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Intervista con Nero Kane

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Love in a dying world è il titolo dell’album di debutto firmato Nero Kane, registrato e prodotto presso Valley Recording Company a Los Angeles da Joe Cardamone (The Icarus Line / Holy War), che ha collaborato tra gli altri con Jesus and Mary Chain, The Cult, The Stooges e Warren Ellis. L’album, pubblicato sotto il collettivo artistico American Primitive fondato da Cardamone, include dieci brani arrangiati e suonati interamente da Kane e Cardamone. Tutti i testi sono scritti da Kane. Un animo mosso da sogni malinconici e bisogno di emozioni profonde in un mondo solitario: amore, morte, decadenza e solitudine sono le tematiche affrontate in Love in a dying world con una vena poetica e spirituale. Due brani dell’album (Now the day is over e Because I knew not when my life was good) sono stati ispirati da un libro di inni sacri della Chiesa Presbiteriana Americana (The Hymnbook, 1955), acquistato in un negozio di oggetti usati in una cittadina presso Joshua Tree durante un viaggio di Kane attraverso la California.
Love is a dying world è anche un film sperimentale con regia di Samantha Stella girato durante il viaggio con il songwriter e musicista Nero Kane attraverso i paesaggi desertici e solitari della California. Il film sarà in presentazione in musei e gallerie di arte contemporanea a partire da ottobre 2018. I video ufficiali per la promozione dell’album di Nero Kane sono episodi tratti dal film. Nero Kane è il nome d’arte di Marco Mezzadri, songwriter e musicista attivo nel panorama underground italiano. Dopo l’uscita nel 2016 dell’album Lust Soul, lavoro dalle influenze rock-wave firmato NERO, percorre una nuova ricerca intimistica e decadente. Voce e chitarra folk-rock uniscono radici europee e sonorità desertiche americane in un progetto dalle tinte oscure ed emozionali.
 
 
Davide
Ciao Marco. Partiamo dal principio, alla prima volta che hai scritto una canzone. Quanti anni avevi e cosa ti muoveva? Cosa invece o ancora ti muove oggi?
 
Marco
Ho iniziato a suonare a 23 anni e la prima canzone che ho scritto risale quindi a quell’età. Avevo da poco iniziato a suonare il basso e di getto scrissi una canzone sulla comunità che viveva nel sottosuolo di Bucarest, una sorta di seconda città popolata da outsiders che si nascondeva sotto la città reale e usciva solo di notte quando quest’ultima si spopolava. Paradossalmente è stato il mio unico testo non autobiografico. Dopo quella canzone ho iniziato a parlare della mia di vita e delle mie emozioni. Quello che in generale mi ha sempre mosso nel far musica è trasmettere le mie inquietudini e visioni utilizzando questo mezzo per esprimermi, per liberarmi, per lasciare una traccia di me stesso. Ed è questo che mi muove tutt’oggi.
 
Davide
In quali altre band o progetti hai fatto esperienza prima di approdare al debut album solista “Lust Soul” del 2016?
 
Marco
Ho avuto un progetto garage rock molto legato al Detroit Sound di stampo Stooges / MC5. La band si chiamava The Doggs ed è stato un capitolo intenso della mia vita. Sciolto il progetto The Doggs ho iniziato un percorso solista pubblicando l’album “Lust Soul” sotto la firma NERO.
 
Davide
Da “Lust Soul” a “Love In A Dying World“, cosa continua e cosa è cambiato?
 
Marco
Da “Lust Soul” mi porto dietro un certo tipo di oscurità che caratterizza ormai la mia musica. Quello che è cambiato è la profondità di scrittura, di intensità. Ho iniziato a lavorare sull’essenzialità del suono, legandomi sempre di più ad un immaginario da songwriter più vicino al blues che al rock. “Love In A Dying World” (album di debutto con il mio nome Nero Kane), è un disco più autentico, nel senso che va dritto all’essenza della mia scrittura eliminando orpelli e sovrastrutture per me ormai sterili.
 
Davide
Com’è avvenuto l’incontro con Joe Cardamone e qual è stato il suo apporto al tuo lavoro?
 
Marco
Joe vide un video di un singolo estratto da “Lust Soul”, credo si trattasse del brano Death In June, e mi contattò proponendomi di fare un disco insieme. Conoscevo e apprezzavo molto Joe come artista per il suo percorso con la band The Icarus Line. Da lì le cose si sono susseguite velocemente. Il suo apporto, direi fondamentale, alla mia musica, è stata la spazialità. Lavorando soprattutto attraverso loop, in un modo molto vicino a quello seguito anche da Warren Ellis con il quale Joe ha collaborato per diversi progetti, ha creato una dimensione, dato una sorta di respiro al disco, fornendogli allo stesso tempo una collocazione fisica, desertica appunto, che si sposava perfettamente con il mio tipo di sound ed immaginario. 
 
Davide
Chi ha suonato con te in questo disco e cos’è il collettivo artistico American Primitive?
 
Marco
Tutti i brani sono stati interamente suonati ed arrangiati da me e Joe Cardamone. Il collettivo American Primitive è una sorta di famiglia artistica creata da Joe per promuovere il suo nuovo progetto Holy War, e i lavori che reputa migliori nell’ambito del suo lavoro di produttore artistico. È un collettivo dove si condivide una passione, ma soprattutto una visione della musica, lontana dal mainstream. 
 
Davide
Cosa può fare l’amore o cos’è l’amore in un mondo che muore? Cosa la musica?
 
Marco
L’amore, può sembrare banale, può salvarci. Può anche distruggere, provocare dolore, ma nella mia visione l’amore, o la ricerca di esso, è il motore che muove l’anima. Amore che non dev’essere per forza inteso come fisico, tra due persone, ma anche amore in senso più assoluto, più totalizzante. In questa visione l’amore è anche continua ricerca della Bellezza nel mondo, nella natura, nei rapporti umani. È per me fonte di stimolo alla vita. “L’amore in un mondo che muore” (titolo dell’album), è proprio questa costante ricerca, a volte vana, della Bellezza. La musica è il mezzo che io utilizzo per ricercare ed esprimere questa Bellezza. 
 
Davide
“Love In A Dying World” è anche un film con la regia di Samantha Stella girato durante un viaggio attraverso i paesaggi desertici e solitari della California. Quando e dove lo si potrà rivedere?
 
Marco
Il film è in proiezione in musei e gallerie d’arte abbinato a talk e presentazioni con diversi curatori. Dopo il Museo Marca a Catanzaro, il Museo Macro Asilo a Roma e il Pomo Da Damo a Imola, è in presentazione oggi a Genova allo Spazio46 di Palazzo Ducale. Stiamo definendo la presentazione a Milano, mentre tra febbraio e marzo sarà in presentazione presso lo spazio Carme a Brescia e il bellissimo Museo della Musica di Bologna.
 
Davide
Il deserto è il luogo per eccellenza delle privazioni e della solitudine, della morte o della non-vita, ma anche simbolo di prova e purificazione nella ricerca di Dio o, comunque, di una spiritualità. Cosa sono stati per te quei paesaggi essenziali, cosa vi hai trovato?
 
Marco
In quei paesaggi ho ritrovato l’essenza della natura e del contatto con essa. Il concetto di selvaggio, aspetto così difficile da ritrovare nei nostri paesaggi ormai troppo contaminati dalla presenza dell’uomo, gli spazi infiniti, i colori, la luce, il vento, tutto ha giocato un ruolo fondamentale nell’accompagnare la mia musica. In quei paesaggi ho ritrovato l’immagine visiva di quello che stavo raccontando. Appunto un viaggio solitario in un mondo che sta morendo. Un mondo morente ma allo stesso tempo pieno di Bellezza. Il film ne è la risultante visiva, ma soprattutto direi poetica, ed esprime al meglio questo racconto.
 
Davide
Due brani dell’album (Now The Day Is Overe Because I Knew Not When My Life Was Good) sono stati ispirati da un libro di inni sacri della Chiesa Presbiteriana Americana. Cosa ti ha colpito di questi due inni?
 
Marco
La cosa che mi ha colpito è stato sicuramente il testo. Nel primo c’è un aspetto dark davvero affascinante. È un testo che parla di angeli e oscurità in attesa della venuta di un giorno migliore. Nel secondo invece si parla di spiritualità, redenzione e di solitudine, ma anche di come spesso il presente ci sembra buio quando in realtà non lo è. Pentimento e redenzione sono i temi principali del testo, e anche aspetti che ritornano in altri brani del disco.
 
Davide
Il sociologo Jean Baudrillard ha affermato che l’idea della decadenza dell’Occidente fa parte del suo linguaggio culturale. L’Occidente si è sempre trovato a immaginare la sua morte. Cos’è per te “decadenza”?
Marco
Per me “decadenza” è lo sgretolarsi dei rapporti, il buio che avanza sulla luce, il sentiero che l’uomo ha intrapreso nel suo percorso di vita. La “decadenza” è quello che ci circonda, che ci fa paura e che cerchiamo di arrestare. È la società di cui siamo artefici ma al contempo disperate vittime. 
 
Davide
Nick Cave o gli Stooges? O quali altri tra i tuoi preferiti?
 
Marco
Ti direi entrambi. Gli Stooges forse sono legati a una parte più giovanilistica della mia vita, ma rimangono sempre un gruppo imprescindibile per i miei ascolti, Nick Cave invece lo vedo decisamente più vicino al me odierno, soprattutto ascoltando i suoi ultimi lavori. Tra i vari gruppi/artisti sicuramente amo Nico, Velvet Underground, Neil Young ma anche Mazzy Star, Vincent Gallo, Chet Baker e vari bluesman come Robert Johnson e R.L Burnside, di cui apprezzo in particolare lo spirito e l’attitudine più che semplicemente la musica in sé. 
 
Davide
Cosa seguirà?
 
Marco
Al momento sto lavorando su alcuni nuovi brani con l’idea di farne un EP. Ancora è tutto da definire ma sicuramente ci sarà più spazio per la voce di Samantha, che ora si esibisce con me nei live, e per brani più recitati e meno codificati nella semplice forma-canzone. 
 
Davide
Grazie e à suivre…

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