SENZA FIORI
Dimora Records, 2019
“Senza Fiori” è un disco in bilico, oppure un disco in equilibrio, a seconda dei punti di vista. È un viatico che sgrana gli occhi verso il futuro pur immergendosi appieno nel contemporaneo; tratteggia i fenomeni del mondo con il rispetto verso la classicità e la forma canzone. Ci si trovano composizioni, allo stesso tempo colte e rabbiose, in cui il cantautorato italiano diventa il territorio d’incontro fra il rock e il pop. Una libera incisione in cui i flussi di coscienza si alternano a testi cesellati, alla maniera poetica. Descrizioni visionarie si intrecciano ad analisi utopiche sulla religione intesa come opera d’arte. nel percorrere le dieci tracce ci si muove attraverso ambienti onirici e spazi razionali. Viene utilizzata una tavolozza espressiva ampia passando dalla schiettezza all’allusività fino all’ermetismo. La teoria e la pratica ritornano ad essere la medesima cosa e l’ironia e il dramma coesistono come facce della stessa medaglia. Nell’album l’approccio psicologico e quello corporeo convivono, così come quello analogico e quello digitale. Dieci pezzi che sono tasselli di un lavoro basculante tra speranza e disillusione, un moto oscillatorio che invita a guardare costantemente fuori e dentro di noi” A.L.
Andrea Lorenzoni è cantautore e poeta di Bologna, nato il 13 agosto 1985. Ha avuto esperienze in diverse formazioni musicali cittadine (su tutte i Divanofobia), vincendo diversi concorsi per band rock. Nel 2017 è uscito “Mondo Club”, il suo primo disco solista. nel 2012 ha pubblicato la raccolta di poesie “Parlo dentro” per le edizioni Prufrock Spa e nel 2018 ha dato alle stampe il libro di componimenti “Piuma” per Arcipelago Itaca Edizioni. L’impegno della sua produzione artistica è coerente all’attività di insegnante di sostegno nella scuola elementare. La personalità poliedrica che dimostra è influenzata dalla storia personale: nato da madre bolognese e padre pakistano (prendendo il cognome della madre). Nelle creazioni di Lorenzoni si trovano dei temi ricorrenti: la conoscenza di noi stessi, degli altri, l’integrazione, il movimento, gli opposti, il cambiamento e il desiderio.
Sfide velodromiche sul Kilimangiaro / Forza di andare via / La disillusione / Senza fiori / Domani sarà come ora / Su come puntini / Una visione / Il pensiero dell’uomo / Il ventre della donna / Futuro
New Model Label
Intervista
Davide
Ciao Andrea. Dopo “Mondo Club” del 2017 esce questo tuo secondo disco solista, “Senza Fiori”. A che punto ti eri “interrotto” con “Mondo Club” e cosa hai ripreso e sviluppato oggi rispetto al tuo primo lavoro?
Andrea
Ciao Davide. Mi ero “interrotto” chiudendo un disco – “Mondo Club” – basato sulla costruzione di canzoni pop, tali per struttura e per alcuni accorgimenti testuali. Avevo prodotto il disco pensando ad un pubblico di ascoltatori il più possibile ampio. Un lavoro che pur tuttavia mostrava sotto traccia anche la mia vena più sperimentale: ad esempio ricorrevo solo saltuariamente alla rima e avevo inserito, negli arrangiamenti, strumenti musicali pakistani – tabla, sitar, armonium – ricongiungendomi così, simbolicamente, alle mie origini pakistane. Per il nuovo album “Senza fiori” ho fatto tesoro del metodo di composizione precedente, avendolo interiorizzato, ma ho assecondato maggiormente il bisogno di libertà artistica. Per cui ho deciso di non pensare ad un pubblico specifico e di concedermi più spazi espressivi e stilistici. Ho ripreso la forma canzone ma declinandola in atmosfere anche molto diverse fra loro. Ho sviluppato l’aspetto testuale inserendo le rime in maniera più sistematica rispetto al passato (accorgimento, questo, paradossalmente più pop di quello utilizzato nell’album precedente) e inserendo la scrittura più marcatamente poetica in momenti specifici: parti musicali in spoken-word, il brano “Una visione”. Questa volta i temi, a me cari, della diversità e dell’integrazione non ho voluto relegarli all’interno dei testi, nei relativi contenuti, ma ho voluto che venissero rappresentati anche “plasticamente” dal disco stesso, dalla sua eterogeneità di stili e di umori, tenuti insieme sotto lo stesso tetto, disco, da una stessa voce, la mia, e da una stessa atmosfera sonora (grazie al mix di Justin Bennett, Skinny Puppy). Il disco vuole rappresentare in maniera figurata una società composta da molteplici differenze che, con splendido sforzo, coabitano. Questo non è altro che il medesimo messaggio che mandavo – con sonorità più omogenee – attraverso “Mondo Club” ma che nel nuovo album ho espresso in una forma più profonda e implicita. Credo che nella contemplazione della diversità si possa trovare una bellezza superiore e che tale bellezza sia raggiungibile attraverso un percorso di desiderio e non attraverso un piacere facile ed immediato. Un disco – così come una persona – va ascoltato e riascoltato più volte. In “Senza fiori” ho voluto dare più spazio all’arte e meno importanza all’aspetto strettamente commerciale dell’arte.
Davide
Chi ha suonato con te in questo disco?
Andrea
In questo disco ha suonato Michele Postpischl, batterista della band Ofeliadorme e già produttore artistico insieme a me dell’album precedente, nonché del disco dei Divanofobia. Il basso elettrico lo suona l’amico Giacomo Giunchedi col quale avevo già collaborato e che ha in uscita il nuovo disco a nome Cadori. Il sax e il clarinetto basso sono suonati dalla jazzista concittadina Giulia Barba. Nel brano “Una visione” la chitarra la suona Marco Donelli, membro fondatore dei Divanofobia.
Davide
C’è in tutte queste tue nuove canzoni un piacevole appeal melodico. Se è vero che per muoverci dobbiamo perdere l’equilibrio ad ogni passo per riconquistarlo e avanti, similmente possiamo immaginare il movimento di una canzone di nota in nota. Gian Carlo Menotti disse che la melodia deve avere la qualità dell’inevitabilità nelle nostre orecchie. Quando riconosci una melodia essere quella più giusta, la tua?
Andrea
Sì, la melodia ricopre un ruolo molto importante nel mio modo di comporre e di intendere la musica, anche negli arrangiamenti. Certo, credo che ci sia una componente di “inevitabilità” nella melodia “giusta”, essa infatti mantiene un legame stretto con qualcosa di molto antico dentro gli esseri umani. Diciamo che la sfida con me stesso è sempre quella di riuscire a trovare una melodia strana – ossia non scontata – ma che poi, in ultima analisi, risulti inevitabile, “naturale”, in qualche misura “ancestrale”. Per fare questo penso sia importante coltivare il proprio gusto musicale attraverso l’ascolto. Nel caso della canzone, ovviamente, la melodia cantata deve sposarsi al meglio con il significato e il suono delle parole.
Davide
La parola, nella poesia o nella canzone… Cosa, come nasce per essere una o per essere l’altra?
Andrea
La forma canzone e la poesia sono arti diverse. A me piace lasciarle contaminarsi reciprocamente perché le pratico entrambe ed entrambe le sento affini a ciò che sono. Rispetto alla mia esperienza nei Divanofobia ora cerco di distinguere più nettamente i due modi di scrivere. Per questo, come dicevo sopra, nel nuovo album i testi che erano nati come poesie li ho voluti recitare, senza cantarli, sul modello spoken-word, proprio a delimitare maggiormente i confini fra le due forme. Un testo, in generale, deve essere funzionale allo scopo. Io penso alla poesia come a qualcosa che deve “funzionare” per essere letta in un libro o ascoltata “recitare”. Nel caso del testo di una canzone esso deve “funzionare” per essere cantato su una determinata melodia. I due mondi sono certamente imparentati, anche strettamente, ma rappresentano due dimensioni che è necessario rimangano distinte.
Davide
“La disillusione” e “Una visione” mi piacciono molto e mi hanno ricordato la coppia Battisti/Panella. Quali sono i tuoi autori musicali più amati o, diciamo, seminali?
Andrea
Mi fa molto piacere che ti piacciano. Il tuo accostamento mi sembra azzeccato. I dischi che Battisti e Panella hanno realizzato insieme presentano i suoni tipici degli anni 80 e in effetti, a livello di produzione, mi sono rifatto a quel tipo di sonorità: penso in particolare al suono della batteria ma più in generale agli arrangiamenti elettronici. Anche a livello armonico trovo qualche affinità: in alcune successioni di accordi meno scontate e più stranianti. In parte mi ritrovo anche nel tentativo di rifuggire la melodia troppo scontata. Sul piano testuale il contatto forse è ancora più evidente: il modo di scrivere di Pasquale Panella è chiaramente influenzato dalla poesia e in particolare dalla cosiddetta poesia di ricerca del 900. Anche io, per certi versi (!), faccio riferimento a quel mondo poetico o, più correttamente, mi inserisco nel multiforme universo della poesia contemporanea. Devo dire però che non ho ascoltato a lungo la coppia Battisti/Panella e che il collegamento è fortuito. A livello di autori musicali ho ascoltato molto Battiato, Morgan, Verdena, Marlene Kuntz, Morphine, Placebo. Poi amo alcuni singoli dischi di artisti italiani e stranieri: Rimmel (Francesco De Gregori), Asleep in the back (Elbow), Le ombre (Lele Battista), Cattive abitudini (Massimo Volume), Scar (Joe Henry), Melody A.M. (Röyksopp), Blue (Joni Mitchell), Harvest (Neil Young), Toxicity (System Of A Down), In Rainbows (Radiohead), Unsolved (Karate), Antics (Interpol), Non Zero Sumness (Planet Funk), No More Shall We Part (Nick Cave), Tea For The Tillerman (Cat Stevens), Triggerfinger (Triggerfinger), Germi (Afterhours), Racine Carée (Stromae), To Pimp A Butterfly (Kendrick Lamar), Blackstar (David Bowie). Comunque cerco di ascoltare con attenzione tutto quello che arriva alle mie orecchie.
Davide
E per la poesia?
Andrea
Per la poesia probabilmente Ungaretti, Montale, Gialal Ad-Din Rumi (Mevlana), fino ad arrivare a Edoardo Sanguineti, Roberto Roversi, Valerio Magrelli, e poi Mario Santagostini, Marco Giovenale e il mio amico Roberto Batisti.
Davide
Quali sono i punti di contatto tra la tua professione musicale e quella di insegnante di sostegno?
Andrea
Probabilmente i punti di contatto sono la capacità di ascolto e di osservazione di ciò che ho intorno e il piacere creativo e progettuale. Per riuscire a favorire lo sviluppo di un bambino, o di una bambina, con disabilità, prima di tutto, è importante sapere ascoltarlo e osservarlo e sulla base della conseguente rappresentazione essere in grado di creare delle strategie educative uniche, personalizzate. Entrambe le attività materializzano il mio bisogno di riflessione, di creatività, di etica e di libertà.
Davide
E tra Bologna e il Pakistan delle tue origini?
Andrea
Per quel che mi riguarda i punti di contatto fra Bologna e Pakistan – o più correttamente fra Bologna e Karachi, città di origine di mio padre – sono riconducibili quasi esclusivamente al dato biologico. Mia madre è di Bologna e in questa città sono cresciuto senza vedere mai mio padre – che vive a Karachi – se non, molto sporadicamente, a partire dai sedici anni circa di età. Quindi culturalmente non ho nulla di pakistano. Senza dubbio i contatti con mio padre mi hanno portato a misurarmi un po’ anche con quella cultura ma non sono mai stato nel suo paese, anche se spero di poterlo fare presto. Sicuramente quella parte esotica di me mi incuriosisce molto e la sento come un orizzonte ancora da scoprire. Come è ovvio, la mia storia personale, e quindi anche l’idea di meticciato (e qui ritorna il concetto di diversità), ha influito e continua a influire sul mio modo di fare arte.
Davide
A cosa deve servire una canzone, o a cosa tendere?
Andrea
Una canzone serve a generare bellezza e per fare ciò deve tendere essa stessa alla bellezza. Per quel che mi riguarda la bellezza è anche lo stupore per le capacità e le qualità umane.
Davide
Cosa seguirà?
Andrea
Non so cosa seguirà. Forse un nuovo libro di poesie, forse un saggio o forse un nuovo disco, ancora diverso dal precedente. Intanto, nel breve periodo, spero seguano tanti concerti.
Davide
Grazie e à suivre…