Edizioni Einaudi
Narrativa romanzo
Pagg. 396
ISBN 9788806239794
Prezzo Euro 13,50
Barriere invalicabili
Ecco un romanzo cult della letteratura nordamericana, un’opera fatta di dolore, rabbia, tenerezza e malinconia espresse in modo immediato proprio di chi ha vissuto certe situazioni e non a caso Martin Eden può essere considerato in buona parte autobiografico. La storia del marinaio poco istruito, rozzo, invitato a pranzo in una famiglia dell’alta borghesia, grazie a un occasionale piacere che ha prestato, è una di quelle che, per gli inevitabili contrasti esistenti fra i personaggi, affascina immediatamente. Martin è come un pesce fuor d’acqua che ha persino paura a muoversi; impacciato lo sarà di più conoscendo una ragazza, Ruth, figlia del padrone di casa e che per lui da subito diventa l’inarrivabile oggetto del desiderio. Lei sembra turbata, lui lo intuisce e si rende conto che per avere qualche possibilità di fare una breccia definitiva nel suo cuore deve darsi da fare, con urgenza, per colmare il divario culturale esistente. La sua forza di volontà è spaventosa in un corso accelerato che lo porterà a comprendere progressivamente il significato di libri sempre più complessi, infondendogli una sicurezza tale da pensare da poterne scrivere egli stesso, in modo che con il successo e i diritti d’autore gli sia possibile mantenere Ruth nel tenore di vita della sua classe sociale. Non vado oltre perché il piacere della lettura non sta tanto nella trama pur interessante, ma nella descrizione, superlativa, della progressiva trasformazione del rozzo marinaio. Ciò che mi preme evidenziare è il significato dell’opera, tutta incentrata su un’illusione amorosa che porta a un acceso desiderio di riscatto e di elevazione sociale. Sappiate solo che Martin diventerà un eccellente scrittore, ma la sua è la storia di un successo e insieme di un fallimento, perché l’innalzamento sociale è illusorio, portando invece a una progressiva autodistruttiva regressione. Martin, come si suol dire, diventa né carne né pesce, la velocissima istruzione lo allontanano dal mondo proletario in cui era nato e aveva vissuto la sua giovinezza e i cui valori gli diventano del tutto estranei, ma non può nemmeno accettare il corrosivo conformismo borghese, caratterizzato da una vergognosa ipocrisia. Siamo quel che siamo, ci portiamo dietro le abitudini e i valori dell’ambiente in cui siamo nati e cresciuti, possiamo anche migliorare la nostra condizione, ma perché ciò avvenga, senza che perdiamo la conoscenza delle nostre radici che ci consente di impostare correttamente la nostra vita, il miglioramento deve essere necessariamente lento e progressivo; altrimenti corriamo il rischio di avventurarci in un mare in tempesta senza sapere di un porto sicuro.
Con neppure larvati riferimenti alla teoria dell’evoluzione di Darwin e con le indubbie suggestioni del Superuomo di Nietzche, Martin Eden si rivela ben più di un romanzo di assoluto valore, ma è anche una denuncia delle stratificazioni sociali, della divisioni in classi della società, comparti stagni in cui a chi sta in basso è pressoché impossibile salire più in alto.
Aggiungo una doverosa annotazione: nel romanzo c’è forse il più bel suicidio della storia della letteratura, un profondo senso di annullamento, una volontà indomita di scomparire senza lasciare traccia.
Da leggere questo che ritengo possa essere definito senza alcuna remora un capolavoro.
Jack London, pseudonimo di John Griffith London, scrittore statunitense (San Francisco, 12 gennaio 1976 – Glen Ellen, 22 novembre 1916).
La sua figura è una delle più singolari e romanzesche della letteratura americana: figlio illegittimo di un astrologo, cresciuto dalla madre e dal suo secondo marito John London, abbandona la scuola a 13 anni e diventa rapidamente adulto tra Oakland e San Francisco con ladri e contrabbandieri, praticando vari mestieri non sempre legali tra cui strillone di giornali, pescatore clandestino, cacciatore di foche, operaio, lavandaio, venditore porta a porta, avventuriero alla ricerca dell’oro in Klondike. Nel 1897, infatti, Jack London lasciò San Francisco per l’Alaska sulla scia della febbre dell’oro scoppiata in quegli anni. Tra mille peripezie raggiunse il Klondike, e proseguì al di là delle montagne, fino a Dawson City in Canada e lungo il fiume Yukon. Non trovò l’oro che cercava ma riportò a casa qualcosa di più prezioso: un immenso tesoro di osservazioni e di ricordi che trasformò poi nelle sue opere più famose.
Pur avendo abbandonato gli studi, fu un gran divoratore di libri di ogni genere, e riuscì a diventare per circa un quindicennio uno degli scrittori tra i più famosi, prolifici (49 volumi) e meglio retribuiti che si ricordino, per finire poi suicida, distrutto dall’uricemia indotta dall’alcool.
Scrisse romanzi di vario genere, da quelli avventurosi: Il richiamo della foresta (The call of the wild, 1903), Il lupo di mare (The sea wolf, 1904), Zanna Bianca (White fang, 1906); a quelli autobiografici: La strada (The road, 1907), Martin Eden (1909), John Barleycorn (1913); a quelli fantapolitici, come Il tallone di ferro (The iron heel, 1908); scrisse anche racconti, tra cui spiccano Il silenzio bianco (The white silence, 1900) e Farsi un fuoco (To build a fire, 1910), e si dedicò al reportage (come quello, del 1904, sulla guerra russo-giapponese) e alla saggistica e trattatistica politica (Il popolo dell’abisso, The people of the abyss, 1903, celebre inchiesta, condotta di prima mano, sulla povertà nell’East End di Londra).
Nell’opera di Jack London si riflettono le sue pluriformi esperienze di vita: nel capolavoro Il richiamo della foresta e in Zanna bianca, come nei racconti dedicati alla corsa all’oro nelle desolate vastità del Grande Nord americano, risuonano tutti i temi e le atmosfere a lui cari: la lotta per la sopravvivenza, la legge dura e inflessibile della natura che accomuna esseri umani e animali, la solidarietà e il coraggio. E sono storie di sogni impossibili, di indiani e cercatori d’oro, di uomini soli con se stessi nel momento della prova più difficile. Quando poi le desolate distese ghiacciate cedono il posto alle calde correnti del Pacifico, London accoglie nei suoi racconti insoliti eroi provenienti da civiltà diverse, abitanti di isole incantate, portatori di nuovi valori, che affrontano le loro prove sfidando il mare. Ma c’è un’altra violenza contro cui bisogna lottare, stavolta dentro la società civile: London incita alla rivolta contro le convenzioni e le ingiustizie, alla ricerca di un’autenticità perduta e di un ideale sociale intuito attraverso l’esperienza della propria e altrui ribellione. È il tema di Martin Eden – considerato il suo romanzo di maggior respiro, scritto tra l’estate del 1907 e il febbraio del 1908 mentre Jack London navigava per i mari tropicali ai bordo dello Snark e pubblicato nel 1909, prima in rivista e quindi in volume – e del Tallone di ferro.
La sua figura è una delle più singolari e romanzesche della letteratura americana: figlio illegittimo di un astrologo, cresciuto dalla madre e dal suo secondo marito John London, abbandona la scuola a 13 anni e diventa rapidamente adulto tra Oakland e San Francisco con ladri e contrabbandieri, praticando vari mestieri non sempre legali tra cui strillone di giornali, pescatore clandestino, cacciatore di foche, operaio, lavandaio, venditore porta a porta, avventuriero alla ricerca dell’oro in Klondike. Nel 1897, infatti, Jack London lasciò San Francisco per l’Alaska sulla scia della febbre dell’oro scoppiata in quegli anni. Tra mille peripezie raggiunse il Klondike, e proseguì al di là delle montagne, fino a Dawson City in Canada e lungo il fiume Yukon. Non trovò l’oro che cercava ma riportò a casa qualcosa di più prezioso: un immenso tesoro di osservazioni e di ricordi che trasformò poi nelle sue opere più famose.
Pur avendo abbandonato gli studi, fu un gran divoratore di libri di ogni genere, e riuscì a diventare per circa un quindicennio uno degli scrittori tra i più famosi, prolifici (49 volumi) e meglio retribuiti che si ricordino, per finire poi suicida, distrutto dall’uricemia indotta dall’alcool.
Scrisse romanzi di vario genere, da quelli avventurosi: Il richiamo della foresta (The call of the wild, 1903), Il lupo di mare (The sea wolf, 1904), Zanna Bianca (White fang, 1906); a quelli autobiografici: La strada (The road, 1907), Martin Eden (1909), John Barleycorn (1913); a quelli fantapolitici, come Il tallone di ferro (The iron heel, 1908); scrisse anche racconti, tra cui spiccano Il silenzio bianco (The white silence, 1900) e Farsi un fuoco (To build a fire, 1910), e si dedicò al reportage (come quello, del 1904, sulla guerra russo-giapponese) e alla saggistica e trattatistica politica (Il popolo dell’abisso, The people of the abyss, 1903, celebre inchiesta, condotta di prima mano, sulla povertà nell’East End di Londra).
Nell’opera di Jack London si riflettono le sue pluriformi esperienze di vita: nel capolavoro Il richiamo della foresta e in Zanna bianca, come nei racconti dedicati alla corsa all’oro nelle desolate vastità del Grande Nord americano, risuonano tutti i temi e le atmosfere a lui cari: la lotta per la sopravvivenza, la legge dura e inflessibile della natura che accomuna esseri umani e animali, la solidarietà e il coraggio. E sono storie di sogni impossibili, di indiani e cercatori d’oro, di uomini soli con se stessi nel momento della prova più difficile. Quando poi le desolate distese ghiacciate cedono il posto alle calde correnti del Pacifico, London accoglie nei suoi racconti insoliti eroi provenienti da civiltà diverse, abitanti di isole incantate, portatori di nuovi valori, che affrontano le loro prove sfidando il mare. Ma c’è un’altra violenza contro cui bisogna lottare, stavolta dentro la società civile: London incita alla rivolta contro le convenzioni e le ingiustizie, alla ricerca di un’autenticità perduta e di un ideale sociale intuito attraverso l’esperienza della propria e altrui ribellione. È il tema di Martin Eden – considerato il suo romanzo di maggior respiro, scritto tra l’estate del 1907 e il febbraio del 1908 mentre Jack London navigava per i mari tropicali ai bordo dello Snark e pubblicato nel 1909, prima in rivista e quindi in volume – e del Tallone di ferro.