Molti di noi ancora non hanno capito bene cosa sia Web 2.0, che è già passato di moda.
Ebbene si, già al summit sul web 2.0 molti hanno cominciato a parlare della fase 3.0, poco più di un mese fa.
Ma andiamo per ordine e facciamo un po’ di storia per i non addetti ai lavori, ma utenti e curiosi appassionati, cioè la maggior parte di noi.
Si, perché Internet è un po’ come il caffè quotidiano: fa ormai parte della nostra vita, abbiamo i nostri orari per bercelo e spesso ci aiuta a tirarci un po’ su; inutile negarlo, quando non riusciamo ad usarlo ci manca e abbiamo vere e proprie crisi di astinenza.
Partiamo allora dalle tre W di World Wide Web, creazione nel 1990 dell’inglese Tim Berners-Lee (che ci lavorava da svariati anni), un servizio che utilizza Internet e permette di raggiungere informazioni in formato HTML nella grande rete.
Appare intuitivo il sistema umano di utilizzo e ricerca delle informazioni, ma Tim Berners-Lee coniando il termine di Web Semantico, dal 2001 fornisce un suggerimento ed una visione del sistema in modo che il computer possa compiere ricerche approfondite in maniera standardizzata. Insomma un’intelligenza autonoma – ovviamente costruita dall’uomo – che permette all’uomo stesso un livello di ricerca superiore, associando concetti per esempio e non singoli nomi. Gli schemi che possono celarsi dietro questo sistema sono potenzialmente infiniti.
Il passo significativo della versione 2.0 rispetto alla nascita, comunque, sembra essere l’apporto sociale. Mi spiego subito. Social network e condivisione dei contenuti sono stati i due grandi cavalli di battaglia di Web 2.0.
Tutti a bocca aperta di fronte a MySpace, You Tube, Facebook.
Ho ascoltato megaprofessori che parlavano del nuovo mondo media e dei contenuti “autoprodotti” come della novità che sta cambiando il mondo. E anche un certo mondo politico ha cercato di utilizzare il concetto di social network a proprio vantaggio.
Collaborazione, partecipazione e comunicazione sono state le parole usate come i Francesi di Robespierre usavano libertè, egalitè e fraternitè alla fine del 1700.
Non più un insieme di reti isolato, ma un sistema di rete di reti che permette un novo modo di fruizione delle conoscenza.
Web 2.0 non ha voluto far evolvere la storica tecnologia TCP/IP, ma si è concentrato sugli strumenti che utilizzano l’infrastruttura tecnologica basata su Internet, dando enfasi ai contenuti e all’interazione, facendo entrare nella rete globale altri strumenti periferici come i cellulari,
Il fatto è che il vantaggio c’è, è tecnico e dovrebbe essere per tutti.
Ma mettendo una mano sulla coscienza bisogna dire che la condivisione dei contenuti non sempre corrisponde alla conoscenza e l’accessibilità a tali contenuti non è certo ancora appannaggio di tutti: il technology divide esiste proprio come esistono le periferie in ogni metropoli.
Comunque la possibilità di essere parte attiva con propri apporti di immagini, audio,video e testi è stato un’acceleratore di partecipazione oltre che tra i più grandi alimentatori dei Blog fioriti qua e là in maniera vertiginosa.
Un fatto o un articolo di giornale viene commentato su un blog che magari allega anche un brano musicale chiedendo un commento ai lettori, diffondendosi e arricchendosi di contenuti e materiali all’interno della comunità che alimenta il blog, superando confini spazio-temporali, facendo scorrere come un fiume in piena le informazioni attraverso la rete.
Alla base della stessa logica troviamo il wiki, un sito che cresce grazie al contributo di tutti. La più diffusa enciclopedia democratica, Wikipedia nasce infatti da un obiettivo comune, creare un’enciclopedia mondiale assolutamente aggiornata in real time, cioè diffusione mondiale della conoscenza attraverso la tecnologia.
Giustamente si è visto del business in questo web usercentrico, allora perché non offrire ai partecipanti attivi servizi a pagamento? Amazon è uscita con il suo EC2 o Computercloud che a pochi centesimi di dollari all’ora permette di disporre di un incredibile numero di macchine virtuali come se fossero dentro il proprio computer (desktop o notebook) e andando a disturbare un tantinello gli Internet Service Provider tradizionali.
Altra caratteristica che avuto eco spaziale è il podcasting, la possibilità di scaricare audio o video che deve il suo nome alla fusione di due grandi, grandissimi fenomeni l’iPod e il broadcasting. Oggi lo troviamo dappertutto utilizzato per fare marketing, comunicazione, insegnamento, divertimento…audience!!!
Dopo i primi meritati fremiti lungo la schiena e la nascita di un bel po’ di start up tecnologiche, Web 2.0 si è inserita nei classici modelli di business, piuttosto che tecnologici.
Il termine Web 2.0 che tutti usiamo per parlare della fase attuale di vita di Internet in realtà è tanto di marchio registrato di proprietà del gruppo OReilly e difeso dagli agguerriti legali della società che organizza i famosi Web Summit.
Se andate a guardare come nasce questo “trademark” sul sito di OReilly, trovate tra le varie ricerche e riflessioni questa sintesi sulle differenze tra la fase 1 e la fase 2:
Web 1.0 | Web 2.0 |
DoubleClick | Google AdSense |
Ofoto | Flickr |
Akamai | BitTorrent |
mp3.com | Napster |
Britannica Online | Wikipedia |
personal websites | blogging |
evite | upcoming.org and EVDB |
domain name speculation | search engine |
optimization page views | cost per click |
screen scraping | web services |
publishing | participation |
content management systems | wikis |
directories (taxonomy) | tagging (“folksonomy”) |
stickiness | syndication |
Il summit su Web 2.0 svoltosi a Novembre
Qualche furbacchione si è divertito a sottolineare l’ineguaglianza partecipativa che sembra pazzesca, (ma guardate che è assolutamente in linea con le caratteristiche attitudinali della specie umana, con il sociale e quel grande polipo che è il business!): in YouTube ad ogni upload corrispondono 1.538 download e pare che la metà dei contenuti inseriti in Wikipedia sia inserito dallo 0,7 dei wikipedians.
Per farla breve, in un attimo Web 2.0 è passato di moda come un abitino della sfilata dello scorso anno.
Vecchio, non va più, archiviato.
Insomma ci vuole un nuovo mood. Ed eccolo che arriva portato trionfalmente a spalla addirittura da grandi testate non tecniche.
Il New York Times consacra il Web 3.0, tornando a parlare di Web Semantico, tanto caro al fondatore del WWW, Sir Tim Berners-Lee.
Web 3.0 dovrebbe debuttare a breve quest’anno e sarà più connesso, aperto, basato su tecnologie semantiche, database distribuiti e linguaggio naturale, agenti intelligenti autonomi (web agents).
Milioni di miliardi di macchine comunicheranno fra loro, e per utilizzare un linguaggio comune dopo Asimov viene chiamato in causa addirittura Aristotele, che in effetti può dirsi padre della comunicazione. Potremo incrociare i concetti e non fare più ricerche su singole parole.
Emozionante quanto complesso.
Già, e tutti quelli dall’altra parte del digital divide?
A onor del vero e con buona pace del business,
Non sono stati rispolverati i vecchi pantaloni a zampa di elefante per intenderci, si è preso a investire massicciamente per sviluppare una filosofia tecnologica e a parlarne tra un aperitivo e uno scoop sul giornale giusto. Very cool.