Secondo appuntamento con “Insolita Musica”. Vi parlerò dei suoni registrati dallo spazio (sovente utilizzati come sorgenti o campioni per fare un certo tipo di musica), della Boston Typewriter Orchestra (un gruppo bostoniano che fa musica con le macchine per scrivere) e del geniale musicista e inventore di strumenti elettronici Raymond Scott.
Vi anticipo il seguito: nel terzo articolo a venire vi proporrò uno strumento di vechia e consolidata tradizione folk e blues, la chitarra Dobro, e una sua particolarissima evoluzione nella famiglia delle arpe eoliche (strumenti musicali); un singolarissimo progetto di nome “Vegetable Orchestra”, un gruppo di artisti provenienti da Vienna che suona solo strumenti ricavati da vegetali vari, specialmente ortaggi (artisti); infine un disco registrato nelle grotte di Toirano e di Borgio Verezzi dall’ex Aktuala Walter Maioli e sua figlia Luce, attualmente titolari di progetti di assoluto rilievo (Synaulia, Soundcenter). La sua particolarità? Walter e Luce vi suonano stalattiti e stalagmiti.
LA MUSICA DELLE SFERE
Negli ultimi anni, grazie all’evolversi della tecnologia connessa alla esplorazione dello spazio, l’umanità ha cominciato a conoscere davvero i suoni dell’universo finora fantasticati da molti musicisti elettronici e psichedelici o, meglio, quella musica delle sfere che già gli antichi intuivano come unione di armonie prodotta dalla “girazione” delle sfere celesti (Cicerone): “E’ il suono che sull’accodo di intervalli regolari, eppure distinti da una razionale proporzione, risulta dalla spinta e dal movimento delle orbite stesse…” Pitagora, secondo Giamblico, sarebbe stato in grado di udire in una sorta di trance quella musica celeste prodotta dagli astri. Secondo la teoria pitagorica, il tessuto dell’universo era composto di ritmi, numeri e proporzioni e i sette pianeti allora conosciuti, cinque più Terra e Sole, suonavano e risonavano tra loro come le sette note naturali o sette corde. Il cosmo, secondo Pitagora, poteva quindi costituire un vero e proprio sistema armonico. Aristotele, non proprio convinto dalla teoria di Pitagora, disse che i mortali non potevano udire quella celeste armonia perché il suono del cosmo era presente da sempre, fin dalla nostra nascita, sicché l’uomo avrebbe potuto accorgersene solo in presenza di un silenzio assoluto, il quale avrebbe dovuto comportare la cessazione del suono stesso degli astri.
Oggi invece, grazie soprattutto ai radiotelescopi e alle sonde che esplorano il Sistema Solare, possiamo senz’altro cominciare a udire l’universo e disporre anche facilmente di suoni provenienti dal cosmo. L’universo, finora associato al silenzio supremo, si sta rivelando un posto davvero molto rumoroso, dove l’energia si manifesta ovunque in forma di vibrazioni sonore. Secondo Craig Hogan, professore di fisica all’Università di Washington, i suoni sono paragonabili per timbri e varietà alla foresta tropicale o a un finale di Wagner. Hogan ha progettato un’antenna per ascoltare la musica del cosmo e per indagare specificatamente sui buchi neri, che lui chiama “il sussurro delle stringhe cosmiche”. Vi sono numerosi siti dai quali è possibile ascoltare suoni provenienti dallo spazio captati dai radiotelescopi. In alcuni casi è sufficiente una radio a onde corte o VLF (Very Low Frequencies): è il caso dei cosiddetti spherics, tweeks e whistlers, ovvero suoni crepitanti o fischi glissati discendenti causati dai fulmini terrestri nella ionosfera. Un sito che raccomando per il buon numero di registrazioni disponibili è http://www.spacesounds.com/ Nello spacesound navigator potrete ascoltare il suono del nostro Sole, i suddetti spherics, tweeks e whistlers, lo Sputnik, i cosmic debris (ossia quel che sentirebbero eventuali civiltà aliene provenire dalla nostra atmosfera, un magma sonoro fatto di segnali radio, tv, di cellulari e aereoplani e quant’altro); quindi il Lion’s Roar, un suono prodotto dal plasma solare nella nostra magnetosfera simile al ruggito di un leone, la magnetosfera di Ganimede e di Giove, le particelle di polvere dell’anello di Saturno che colpiscono l’antenna radio del Voyager 2, alcune pulsar, la cui veloce rotazione produce pulsazioni di radiazioni polarizzate, il buco nero GRS 1915+105 e, dulcis in fundo, i Big Bang remnants, vale a dire il residuo sonoro del Big Bang da cui si generò l’attuale universo.
Se poi volete ascoltare più di una pulsar (le pulsar hanno suoni differenti l’una dall’altra, secondo la diversa velocità di rotazione), vi consiglio il sito del Jodrell Bank Observatory dell’Università di Manchester. Vi sono diverse pulsar il cui suono è stato captato e registrato dal Lovell Radio Telescope http://www.jb.man.ac.uk/research/pulsar/Education/Sounds/