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Vi avverto che vivo per l’ultima volta. Noi e Anna Achmatova – Paolo Nori

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Mondadori (Mondadori, 2023)

pag. 257

euro 18.50

“(…) E’ stato un inverno freddo, quello del 2022.

Io, vado in bicicletta, ho portato i guanti fino ad aprile, nel 2022.

E, per chi come me si occupa da una vita di letteratura russa, ed è cresciuto nella letteratura russa, è stato ancora più freddo.

Tutto quello che veniva dalla Russia, arte contemporanea, letteratura, pittura, cinema, teatro, musica balletto, andava messo da parte, eliminato.

Può sembrare un’esagerazione, ma era come eliminare le nostre vite. Mettere da parte la nostra vita.

Io, grazie alla censura che mi aveva consegnato un ruolo nel dibattito politico, avevo avuto occasione, più volte, di parlare in pubblico e di incontrare tanti appassionati di letteratura russa, e molti di loro erano addolorati; faceva male, in quei giorni, sentire la radio, la televisione, leggere i giornali (…)”.

Questa dichiarazione d’amore, una delle varie, tante, diverse dello scrittore Paolo Nori, romanziere, traduttore e studioso, fra i maggiori italiani, della letteratura russa, è contenuta nel suo ultimo libro, “Vi avverto che vivo per l’ultima volta” (Mondadori, 2022). Il volume, uscito praticamente in corrispondenza del rintocco mortale del primo anno di guerra fra Russia e Ucraina, è sottotitolato “Noi e Anna Achmatova”, nonostante – vien da dire – l’autore del volume spiegherà nelle pagine che Achmatova non era il segno d’anagrafe della grande poetessa russa. Il padre non voleva che s’associasse il cognome alle poesie, e la poetessa decise di rendere grazie ad una sua nobile ava. Insomma, tutto ciò, il nuovo libro omaggio di Nori ai suoi maestri russi – il precedente è una biografia pazza su Dostoevskij: “Sanguina ancora” (Mondadori, 2021) -: è uno schiaffo gigante alle sirene della propaganda di guerra che s’esibisce sul palcoscenico della ricerca di consenso e giustificazione con la sua lista nera, col suo elenco di prescrizione, un indice che comprende dalla cultura russa in toto agli italiani (e / non) che pongono dubbi sul conflitto. Tutti putiniani, si diventa.

Anna Gorenko nacque nel 1889, nei pressi d’Odessa, e il nostro si tiene lontano dalla questione della nazionalità, ché, sia detto per inciso, oggi la poetessa potrebbe esser contesa da entrambi gli stati nazione e, come esattamente nei tempi che furono, censurata tanto dalla Russia quanto dall’Ucraina. All’epoca, infatti, i testi d’Achmatova – pseudonimo recuperato dallo scrigno di memorie nel sangue di nonna si diceva – circolavano grazie alla bravura sviluppata con esercizio e dedizione dalle sua amiche che imparavano a memoria i versi suoi prima che questi fossero bruciati, fatti in cenere. Tanti di questi aneddoti, va specificato, li avevamo già. Ma solo e soltanto perché seguiamo le pubblicazioni sui campi social dello scrittore di Basilicanova (che bel suono: sembra la parola ‘Basilicata’!) da anni oramai. E, per di più, abbiamo assistito direttamente a ben 3 presentazione della sua precedente opera.

La testa di Nori è una casa di tolleranza. E, quindi, i suoi libri sono le stanze che la compongono. In ogni camera, insomma, vediamo tutto il patrimonio d’affetto che lo scrittore sottolinea in nero evidente coi russi suoi, quei letterati che erano e saranno sempre e ancora contro il potere, perseguitati e, in qualche misura, benedetti dalla censura prima del potere russo e adesso d’una più nuova, sfacciata, ignorante, censura e/o boicottaggio dell’Occidente: che accidentalmente comincia proprio nella nuova Ucraina.

La figura d’Achmatova, prima rappresentante d’un genere a lei in pratica dedicato, è chiaramente esemplare al pari d’altri autori russi che in questo libro imperioso arrivano a scaldarci i neuroni. Da Erofeev a Dovlatov a Madel’stam a Muratov. Ma con una specificità, certo. Achmatova, oltre che essere stata la poetessa dello slancio romantico con Modigliani, fu l’intransigente personalità della letteratura russa che, appunto, ebbe ben 3 condanne dalla dittatura sovietica. Oltre a essere la donna in grado di scrivere al suo ex marito, padre del figlio Lev, una dedica in calce al libro donatogli che contiene allo stesso tempo i termini “al mio caro amico” e “con amore”.

Al centro del romanzo, fra i luoghi più cari all’autore che adesso vive a Bologna, c’è Pietroburgo. Dopo gli abbracci sparsi in lungo e in largo prima a sua figlia che sappiamo lui chiama la Battaglia e poi alla sua compagna già compagna che sappiamo lui chiama Togliatti. Insomma, ecco Pietrogrado. Leningrado.

La poetessa ebbe tanti amori. Oltre quell’affascinazione di cui sopra. Il suo secondo marito, per dirla tutta, non sembra fosse proprio il più sentito. Anzi. Pare scorresse un fiume di pensieri sotterranei diretto ad un artista russo che viveva in Inghilterra: “Ho sentito una voce. Mi chiamava, allettante, (…) ”.

Ma queste son soltanto curiosità. Ché Anna Achmatova invece è quella che “sposta le insegne”, ma, soprattutto, quella “che muove la rivolta delle cose”, oltre, certamente, a quella che, su tutto forse: “vince l’abitudine”. Tutte definizioni estratte dal cilindro magico d’un altro grande nome della letteratura di Russia. E Nori, da lui, prende una spiegazione di fuoco: “le poesie dell’Achmatova sono un raggio di sole che penetra in una stanza buia, la stanza nella quale ci troviamo un po’ tutti, con il nostro sguardo distratto, di persone convinte di conoscerle, le stanze, le proprie cucine, le strade che percorrono per andare a lavorare, convinte di non avere niente da imparare, nella propria casa, nella propria città, nel proprio mondo”. Qui Nori gongola, commuovendosi perfino, perché lui è la poetica della vita quotidiana, ed il lirismo d’Achmatova, e questi pezzi di Terra portati dai dettagli che stanno dietro le finestre delle vite, sono tutta la sua scrittura.

 

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