COLD MEAT INDUSTRY ha indubbiamente marchiato a fuoco il termine “ambient” ed “industrial” negli anni ’90, delineando un repentino cambio di prospettiva rispetto al consueto, e quantomai fuorviante, binomio: ambient uguale meditazione, “relaxing landscapes” e paccottiglia trendy newage varia…qui non c’è posto per elucubrazioni mentali seduti in poltrona, signori, non troverete comodi salottini dove degustando cocktails sarete avvolti da rilassanti ondate di benessere: ASSOLUTAMENTE nulla di ciò, anzi quanto di più lontano ci possa essere da questi stereotipi plastificati… COLD MEAT INDUSTRY è un ghigno beffardo in punto di morte, è nichilismo fatto suono, è una lamiera metallica dentro membrane subcorticali, scatologia dell’ intero creato, è grigia paranoia. Questa è ANTI-MUSICA, signori, la NEMESI STESSA DEL SUONO, qui non ci sono strumenti adoperati in modo convenzionale, ed il consono “formato canzone” è violentato e sepolto da tonnellate di rumore, samples isterici, voci malsane, urlate allo spasmo, disturbanti, lyrics e slogans che vi sputano acido sul volto (vedi “You’ve got sperm on your jacket” da “Obsessis”,BDN)… se scegliete questo, continuate a leggere…
Dobbiamo risalire al 1987, in Svezia per la precisione, per scovare le origini di questo progetto meta-musicale… i fondatori: Roger Karmanik e Peter Andersson (aka Lina Baby Doll). Come ogni movimento underground degno di tal nome, le prime produzioni furono stampate in cassette e vinile, limitate a poche copie, divenute ormai oggetti di culto tra i collezionisti, e i primi acts a venirne fuori furono proprio quelli capeggiati dai due figuri menzionati in precedenza: Karmanik con BRIGHTER DEATH NOW (death-industrial, assordante rumore nero, cinismo e nichilismo, voci distorte, rumore, lyrics perverse, rumore, ferraglia incandescente, rumore) e Lina Baby Doll con DEUTSCH NEPAL (noise-industrial, cacofonia marziale, dissonanze telluriche, mood apocalittico), seguiti a ruota da altre aberrazioni soniche come gli spietati MZ412 (glaciale, acido rumorismo, claustrofobiche digressioni ritualistiche, innesti e tematiche black-metal, nessuna luce, odio), e IN SLAUGHTER NATIVES (canti gregoriani, litanie chiesastiche, monasteri in rovina, salmi profani, psicotropia mistica); intento dichiarato dell’etichetta ai suoi esordi è la ripresa musico-attitudinale dei “prime movers” incendiari dello sperimentalismo industrial/avantgarde anni 80 quali THROBBING GRISTLE, WHITEHOUSE, PSYCHIC TV, riproponendo, attualizzandola a livello tematico, quell’attitudine anarchica, rabbiosa, fuori testa e fuori da ogni schema, l’arte della provocazione/prevaricazione nel senso più vero e dissacrante del termine, la destabilizzazione auricolare e morale… bene, COLD MEAT INDUSTRY incarna negli anni 90 il prototipo, o meglio l’archetipo (non avendo termini di paragone) dell’etichetta “anti-trends”, sperimentale, coraggiosa, “avanti”, e lo fa fottendosene altamente delle regole imposte dal mainstream musicale, snobbando le grosse produzioni e distribuzioni, infliggendo stilettate continue al “politically correct”, mantenendo anzi sempre vivo quello spirito di “culto underground” e di “selettività di artisti ed audience”, tramite edizioni limitate, rarità, compilations con inediti a scadenze fisse (ricordiamo qui le imprescindibili “In the butcher’s backyard”, “The absolute supper” e la recente “Flowers made of snow”), curatissime vesti grafiche (con un packaging di solito orientato verso un sobrio e diretto minimalismo estetico), tutti trademarks ormai storici della label svedese;e così come le uscite discografiche sono calibrate, dosate con parsimonia, proprio per non inflazionare la qualità artistica intrinseca dei singoli albums, così sono rare le apparizioni live delle bands, solitamente in festivals autarchici, in scenari semibui illuminati dal bagliore di schermi sui quali scorrono in videoproiezione frenetica immagini di operazioni chirurgiche, scene di guerra, frames da pellicole cult-horror, hardcore e cartoons, in un cut-up alienante e morboso, alla stregua di ciò che avviene sul palco, catarsi isteriche senza uno sbocco preciso, furia cieca ed incontrollata, veri e propri scontri fisici e istigazione al caos (BDN sono un esempio illuminante in tal caso).
COLD MEAT INDUSTRY come essenza meta-musicale, dicevo prima…dalla veste grafica delle singole opere, ai concepts attitudinali degli artisti, fino al “magma sonoro emesso” vero e proprio, tutto costituisce un “unicum” che spesse volte mi è personalmente capitato di associare ad opere di arte postmoderna concettuale, primo tra tutti quel DAMIEN HIRST ed i suoi animali in formaldeide, ANDRES SERRANO e la sua sovversione iconoclasta (“Piss Christ”), JEFF KOONS e la sua pornografia con “puppets” snodabili, oppure si possono riscontrare affinità comunicative coi volti tumefatti in primo piano e mutazioni genetiche alla JENNY SAVILLE, ectoplasmi ameboidi alla FRANCIS BACON; così come trasversalmente affiorano rimandi a certa letteratura “borderline”, vedi il parossismo nichilista di E.M. CIORAN o il “teatro della crudeltà” di ANTONIN ARTAUD…trait d’union tra i vari rimandi e reminiscenze, la ferrea e disinibita ostentazione nello scandire ogni singola frase/motto, nel brutalizzare le iridi con visuals di spietato impatto, nel plasmare ogni singolo rumore o emissione sonica col “ghigno sardonico sul volto” (C.BENE).
La label svedese nel corso degli anni ha avuto la scaltrezza e la lungimiranza di diversificare le proposte al suo interno, mantenendo sempre fermo però il fulcro, la matrice “DARK AMBIENT” come comune denominatore referenziale…ed allora senza dilungarmi nel citare le singole uscite, preferisco piuttosto menzionare degli acts per la peculiarità della loro proposta:
RAISON D’ETRE ed il loro sound reminiscente tempi andati, l’estasi nella rovina, la melanconia come spirito-guida; ORDO ROSARIUS EQUILIBRIO con feticismo e bondage di classe, citazioni da A.Crowley, voci narrate (Tomas Petersson e consorte), ed orchestrazioni di stampo neoclassico; SEPHIROTH ed il suo tribalismo rituale fatto di percussioni etniche e breaks ambient animati da crepitii di fiamme, ululati desolanti, mantra sciamanici; THE PROTAGONIST con overtures evocanti quel capolavoro della letteratura decadente che risponde al nome di “A Rebours” (J.K. HUYSMANS), ARCANA ed un medioevo ancora vivo e pulsante; senza poi dimenticare bands non più in attività o comunque lanciati dalla label nordica, quali PUISSANCE (rimandi wagneriani, sostrato industriale, voci radiofoniche della Seconda Guerra mondiale), ARCHON SATANI e cantilene da antri sconsacrati e nenie con rintocchi di campana a morto, MEGAPTERA con ossessioni di serial killers ed interferenze catodiche implementate di decibels, AGHAST (duo al femminile) con invocazioni dilanianti, e gelidi, rarefatti soundscapes .
COLD MEAT INDUSTRY sono le fanfare festanti per l’umanità morente, la ruggine radiofonica in sala operatoria, il suono percepito al limite del baratro guardando di sotto.
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