Il Far East Film Festival di Udine è diventato un appuntamento fisso per noi inviati di Kult, accanto ai Festival storici come Venezia e Torino, e questa nona edizione testimonia l’ottimo cammino intrapreso verso oriente, dove l’industria del cinema è sempre in maggior espansione (almeno nei tre paesi principali Cina, Corea e Giappone), talmente forte da contrastare i colossi di Hollywood. Le cinematografie orientali (ed Udine fu lungimirante, quando iniziò la sua avventura), sono ormai punti di riferimento, oltre che per incassi, anche per qualità, sempre più premiata nei maggiori Festival Internazionali (esempio Venezia 2006). Il Festival di Udine si caratterizza, rispetto ad altri festival più tradizionali, per una sostanziale differenza: “il più grande Festival del cinema popolare asiatico” è la scritta che campeggia all’ingresso del Teatro Nuovo – Visionario, sede ormai storica e consolidata di questo evento. È questa caratteristica di “popolarità”, che per noi cinefili occidentali ha un’accezione negativa e da sempre identifica prodotti di massa e quindi di minore qualità, diventa invece fondamentale per capire meglio culture e tradizione più lontane dal nostro modo di pensare. Significativa in quanto i prodotti nazionali, nei loro rispettivi paesi, rappresentano più del 50% degli incassi totali di un anno cinematografico. Nel 2006 l’industria cinematografica giapponese ha incassato una cifra che ha rappresentato il 53,3% dell’incasso totale al box office (dopo ben tre decenni di dominio hollywoodiano), con ben 28 film che hanno superato il miliardo di yen (per convenzione indice di successo al botteghino in Giappone). Per non parlare dell’industria cinematografica cinese, dove ormai da diversi anni la produzione nazionale si attesta su incassi che rappresentano il 55% del totale, o della Corea, dove i film, nonostante alcuni problemi di sistema dell’industria cinematografica, hanno il pieno appoggio del pubblico, e per alcune pellicole nel 2006 si sono venduti un numero record di biglietti. Chiaramente ci sono zone d’ombra, alcune cinematografie asiatiche sono in crisi (Filippine in testa), alcune con andamenti altalenanti (Thailandia, Hong Kong), ed hanno sicuramente vissuto periodi migliori. Per chi ha potuto visionare durante l’anno i maggiori successi internazionali asiatici premiati nei maggiori festival, il Far East Film Festival rappresenta il completamento indispensabile per capire l’importanza del cinema che ci giunge da Oriente, e di come ormai ci sia un’ampia schiera, anche in Italia, di fans, spesso anche molto giovani, di queste cinematografie. Questo Festival funziona perché lo scopo principale non è quello di selezionare pellicole di assoluta qualità, ma è di dare uno spaccato generale dei gusti del pubblico orientale, nell’accezione consolidata che da sempre il cinema è anche specchio della società che lo produce. Nonostante il premio non sia l’elemento più importante, i film in concorso vengono comunque sottoposti al giudizio di una giuria popolare, dove tutto il pubblico è invitato ad esprime con un voto da 1 a 5, le proprie preferenze su tutte le pellicole visionate. Quest’anno i “migliori” film sono risultati essere in questo ordine:
No Mercy For The Rude – voto 4,60
Regia: Park Chul-hee Anno: 2006 Durata: 113′ min Stato: Corea
After This Our Exile – voto 4,18
Regia: Patrick Tam Anno: 2006 Durata: 160′ min Stato: Hong Kong
Memories of Matsuko – voto 4,12
Regia: Nakashima Tetsuia Anno: 2006 Durata: 130′ min Stato: Giappone
One Foot Off The Ground – voto 4,09
Regia: Chen Daming Anno: 2006 Durata: 106′ min Stato: Cina
13 Beloved – voto 4,06
Regia: Chookiat Sakweerakul Anno: 2006 Durata: 113′ min Stato: Thailandia
Eternal Summer – voto 4,01
Regia: Leste Chen Anno: 2006 Durata: 96′ min Stato: Taiwan
The Host – voto 3,98
Regia: Bong Joon-ho Anno: 2006 Durata: 119′ min Stato: Corea
A Battle of Wits – voto 3,95
Regia: Jacob Cheung Anno: 2006 Durata: 110′ min Stato: Hong Kong
Dog Bite Dog – voto 3,91
Regia: Soi Cheang Anno: 2006 Durata: 109′ min Stato: Hong Kong
Death Note: The Last Name – voto 3,87
Regia: Shusuke Kaneko Anno: 2006 Durata: 140′ min Stato: Giappone
Al di là del valore assoluto che un giudizio di questo genere può indicare, è interessante sottolineare come praticamente tutti i paesi siano rappresentati, individuando un percorso qualitativo comune che fa della cinematografia orientale un blocco consolidato a livello globale. Personalmente sono abbastanza d’accordo sulle valutazioni generali, con ovviamente qualche eccezione, naturali conseguenze di un proprio gusto soggettivo.
Delle pellicole da me visionate, segnalo alcuni film di buona qualità, che contengono spunti interessanti e che meriterebbero di essere visti anche da un pubblico più vasto, oltre che dalla ristretta cerchia di chi ha presenziato a questo Festival. “No Mercy For The Rude” è un film che riprende tematiche molto care al cinema orientale, le pellicole di azione di genere poliziesco. In questo caso il protagonista è un killer, diventato tale perché da sempre affetto da una forma di mutismo, e nella speranza di una miracolosa guarigione, necessita di molto denaro per una costosa operazione all’estero. Per accettare il suo ruolo si è però dato una regola morale: quella di essere un killer con stile, che fa fuori solo chi di stile non ne ha. La sua figura di riferimento è infatti quella del toreador. Il personaggio, dovrebbe incarnare tutta quella tradizione di solitudine e mistero tipica del cinema noir, ma in realtà risulta essere estremamente comico, a tratti macchiettistico. L’intera storia quindi è un’alternarsi di situazioni divertenti, violente e melodrammatiche, che rendono la pellicola estremamente viva e coinvolgente. Da segnalare, per noi pubblico italiano, la curiosità della colonna sonora, “Bella Ciao” (proprio il nostro pezzo partigiano) cantata dalla voce suadente di Anita Lane. Sul fronte di Hong Kong, la pellicola ” Dog Bite Dog ” esalta la parte violenta e drammatica degli eventi, cancellando completamente la vena comica del precedente film. Anche qui una sfida all’ultimo sangue fra un killer cambogiano, cresciuto nella quotidiana lotta per sopravvivere, che lo ha trasformato in un autentico animale da combattimento, ed un poliziotto di Hong Kong che gli dà la caccia, furioso per la morte di un collega e per un difficile rapporto con il padre anch’esso poliziotto, ma corrotto. La pellicola è una costante discesa nell’inferno della miseria e della violenza, dove la speranza di amore esce distrutto, in un duello finale portato alle estreme conseguenze. In questo Festival si è potuto verificare come sia il cinema coreano che quello di Hong Kong siano molto legati a questo genere, riletto secondo i casi in chiave più o meno drammatica, con l’inserimento di elementi umoristici. In questo contesto si possono inserire anche pellicole abbastanza apprezzabili, viste quest’anno, come “Cruel Winter Blues”, del regista Lee Jung-bum (Corea), ed “Eye in the Sky” di Yau Nai Hoi (Hong Kong).
Cambiando completamente genere vorrei segnalare due film molto diversi fra di loro: “Memories of Matsuko” del regista giapponese Nakashima Tetsuia ed il cinese “One Foot Off The Ground”, regia di Chen Daming. Il primo ripercorre la vita di una donna senzatetto, trovata uccisa vicino ad un fiume, attraverso la ricostruzione che il nipote fa dei frammenti della sua esistenza trovati nella baracca in cui viveva, una vita fatta di dolorose esperienze, di amore dato ma mai ricambiato, però riassunta con ritmi ed atmosfere da musical (mi ha ricordato molto le immagini della pellicola francese ” Le Fabuleux Destin d’Amélie Poulain “). Storia drammatica, ma mai melodrammatica, con spunti anche divertenti e commoventi in un mix ben riuscito. Il film cinese “One Foot Off The Ground”, racconta le vicissitudini di una compagnia dell’opera tradizionale cinese , che deve fare i conti con la dura realtà che colpisce gli artisti di un settore ormai in crisi. Sciolto il gruppo, la pellicola segue le vite dei singoli protagonisti, che ancora si frequentano fra loro, nei loro espedienti per continuare a “tirare avanti”, sopravvivere nella remota speranza di riformare il gruppo. È una storia di amicizia, girata con leggerezza e simpatia, ma che impone una riflessione sulla nuova e moderna Cina, dove fa sempre più fatica a sopravvivere il patrimonio culturale tradizionale. Per ultimo vorrei segnalare un film storico “A Battle of Wits”, del regista Jacob Cheung (Hong Kong), film ben costruito, il cui giudizio non va inteso in valore assoluto, ma nell’interessante confronto con recenti pellicole hollywoodiane di genere, come Troy o Alexander, alle quali non deve decisamente nulla in termini di qualità.
Il Festival di quest’anno ha poi proposto un’interessante e completa retrospettiva sul regista hongkonghese Patrick Tam, figura leggendaria, che fra gli anni settanta ed ottanta è stato fra i registi più discussi in patria, ed i cui film e telefilm, per quanto non abbiano mai raggiunto un grande successo, hanno formato varie generazioni di registi. A questo Festival, dopo 17 anni di assenza cinematografica, si è potuta apprezzare anche la sua ultima pellicola “After This Our Exile”, drammatica storia di un rapporto fra padre e figlio, che ha ottenuto ottimi consensi di pubblico. Forse questa versione “Director’s Cut” proiettata, è un po’ troppo lunga e lamenta qualche eccesso di ripetizione, ma rimane comunque un lavoro di buona qualità.
Fra le cinematografie proposte dal Far East Film Festival, merita da sempre un discorso a parte il Giappone, dove l’animazione è una componente fondamentale, che influenza in gran parte anche le pellicole classiche. I maggiori successi commerciali o sono “anime” (lo scorso anno il campione d’incassi è stato “Gedo Senki” di Goro Miyazaki, figlio del maestro Hayao, nonostante la scarsa qualità della pellicola che ha comunque beneficiato del marchio di qualità dello studio Ghibli), o sono live-action tratti da serie manga, come le due pellicole “Death Note”, viste qui ad Udine (nel 2005 era stato “Nana”, tratto anch’esso dalla serie omonima). I blockbuster giapponesi visti quest’anno, sono risultati da un punto di vista qualitativo generalmente piuttosto deludenti, qualità invece che spesso contraddistingue l’animazione pura, con storie interessanti ed autori di grande spessore (il Maestro Hayao Miyazaki in testa, ma anche autori più giovani come Satoshi Kon visto a Venezia 2006 in concorso). Un film come Death Note (segnalato anche dal pubblico), diventa interessante perchè il manga da cui è tratto è di grande qualità, con una trama geniale e personaggi di spessore, che però inevitabilmente, nell’operazione live-action, perdono mordente. La forza di questo Festival è di proporre anche queste contraddizioni, sempre nello scopo ultimo di rappresentare il cinema popolare in tutte le sue forme, per dar voce al giudizio ed al gusto dello spettatore.
Per terminare è doveroso sottolineare l’ottima ospitalità e l’organizzazione di questo Festival, ogni anno sempre più coinvolgente, sia per l’entusiasmo delle persone che lo frequentano, sia per la città che lo ospita. Confrontandolo anche con altre realtà festivaliere, il Far East Film Festival di Udine spesso vince il confronto con manifestazioni più consolidate, la cui programmazione, ma soprattutto il rapporto che lega lo spettatore con la città e l’evento, lasciano a desiderare.