Edizioni Il Maestrale
Narrativa
Pagg. 176
ISBN 9788889801826
Prezzo Euro 9,00
Un sentimento sopito
Mai e poi mai mi sarei aspettato dall’autore di Canne al vento e di Elias Portolu un romanzo come questo, al di fuori della sua tradizionale produzione letteraria che lo vede parlare della sua terra natia ponendo in evidenza passioni e tradizioni nel solco del verismo, a cui si accompagna anche una vena decadente. E invece Il paese del vento, parziale autobiografia, rivela una Grazia Deledda capace di scrivere di intimità con una raffinatezza e delicatezza che riscontriamo solo in certi grandi autori di lingua inglese.
In pratica, nel viaggio di nozze che la porta con il marito in un ameno luogo di villeggiatura che si presume sardo anche se imprecisato, lei ritrova in un villeggiante malato di tubercolosi all’ultimo stadio, ospite in una villetta vicina, un giovane, figlio di un notaio in rapporti con la sua famiglia, ospitato anni prima in casa sua e con il quale era nato un sodalizio spirituale che a definirlo amore è un’esagerazione, ma che si era concretizzato in una infatuazione che in lei, giovinetta acerba, era apparsa cosa grandiosa, ma che poi altro non era che una pudica attrazione. Poi il giovane se n’era andato per studiare medicina a Monaco di Baviera e di lui non si erano avute più notizie, salvo ora ritrovarlo morente. Ancora c’è un fuocherello sotto le brace ed è logico attendersi un incontro chiarificatore fra la sposina e l’amico ritrovato, con il marito, giustamente geloso, che ha subdorato qualcosa. Ma il miracolo di anni prima, la scintilla che era scoccata non si ripete, con lui avido di quella vita che sta perdendo, e non d’amore. L’incontro, burrascoso, vedrà fugata ogni possibilità di riprendere un filo interrotto, a maggior ragione per la morte di lui che avverrà da lì a poco.
Non si può parlare di passione, ma di sentimento, quale quello che può aver provato una giovincella e di cui è rimasta una labile traccia per tanti anni, ora ritrovata; combattuta fra il non voler tradire il legittimo consorte e il desiderio di sapere se quello che credeva amore lo fosse per davvero, in una natura dominata dal vento che a giorni soffia impetuoso, Grazia sperimenta su di sé tutti i dubbi e le incertezze della situazione, e lo fa con un’eleganza e una misura a dir poco encomiabili. Quasi a voler stemperare il dramma intimo che l’assale si sofferma di tanto in tanto a osservare la natura, descrivendocela con un realismo magico di colori e di profumi che sembrano emergere dalle pagine.
Del resto, in questo romanzo scritto alla fine della sua vita quando il marito era già defunto, Grazia ci lascia un testamento in cui sembra voler dirci che le esperienze della vita devono essere messe a frutto, che le sensazioni devono essere verificate, che i sentimenti possono durare dall’alba al tramonto, oppure per decenni.
Credo che Il paese del vento sia il più bel romanzo scritto da Grazia Deledda.
Grazia Deledda, premio Nobel per la letteratura, studiò da autodidatta ed esordì come giornalista su riviste di moda. Incrociando influssi veristi e dannunziani, scrisse romanzi e racconti dalla vena etica in cui è descritta la dura vita quotidiana dei compaesani sardi (Canne al vento, Elias Portolu, Marianna Sirca).