste hanno l’alibi dell’immobilismo dell’apparato centrale.
Il federalismo dovrebbe aiutare a rimettere in funzionamento il circuito voto-pago-vedo-voto.
Io contribuisco all’elezione (voto) di un certo sindaco; se questo avrà i mezzi finanziari per lavorare (pago) e non avrà l’alibi della burocrazia centrale io potrò giudicare il suo operato (vedo) e alla fine decidere se alle successive elezioni sarà ancora degno della mia fiducia (voto). Se le amministrazioni locali avranno una loro autonomia fiscale e se a questa si aggiungerà (in un secondo momento) una autonomia amministrativa, i sindaci non potranno più affermare che hanno fatto lo stadio nuovo invece di rifare le fogne perchè hanno avuto fondi solo per lo stadio (sistema dei capitoli di spesa).

Qualcuno potrebbe chiedersi se sia necessario mettere mano alla
Costituzione per poter attuare una riforma fiscale basata sul federalismo; ebbene non è necessario perchè l’Art. 119 della
Costituzione stessa recita: “Le regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni.
Alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali, in relazione ai bisogni delle Regioni per le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali…”
Ma, se da un lato la Costituzione permette di attuare il federalismo fiscale, dall’altro impone pur sempre dei vincoli, rappresentati dai principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività del sistema (Art. 53 che recita: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.”)

Insomma almeno in una prima fase non c’è bisogno di modificare la
Costituzione, basta solo spostare il prelievo verso le amministrazioni locali. Tuttavia è necessaria una riforma per attuare il federalismo fiscale perchè la struttura attuale dei tributi non è estraibile dal contesto nazionale.

Ora vorrei spendere due parole sulle proposte di Tremonti (Polo) e su quella di Visco (Progressisti):

La riforma di Tremonti (Polo)

Gli obiettivi della sua riforma sono sostanzialmente tre:
a)    spostare l’asse del prelievo dal centro alla periferia (federalismo fiscale). Questo può essere possibile portando le imposte locali dal
20 al 30% e riportando la gestione dei beni del demanio nelle mani degli enti locali; b)    spostare l’asse del prelievo dalle persone alle cose (dal reddito al consumo). Ciò può essere possibile distribuendo meglio le tasse tra redditi, patrimoni e cose. Le imposte sulle cose dovrebbero passare dal 40% dell’intero gettito al 46%. Obiettivo dichiarato è colpire meno chi lavora e produce ricchezza; c)    dal complesso al semplice (da oltre 100 tributi a 8). Da 100 tasse a 8. Da 3368 leggi e decreti fiscali a 1 solo codice tributario. Minor documentazione da presentare all’amministrazione fiscale (che liberata in parte potrebbe dedicarsi maggiormente ai controlli). Riforma del diritto penale tributario;

Altri punti importanti della proposta riguardano la facilitazione dei controlli bancari effettuati dall’amministrazione finanziaria
(attualmente questa ha un certo potere di richiesta di informazioni presso le aziende e gli istituti di credito, ma in concreto per le verifiche dei conti bancari deve interpellare contemporaneamente tutti gli operatori del settore con costi elevatissimi) e la riorganizzazione dell’amministrazione finanziaria (sportello del contribuente).

La riforma di Visco (Progressisti):

Il progetto dei progressisti è ispirato a principi di semplificazione
(riduzione del numero delle imposte), allargamento delle basi imponibili e riduzione delle aliquote (a parità di gettito finale).
La larga autonomia impositiva è giustificata dal trasferimento agli enti locali decentrati delle decisioni sulla fornitura di beni e servizi pubblici a parte quelli di cui beneficia tutta la nazione
(come la difesa e la giustizia).
A prima vista, e dati alla mano, sembrerebbe una proposta addirittura più federalista di quella di Tremonti. L’applicazione della riforma proposta dal PDS porterebbe i tributi propri dei comuni dal 38,5 al
46,5%; le province passerebbero dal 12,8 al 53,9%, mentre le regioni passerebbero dal 6,5 al 57,5% (le percentuali significano tributi propri su totale entrate e sono calcolate a parità di gettito prima-dopo riforma). Fatto qualche calcolo emerge che l’imposizione propria delle amministrazioni locali passerebbe dal 20 al 53% (ricordo che la proposta Tremonti porterebbe lo stesso dato dal 20 al 30%).
Il progetto prevede l’abolizione di alcune imposte statali (tra cui l’Ilor, tassa di circolazione, iscrizione al PRA, Iciap, contributi sanitari e altre) e l’istituzione di altre a carattere locale tra cui l’IRVAP (imposta regionale sul valore aggiunto delle attività produttive)
Del sistema attuale rimarrebbero in piedi l’Irpef, l’Irpeg e parte delle imposte sui consumi (queste imposte servono a finanziare lo stato centrale). Sarebbero previsti meccanismi di perequazione automatici per salvaguardare i diritti delle regioni più deboli
(solidarietà).

In conclusione si può affermare che le due proposte sono ispirate dal federalismo fiscale (quella del PDS in modo più marcato), lasciano in piedi Irpef ed Irpeg (abbassandone le aliquote), prendono in esame il problema della solidarietà e semplificano il sistema riducendo il numero dei tributi, ma sono tuttora solo un insieme di parole e non di fatti. Nella speranza che presto si cominci a discutere sul serio in
Parlamento su questo tema vi porgo i miei migliori saluti,

Tonyk

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