«La guerra non stabilisce chi ha ragione, ma solo chi sopravvive»
(Bertrand Russell)
La guerra è il fenomeno umano forse più caotico e ogni tentativo di regolamentarlo è fonte di profonde frustrazioni.
Lo sanno bene i giuristi che ci occupano di diritto internazionale umanitario (quello che un tempo si conosceva come diritto bellico), vale a dire quel complesso di norme che la comunità internazionale ha formalizzato nel tempo per “umanizzare” i conflitti.
Si è appena concluso in questi giorni a Kiev il primo processo contro un militare russo[1] accusato di crimini di guerra e l’interrogativo sorge spontaneo: quanto quest’uomo può essere additato come un criminale e quanto, invece, è anch’egli vittima di questa guerra?
I fatti
Il 23 maggio, a 3 mesi dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina[2] iniziata convenzionalmente il 24 febbraio, il tribunale di Kiev ha pronunciato la prima sentenza di condanna per crimini di guerra contro un militare russo, Vadim Shishimarin, giovane sergente di 21 anni: «Colpevole di aver commesso un reato ai sensi dell’art. 438 del codice penale ucraino ed è condannato all’ergastolo».
Il giudice Serhiy Agafonov ha poi aggiunto: «Dato che il crimine commesso è contro la pace, la sicurezza, l’umanità e l’ordine legale internazionale… la corte non vede la possibilità di imporre una pena detentiva più breve».
I fatti imputati fanno riferimento all’uccisione di Oleksandr Shelipov, un civile disarmato di 62 anni nel villaggio di Chupakhivka, nella regione nordorientale di Sumy.
L’imputato, in forza presso l’unità 32010 della IV divisione carri armati della guardia Kantemirovskaja della regione di Mosca, il 28 febbraio scorso si trovava con altri quattro compagni allo sbando dopo un duro attacco delle truppe ucraine: abbandonato il mezzo su cui si trovavano, hanno requisito un autoveicolo per darsi alla fuga e raggiungere le retrovie russe.
Nell’abitato di Chupakhivka, l’auto ha incrociato il Sig. Shelipov in bicicletta e, per timore che desse l’allarme, un commilitone ha ordinato a Shishimarin di ucciderlo.
Abbassato il finestrino, il giovane sergente ha fatto fuoco con il proprio fucile automatico, uccidendo il civile.
Risulta indubbio che il civile non fosse armato, che non avesse un atteggiamento ostile verso i militari russi e che non rappresentasse per loro una minaccia.
Ugualmente comprensibile il livello di tensione al quale si trovavano soggetti i soldati in fuga in seguito all’attacco, sentendosi anche braccati dalle truppe ucraine.
Alla domanda della giudice in apertura del dibattimento, comunque, il sergente Shishimarin ha riconosciuto subito la propria colpevolezza segnando così l’esito del processo che, al di là delle garanzie legali da riconoscere all’imputato, ha assunto un valore simbolico di portata globale sottolineato dalla partecipazione dei media di tutto il mondo: l’Ucraina aggredita stava giudicando l’invasore russo, pur nei panni di un giovane quasi imberbe.
Il diritto
Se questo primo procedimento si è concluso con una sentenza di condanna “esemplare”, per crimini di guerra, dobbiamo riconoscere che in diritto internazionale non abbiamo una definizione positiva e universalmente accettata di questa fattispecie.
La nozione sulla quale si concentra il massimo consenso degli operatori è quella accolta nei Principi di Norimberga del 1950, derivati dalla prassi dello storico processo ai criminali tedeschi, per i quali sono crimini di guerra le «violazioni delle leggi e degli usi di guerra, i quali comprendono, senza limitarsi ad essi: omicidio volontario, maltrattamento o deportazione per essere costretti a lavoro schiavistico o per ogni altro fine di popolazione civile dei o nei territori occupati; omicidio volontario o maltrattamento di prigionieri di guerra, di persone in mare, uccisione di ostaggi, saccheggio di proprietà pubbliche o private, distruzione deliberata di centri urbani, città e villaggi, o devastazioni non giustificate da necessità militari».
Ci si riferisce quindi a fattispecie stabilite dalle norme di diritto positivo e consuetudinario relative ai conflitti armati, a partire dalle Convenzioni dell’Aja del 1907 e di Ginevra del 1949.
La giurisprudenza dei Tribunali speciali istituiti poi per il conflitto nell’ex-Jugoslavia, in Ruanda e da ultimo del Tribunale penale internazionale, ha contribuito ad arricchirle di elementi. In particolare, dalla giurisprudenza del Tribunale per la ex-Jugoslavia deriva il principio per il quale un crimine di guerra sussiste solo se vi è stata «grave violazione» di una norma del diritto dei conflitti armati posta a tutela di beni fondamentali la cui violazione causi gravi conseguenze alla vittima e se vi è un nesso con un conflitto armato, internazionale o non internazionale.
L’art. 8 dello Statuto del Tribunale penale internazionale[3], da ultimo, ha previsto un lungo e dettagliato elenco di crimini di guerra sui quali la Corte ha competenza ma, a questo proposito, ricordiamo che la giurisdizione dei giudici dell’Aja è volontaria e dipende dalla ratifica del Trattato di Roma che ha istituito tale istanza internazionale.
Molti Stati hanno nei propri ordinamenti penali la fattispecie del crimine di guerra e possono procedere a giudicare direttamente le persone accusate di simili fatti senza doverli consegnare al Tribunale internazionale. A volte ciò avviene per scelta politica, altre per praticità.
Nel conflitto in corso, né la Russia né l’Ucraina hanno ratificato il Trattato istitutivo del Tribunale penale internazionale ma Kiev ne ha riconosciuto la giurisdizione in seguito all’occupazione russa del 2014 di Dombass e Crimea e l’ha riconfermata a febbraio di quest’anno con il riaccendersi del conflitto.
Comunque, il processo al sergente russo si è svolto secondo quanto previsto dai codici di merito e di rito ucraini.
Le persone
Il giovane Vadim Shishimarin condannato all’ergastolo per crimini di guerra sarà probabilmente il primo di una serie di numerosi giudizi analoghi contro suoi connazionali.
La procuratrice generale ucraina, Iryna Venediktova, ha dichiarato che vi sono già altre 48 persone nei confronti delle quali si celebreranno a breve i procedimenti e più di 600 sono i fascicoli di indagine aperti dalla procura, e siamo solo agli inizi.
L’avvocato difensore di Shishimarin ha annunciato che presenterà ricorso in appello avverso la sentenza adducendo lo stato di stress del suo assistito al momento dei fatti contestati, l’aver sparato in seguito ad un ordine ricevuto, l’intenzione di intimorire e non uccidere la vittima, il pentimento sincero manifestato verso la vedova.
Kateryna Shalipova, questo il nome della vedova, da parte sua non accetta le scuse di chi le ha ucciso il marito e freddamente riconosce che l’unica possibilità di lasciare libero Shishimarin sarebbe di usarlo in uno scambio di prigionieri con i difensori di Mariupol, per salvare «i nostri ragazzi», ovvero i combattenti ucraini evacuati dalle acciaierie Azovstal.
Ragazzi contro ragazzi, vedove ucraine che piangono mariti uccisi e madri russe che piangono figli caduti in battaglia.
Forse è troppo facile definire criminale di guerra il sergente Vadim, ma dobbiamo ammettere che lo è. Al contempo, però, vorrei che gli riconoscessimo anche lo status di vittima: vittima della violenza che ha commesso e che ha ricevuto, di quella folle violenza che ha respirato in patria e sul campo, che lo ha trasformato suo malgrado in un criminale.
E per questo non ci saranno processi anche se, lo sappiamo, ci sono molti responsabili.
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Nella foto, il sergente Vadim Shishimarin. ↑
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Cfr. di Caocci D., Guerra in Ucraina: colpo di grazia al diritto internazionale, in KultUnderground, n.320, 2022, https://kultunderground.org/art/40638/ . ↑
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Cfr. https://www.icc-cpi.int/fr/resource-library/core-legal-texts . ↑