Lunar Park è un punto di rottura. Un romanzo che affonda le sue radici in una crisi profondissima, che nasce dal rifiuto della spettacolarizzazione e approda a un complesso intreccio di realtà e finzione, riuscendo a raggiungere i vertici più alti sia della confessione sia della scrittura usata come maschera.
Il libro stesso è diviso in due parti: la prima coincide col primo capitolo, “gli inizi”: a sorprenderci, immediatamente, è la voce diretta e nuda di Ellis, che per la prima volta si confessa senza ricorrere ad alcun tipo di artificio narrativo. Il ritmo è incalzante, il tono, inizialmente freddo e distaccato, si fa presto appassionato e disperato: l’autore sembra deciso ad andare fino in fondo, a liberarsi catarticamente del peso del proprio passato.
Ed ecco allora emergere la parabola di un ragazzo trasformato in una celebrità dal suo primo romanzo e ben presto travolto da un’ondata di degradazione, droga e ulteriore successo letterario, che non fa che legittimarlo a spingersi sempre più oltre. Una discesa agli inferi che lascia ben presto i toni patinati e glamour delle prime pagine delle riviste, per trasformarsi in un abisso privato d’instabilità e assenza d’amore, trascinandoci fino al limite ultimo, fino al crollo, all’implosione.
Questa si manifesta con la morte del padre, quel genitore autoritario e dal quale egli aveva sempre cercato di fuggire, tanto odiato e tanto segretamente amato, che porta Ellis a fermarsi, a far scattare la finzione in questo nuovo romanzo. Anche se con una notevole peculiarità: prima di passare alla narrazione, Ellis si premura di assicurare l’assoluta veridicità della storia che sta per raccontare, al punto da chiamare il protagonista Bret Easton Ellis.
Non si tratta però di se stesso, quanto piuttosto di un nuovo alter ego, che scopriamo inspiegabilmente ripulito dagli stravizi, sposato con un’attrice di successo, con un figlio che non ha mai voluto riconoscere e col quale ora cerca di riallacciare il rapporto, lontano da New York e apparentemente ben inserito in un idilliaco contesto suburbano, destinato però ben presto a macchiarsi di ombre. L’asettica, immota provincia americana si popola ben presto di fantasmi (in senso metaforico ma anche letterale) e la narrazione compie una brusca sterzata di genere, trasformandosi in un horror che si rifà dichiaratamente ai romanzi di Stephen King.
Questa scelta, apparentemente così distante dagli universi narrativi abituali dell’autore, è invece coerentemente moderna, altrettanto rappresentativa dello zeitgeist quanto lo erano stati a loro tempo American Psycho, con il suo serial killer yuppie per gli anni ottanta, e Glamorama, con il suo connubio tra moda e terrorismo, per gli anni novanta. La narrativa contemporanea infatti sembra avviarsi sempre più sulla strada della contaminazione, della ricontestualizzazione dei generi letterari e del loro superamento tramite un pastiche che coniughi leggibilità, attenzione per l’attualità, fantasia e potenza emotiva.
Lunar Park fa proprio questo: utilizzando una struttura efficace e riconoscibile, moltiplicando i punti di vista nel racconto attraverso un caleidoscopio di spunti e interpretazioni diverse, riesce ad offrire un convincente spaccato sulla società americana, non più sul suo inesorabile declino quanto sul suo sfascio già avvenuto. Difficile infatti sapere cosa sia più terribile e stupefacente, se i fenomeni paranormali che iniziano a verificarsi o se la descrizione che Ellis fa dei bambini, diventati androidi privi di emozioni, dipendenti dagli psicofarmaci già all’età di cinque anni.
Ma il livello in cui l’autore si mette più in gioco è quello emotivo, dove tenta di saldare i conti con la memoria del proprio padre e di cercare lui stesso di riallacciare un rapporto con il figlio, precedentemente sempre rifiutato. In questo modo il canovaccio horror si carica di simbolico, lo sguardo passa da realista a visionario, non è più possibile separare incubo e realtà, passato e presente, amore e paura.
Avventurarsi in Lunar Park è come percorrere un corridoio costellato di specchi all’interno di una casa in fiamme: ad andare a fuoco non è solo la vita dell’autore, ma l’intero sistema di valori distorto della nostra società.
Di certo si tratta di un’opera estremamente ambiziosa, pienamente riuscita dal punto di vista simbolico ed emotivo, con forse qualche falla dal punto di vista narrativo, che però non pregiudica la validità complessiva.
In ogni caso, sicuramente uno dei titoli più complessi ed interessanti di quest’ultima stagione letteraria.