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Giocatori – Don DeLillo

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Questo romanzo è del 1977. E’ di quei libri che ti fanno sentire la funzione dello scrittore come “catalizzatore di presagi”… E’ uno di quei libri che contengono tutto. Le nevrosi, i gesti insensati. Il nostro avanzare bendati verso qualcosa, proibito, demenziale, apparentemente così logico. E solo perché: “Siamo immersi in un’ambiguità orrendamente umoristica, uno spettacolo di gente ridicola che fa cose orribili a persone totalmente sciocche”
Un romanzo che pare incamminarsi verso mete imprecise, o stranianti, o folli, che pare a tratti sigillarsi, per poi sganciarsi e volare, contorcersi e incantare. Grandissima letteratura.

DeLillo viene considerato e definito “il grande maestro della letteratura postmoderna americana” ma detto così non vuol dire niente. Sembra un post-it d’effetto. Nessuna definizione vuol dire qualcosa di reale, è un modo per appendere da qualche parte le menzogne o le leggerezze di chi deve incasellare per forza. DeLillo va letto, riletto e venerato. Il romanzo inizia così: “Qualcuno dice Motel. Mi piacciono i motel. Vorrei possederne una catena su scala mondiale. Mi piacerebbe spostarmi da uno all’altro. E’ una cosa in cui ci si potrebbe realizzare.” Quando ho scorso queste righe ho sentito che lo scrittore, a tratti, nei tempi-frattempo che hanno scandito la mia vita, era dentro al mio cervello. Quando i motel, le insegne, le luci, il cemento, la precarietà mi seduceva. Tutte le volte che mi ha sedotto, in spazi metropolitani che lui conosce, che lui sa var vedere davvero. DeLillo raccontava mentre io vivevo. Io che nel 1977 avevo 12 anni. Poi c’è il fatto del World Trade Center. Pammy ci lavora. Lavora all’ottantreesimo piano della torre nord ma qualche volta si sbaglia, prende le ascensori e le chiama “posti”. Pammy e Lyle sono marito e moglie e la loro vita sembra normalmente satolla, normalmente soddisfatta. Con attimi di intimità doverosamente “ritmata”, doverosamente “declinata“: “Pammy e Lyle, nudi, erano uno di fronte all’altra sul letto bianco, inginocchiati, mani sulle spalle, in una luce scialba che si andava oscurando a ogni decimo di secondo. La camera era isolata dalla serata tranquilla della strada, il momento dei rumori mediati, quando tutto è come sospeso. Il condizionatore d’aria era in azione con un ronzio crescente. In lontananza si vedevano luci intermittenti, lampi di altra tensione. Dopo ogni bagliore la stanza era invasa da una luce neutra, un residuo come di cenere spenta. Pammy e Lyle cominciarono a toccarsi. Conoscevano le mutevoli immagini dell’intimità. Era un legame inespresso, parte della coscienza indivisa, il silenzio già esplorato tra persone che vivono insieme. Mentre i corpi si intrecciavano, i due sembravano duplicabili cellule generate da una precisa divisione. Le loro lingue scivolavano su pelle più umida. Era questa ricerca di lieve umidità, un’intuizione di natura sommersa, che li spingeva uno verso l’altra, in ansiosa ricerca.” I corpi e le merci. Quello che dopo è diventato dominio generalizzato della pagina scritta, quello che poi si è dilatato invadendo romanzi e storie. Facendosi elemento di fotografia del presente. Qui come al solito DeLillo anticipa senza precludere. Delinea. Declina con piccoli esempi di scrittura che lascia alla sorpresa uno spazio metafisico. Eppure così terreno. Non c’è solo questo. Accadono molte cose in questo bellissimo romanzo. Pammy diventa l’amante di un omosessuale e Lyle si trova incastrato in un complicato intreccio, diventando doppio agente dell’FBI e di una cellula terroristica. E’ un libro che evidenzia la catastrofe insita, accucciata, in attesa nelle pieghe della quotidianità. Un libro profetico (le Twin Towers vengono definite “precarie” e descritte fra straniamento e claustrofobia con dialoghi che toccano senza darlo a vedere tutte le forme conosciute di nevrosi mimata e nascosta dal paradosso e dal surreale) Un libro che cerca di frenare la follia e il gravoso enigma della vita che si fa sempre più palpabile, col passare dei giorni, delle ore, dei minuti: “Lyle coltivava la virtù dell’autocontrollo. Come corollario alla sua estrema presenza di spirito, aveva costruito uno spazio tra sé e le persone con cui di solito veniva in contatto nel corso della vita quotidiana… Parodiava allegramente le proprie maniere girandosi di scatto verso un volto per sfiorarlo con uno sguardo inespressivo.” Un romanzo dove si anticipa il futuro incombere della tecnologia e della sua influenza sulle personalità. Un romanzo composto da più piani, intangibile e attualissimo, da leggere e rileggere per chiunque ami veramente la scrittura e la lettura. Per capire cosa vuol dire. Scrivere e costruire tutti i feticci del futuro. Creare e presagire. Farlo. Così. Nello smarrimento che solo il talento spaventoso produce. Per capire anche l’ora, il nostro presente filtrandolo attraverso righe scritte 30 anni fa.

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