«Italians lose wars as if they were football matches and football matches as if they were wars»
(Winston Churchill)
Nella generale disattenzione dovuta alle festività di fine anno, lo scorso 31 dicembre è entrata in vigore la Legge 21 luglio 2016, n.145, rubricata come Disposizioni concernenti la partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali, norma di cui il nostro Paese aveva enorme bisogno per regolare un settore tanto delicato ma che pare non sia riuscita a colmare completamente le lacune manifestatesi negli anni. Il primo passo, comunque, è stato mosso.
Le missioni all’estero
Ad oggi, l’Italia è ufficialmente impegnata con le sue forze armate in 30 missioni internazionali con quasi 7.000 uomini e donne (per l’esattezza 6.780[1]) provenienti dalle fila di Esercito, Marina, Aeronautica e Carabinieri.
Dico “ufficialmente” perché questi sono i numeri che è dato conoscere per le attività che si stanno conducendo con l’avvallo parlamentare, mentre si ignorano le risorse impiegate per le operazioni di intelligence militare sotto copertura[2].
Gli scenari sono dei più diversi[3]: attività connesse con la lotta al terrorismo e di supporto al Tribunale Penale Internazionale per la ex-Jugoslavia in Bosnia Erzegovina sotto l’egida di Nato e Unione Europea; vero e proprio contingente di peace enforcement con i Caschi Blu delle Nazioni Unite a Cipro; contrasto alla pirateria somala nelle acque dell’Oceano Indiano in un’operazione congiunta Nato-UE; per non parlare poi delle poco note ma molto attive basi italiane a Gibuti e al Polo Sud; e ancora Iraq, Afghanistan, Libano, in Asia, Mali, Libia, Egitto, in Africa, Kossovo, Malta e a breve Lettonia, in Europa.
Nel 2016 le operazioni in chiaro hanno comportato un costo per il bilancio dello Stato pari a 1.200 milioni di euro attraverso un procedimento caotico e poco trasparente per il quale spesso il Parlamento veniva a conoscenza della partecipazione italiana ad una missione internazionale solo nel momento di approvare la relativa legge di finanziamento.
Questo era dovuto al fatto che il nostro ordinamento conosceva solo la fattispecie classica dello “stato di guerra” e non aveva una normativa che regolasse l’invio di contingenti militari in contesti di crisi all’estero per le generalmente chiamate “missioni di pace”.
La norma base rimane l’art. 11 della Costituzione che dichiara solennemente che «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», ma allo stesso tempo «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo».
Secondo l’art. 78 Cost., poi, lo stato di guerra è deliberato dalle Camere, che conferiscono al Governo i necessari poteri, mentre ex art. 87, comma 9, la dichiarazione di guerra è prerogativa del Presidente della Repubblica.
Nulla si diceva circa la possibilità per i nostri militari di integrare missioni di qualunque genere in operazioni diverse da quelle di un conflitto armato, nonostante la lunga e onorata esperienza che ha visto truppe italiane in situazioni di crisi sin dagli anni 50[4] con le Nazioni Unite e la Nato prima e ora anche con l’Unione Europea.
La Legge 21 luglio 2016 n. 145
Con la Legge n. 145 approvata il 21 luglio scorso[5], recante Disposizioni concernenti la partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali, il Parlamento italiano ha finalmente offerto un quadro normativo specifico per autorizzare la partecipazione di nostri contingenti militari in operazioni all’estero.
Innanzitutto, all’art. 1 la Legge chiarisce che il suo ambito di applicazione si pone «Al di fuori dei casi di cui agli articoli 78 e 87, nono comma, della Costituzione» di cui abbiamo detto sopra, vale a dire la dichiarazione dello stato di guerra di cui l’Italia sia parte, e nello specifico riguarda «la partecipazione delle Forze armate, delle forze di polizia ad ordinamento militare o civile e dei corpi civili di pace a missioni internazionali istituite nell’ambito dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) o di altre organizzazioni internazionali cui l’Italia appartiene o comunque istituite in conformità al diritto internazionale, comprese le operazioni militari e le missioni civili di polizia e per lo Stato di diritto dell’Unione europea, nonché a missioni finalizzate ad eccezionali interventi umanitari».
Detta partecipazione «è consentita, in conformità a quanto disposto dalla presente legge, a condizione che avvenga nel rispetto dei principi di cui all’articolo 11 della Costituzione, del diritto internazionale generale, del diritto internazionale dei diritti umani, del diritto internazionale umanitario e del diritto penale internazionale».
Mentre si fa riferimento esplicito all’Onu e all’UE, l’art. 1 non richiama la Nato, ma ritengo che tale omissione possa considerarsi superabile dalla dizione «altre organizzazioni internazionali cui l’Italia appartiene o comunque istituite in conformità al diritto internazionale», ove ricomprendiamo il Patto Atlantico e le altre eventuali future organizzazioni internazionali cui l’Italia aderirà.
Ulteriore categoria di chiusura è poi quella che genericamente richiama la «ottemperanza agli obblighi di alleanze o ad accordi internazionali o intergovernativi» (che giustificherebbe la presenza di nostre forze in Libia, “richieste” dal debole governo locale), e gli «eccezionali interventi umanitari» (come nel caso del terremoto di Haiti o l’intervento in Kossovo a protezione della popolazione civile).
I limiti comunque sono chiaramente stabiliti: l’art. 11 della nostra Costituzione, i principi di diritto internazionale generale, il diritto internazionale dei diritti umani, il diritto internazionale umanitario e il diritto penale internazionale. Un intricato sistema di norme che comunque potrebbe consentire agevoli dribbling elusivi e che merita di essere monitorato con attenzione.
L’art. 2 della Legge descrive il procedimento per la Deliberazione e autorizzazione della partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali e ripropone la centralità del ruolo del Parlamento.
In effetti, negli anni passati spesso i nostri contingenti partivano in seguito a provvedimenti governativi (per lo più Decreti) che venivano sottoposti al vaglio parlamentare solo in occasione della conversione delle norme relative al finanziamento dell’operazione, senza un adeguato esame preliminare nel merito.
In concreto, ora il Consiglio dei Ministri rimane responsabile della delibera circa la partecipazione ad una missione internazionale ma deve previamente darne comunicazione al Presidente della Repubblica e, ove necessario, prevedere un passaggio al Consiglio supremo di difesa.
Dette deliberazioni sono poi trasmesse dal Governo alle Camere, che «tempestivamente le discutono e, con appositi atti di indirizzo, secondo le norme dei rispettivi regolamenti, autorizzano per ciascun anno», ovvero negano l’autorizzazione.
Nella comunicazione al Parlamento, il Governo deve indicare per ciascuna missione «l’area geografica di intervento, gli obiettivi, la base giuridica di riferimento, la composizione degli assetti da inviare, compreso il numero massimo delle unità di personale coinvolte, nonché la durata programmata e il fabbisogno finanziario», garantendo in questo modo una valutazione informata circa l’impegno a cui sono chiamate le forze da impiegare e consentendo alle Camere di esercitare un controllo puntuale e decisivo sulle attività militari all’estero.
Altro rilevante punto della Legge quadro è la previsione dell’art. 4 che istituisce un apposito fondo destinato al finanziamento delle missioni: la sua dotazione è stabilita annualmente dalla legge di stabilità ovvero da appositi provvedimenti legislativi, di modo che il Parlamento non si vedrà più obbligato ad approvare con modalità d’urgenza e senza discutere le leggi per il rifinanziamento delle missioni come accadeva sino a ieri.
La Legge n. 145/2016 intende anche risolvere una volta per tutte il dibattuto tema relativo a quale codice penale militare sia applicabile al personale in missione: quello di pace o quello di guerra.
Il comma 1 dell’art. 19 stabilisce che «Al personale che partecipa alle missioni internazionali, nonché al personale inviato in supporto alle medesime missioni si applica il codice penale militare di pace», pur specificando al secondo comma che il Governo ha la facoltà di deliberare l’applicazione delle norme del codice penale militare di guerra per la qual cosa però è richiesta un’apposita legge autorizzativa e, dunque, un ulteriore vaglio da parte del Parlamento.
Allo stesso modo si prevede la non imputabilità per l’uso della forza «per le necessità delle operazioni militari» come d’altra parte la persistente imputabilità nel caso dei gravi crimini previsti dagli artt. 5 e seguenti dello statuto istitutivo della Corte Penale Internazionale[6].
Alcune questioni che rimangono aperte
Indubbiamente questa Legge colma un vuoto normativo offrendo alcuni strumenti procedurali utili al miglior funzionamento delle nostre istituzioni, ma allo stesso tempo lascia irrisolti alcuni problemi che mi permetto di evidenziare.
In primo luogo, i tempi tecnici per ottenere l’autorizzazione ad una missione da parte del Parlamento: l’avverbio “tempestivamente” è comunque mitigato dal “secondo le norme dei rispettivi regolamenti”, senza che si precisi la possibilità di una qualche procedura d’urgenza, fatto che potrebbe portare a disfunzioni operative o a forzature procedurali da parte dell’Esecutivo (magari con un decreto?).
In secondo luogo, l’impianto entrato in vigore appare quale quadro di riferimento per la partecipazione dei contingenti militari a operazioni internazionali sotto l’egida di organizzazioni e alleanze di cui il nostro Paese sia parte mentre non risulta di immediata applicazione ad una eventuale singola missione di iniziativa italiana. Caso più teorico che concreto per ora, ma in astratto possibile.
In terzo luogo, potrà risultare molto delicato il rapporto tra le missioni che seguiranno l’iter procedurale sopra esposto e quelle cosiddette di “intelligence a partecipazione militare” regolate dalla Legge n. 198/2015[7]. Per motivi di sicurezza nazionale, queste ultime sono sottratte ad ogni controllo parlamentare e ciò può dar luogo ad abusi e sopraffazioni; ma come si concilierà la partecipazione a missioni di carattere “misto”?
Da ultimo, la natura prettamente “amministrativa” di alcune norme di chiusura circa il trattamento del personale che partecipa ad operazioni internazionali: dagli emolumenti riconosciuti alla progressione di carriera, dalle ferie maturate alle linee telefoniche dedicate. Temi che potevano a mio giudizio trovar luogo più adatto in strumenti di carattere regolamentare, più adatti alle cangianti situazioni dei tempi, ma che si sono voluti inserire nella Legge quadro per quel bulimico desiderio di cristallizzazione dei particolari che spesso prende il legislatore.
Certamente positivo il fatto di essere giunti all’approvazione di una simile Legge di cui il nostro ordinamento aveva necessità; nei prossimi mesi, dalla prassi parlamentare ne valuteremo la effettività.
[1] Come si evince dal Decreto legge 16 maggio 2016, n.67, convertito con modificazioni nella Legge 14 luglio 2016, n.131, che ha prorogato le operazioni in corso garantendone il finanziamento.
[2] A questo proposito, si veda ad es. Caocci, D. (2016). Guerra in Libia e decreto fantasma in Italia. KultUnderground, 248. Disponibile da https://kultunderground.org/art/18262.
[3] Cfr. il sito istituzionale del Ministero della Difesa (2017, 16 gennaio). Operazioni Militari. Disponibile da http://www.difesa.it/OperazioniMilitari/Pagine/OperazioniMilitari.aspx.
[4] Solo per ricordare alcune tra le prime storiche (e a volte tragiche) missioni: Corea del Sud (1951-1954), Sinai (1956 e 1958), Laos (1959), Congo (1959).
[5] Pubblicata sulla GURI, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Serie Generale n.178 del 1° agosto 2016.
[6] Nello specifico: genocidio; crimini contro l’umanità; crimini di guerra; crimine di aggressione.
[7] Legge 11 dicembre 2015, n. 198, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 ottobre 2015, n. 174, recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione. Pubblicata sulla GURI, Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Serie Generale n.292 del 16 dicembre 2015. Entrata in vigore il 17 dicembre 2015.