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Il Marchese del Grillo

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C’è il gusto per lo sberleffo e per la risata, prima di tutto.

C’è la componente ludica dell’agire umano, della forza anarchica dello scherzo che ribalta ordini e consuetudini, morali e posizioni sociali.

Il marchese Onofrio Del Grillo è proprio questo, un uomo che attraverso i suoi scherzi ribalta (ma solo in apparenza) l’ordine sociale, fregandosene di tutto e di tutti. Il marchese Del Grillo è un anarchico e un gran paraculo, uno che non fa distinzione tra i poveracci del popolo o gli alti prelati della chiesa, che prende di mira tutti solo e sempre per il suo sano divertimento. Un anarchico della risata, che ha della giustizia o della politica una visione idealista e allo stesso tempo mediocre, perché se da una parte cerca di mostrare i paradossi del suo tempo dall’altra non fa mai nulla per cambiare il suo mondo.

Il marchese Del Grillo vive tra i fasti del suo passato, della sua casata nobiliare e i sogni di un futuro diverso, infarcito di idee rivoluzionarie (Napoleone e la Francia). Rimane però sempre e solo fedele a se stesso, ai suoi privilegi e al suo nome, pentendosi solo quando è necessario e sempre pronto ad architettare la prossima burla, scegliendo con cura la sua vittima.

Monicelli ricostruisce una Roma fatta di luoghi comuni e stereotipi (visivi quanto narrativi), riesce a dare profondità psicologica solo a due personaggi (il marchese e il papa) mentre tutti gli altri rimangono macchiette o maschere, se la prende senza mezzi termini con il clero e tratta allo stesso modo il popolo che ne esce fuori in tutta la sua vigliaccheria e il suo semplicismo. Monicelli svela le meschinità della Storia attraverso i suoi paradossi senza però nessuna coscienza politica o ideologica. C’è solo una gran voglia di ridere e divertirsi e di non avere pietà per nessuno. La cattiveria in alcuni momenti è sana e feroce e dimostra una libertà di giudizio e di espressione che ha comunque il suo valore. Quello appunto di non dover dipendere da niente e da nessuno se non dal proprio modo di vedere le cose.

Alberto Sordi è dirompente. Scaltro oratore che affonda i denti in una trivialità giocosa e cinica, mordendo le chiappe tanto ai morti di fame quanto a preti, ebrei e vescovi, non si tira indietro davanti a nulla. Se non per mostrare, ma solo quando gli fa comodo, un senso della giustizia che ha sempre il sapore della provocazione più che di una presa di coscienza civica e politica.

Sordi poi coglie l’occasione di una svolta narrativa (il personaggio di Gasperino Carbonaro) per dar vita anche alla sua anima popolare, a quella voce ancora più volgare e cruda ma allo stesso tempo sincera e giocosa che lo mette nelle vesti del poveraccio, dello sfruttato, della vittima dei potenti e della Storia. Anche in questo caso non c’è nessuna lettura critica contro lo sfruttamento del popolo nel corso dei secoli ma solo il pretesto per dare ancora più spazio alla performance di Sordi. I suoi stati di ebbrezza alcolica sono meraviglia per il cuore.

Il marchese del grillo è una commedia che fa ridere, tanto, e che affronta l’esistenza umana con leggerezza ma anche con molta cattiveria. Il film ha i suoi limiti, come dicevo, nell’eccessiva caricatura di alcuni personaggi e nella loro tipizzazione, ma dimostra anche la capacità degli sceneggiatori di creare una storia molto divertente e piena di spunti comici notevoli.

Sordi, naturalmente, può permettersi di tutto.

Perché come dice, sorridendo verso la macchina da presa, mentre sale in carrozza:
Io so io – e voi non siete un cazzo!

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