KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Intervista con Mico Argirò

11 min read
“VORREI CHE MORISSI D’ARTE”
nuovo lavoro in studio del cantautore
MICO ARGIRÒ
 
«“Vorrei che morissi d’arte” è insieme un augurio e una minaccia, una mia visione della contemporaneità, tra scacchisti e potenti, pazzi, girovaghi e sentimenti puri»
Con queste parole il cantautore cilentano Mico Argirò (originario di Agropoli, in provincia di Salerno) descrive il suo nuovo lavoro in studio, “Vorrei che morissi d’arte”.
«Se il tutto parte da una visione disastrosa del presente, l’approdo finale è nella possibilità di vivere diversamente, di scegliere un’alternativa. “Vorrei che morissi d’arte” narra di storie semplici, senza retorica o eccessive costruzioni. I brani sono il frutto di anni di lavoro e di scrittura, di registrazioni e sacrifici, di serate e, soprattutto, di nottate a lavorare: anni in cui sono cambiato, cresciuto, maturato. Tengo davvero molto a questo lavoro».
Anticipato dal singolo+videoclip “Il polacco”, “Vorrei che morissi d’arte” è un album in bilico fra la canzone d’autore italiana e il pop-rock internazionale ma che abbraccia anche altri generi musicali quali il reggae e la musica concreta.
«In “Vorrei che morissi d’arte” è presente l’influenza della canzone d’autore italiana (De André, De Gregori, Capossela) senza disdegnare aperture verso altri autori quali  Sting, Goran Bregović, i Beatles, i Pink Floyd o, ancora, Yann Tiersen (che è uno dei miei modelli per quanto riguarda la stesura delle musiche che compongo per il teatro) fino al reggae e alla musica concreta di Cage».
“IL POLACCO” su Youtube
https://youtu.be/bYhEfKkXUBY
 
LINK UTILI
 
“VORREI CHE MORISSI D’ARTE”
nelle parole di MICO ARGIRÒ
Questo album è il segno di una mia maturazione artistica, accompagnata da nuove scelte musicali e tematiche.
Nelle sette tracce del disco ho cercato di interpretare la contemporaneità attraverso stili e linguaggi diversi.
Si tratta di sette canzoni strettamente in relazione tra loro, ascoltabili singolarmente senza complicazioni ma che, nell’insieme, danno una visione unitaria sui tempi in cui viviamo.
I presupposti da cui parte “Vorrei che morissi d’arte” prendono piede dalla descrizione di un presente decadente, ma il messaggio finale è però positivo e si concentra sulla possibilità di un vivere diversamente, felice.
I brani sono pensati in ordine speculare, a controbilanciarsi fra di loro.
I nuclei tematici sono così pensati:
– “Vorrei che morissi d’arte”/“Lo scacchista”
– “Figlio di Nessuno”/“Il polacco”
– “Saltare”/“Chissà se tornerà?”
– “Money”
 
TRACK BY TRACK
 
1) “Vorrei che morissi d’arte”: la traccia che dà il nome all’album è un classico pop-rock italiano. Il linguaggio forte e particolarmente espressivo («Vorrei che morissi d’arte/frantumarti il cranio di poesia […] Vorrei spararti dritto al cuore/con proiettili più duri d’una canzone») fa passare il concetto di un’arte insieme strumento di offesa e fine della vita. “Vorrei che morissi d’arte” è un augurio e una minaccia. Il brano è la chiave di lettura del disco, in stretta relazione la conclusiva “Lo scacchista”.
2) “Figlio di Nessuno”: primo personaggio del disco è questo “Figlio di nessuno”, che vaga per la città suonando la tromba senza chiedere nulla in cambio; è un folle, lo scemo del paese, ma è anche la bellezza di un’arte gratuita per strada, di una voglia di combattere e resistere, di essere “altro” rispetto ad un mondo “normale” dove «la gente non si ama».  È un brano dove i suoni degli strumenti si miscelano a quelli della strada, dei bar, con una suggestione jazz centrale.
3) “Saltare”: insieme a “Chissà se tornerà?” rappresenta la componente amorosa del disco. È la storia semplice di due ragazzi e di un sentimento rivoluzionario, totalizzante, che cancella storie passate e proietta al futuro. Si tratta di un brano acustico con una marcata sperimentazione sonora, dei suoni della stazione ferroviaria e dei treni («Digli che i miei occhi han già raggiunto il largo/non ci crederanno mai che stiamo solo parlando/digli quanta strada abbiamo fatto insieme/non capiranno ma ci trovavamo bene/come noi che stiamo a guardare/un’altra storia passare»).
4) “Money”: è il pezzo centrale del disco, come centrale è nella nostra epoca l’economia. Si racconta di un potente, di un uomo col «destino del mondo sul mignolo», in una stanza con una prostituta e «neve», «mentre fuori infuria la tempesta»: una tempesta metaforica, mossa dalla gente. La canzone è reggae, apparentemente spensierata, in contrasto con il tema trattato; centrale è la citazione del brano “Money” dei Pink Floyd.
5) “Chissà se tornerà?”: l’altra sfaccettatura dell’amore nel disco è la storia di un vecchio seduto su una panchina che aspetta qualcuno. Mentre aspetta gli vive intorno una città, passano auto, voci: non arriverà nessuno («E a pensarci bene da quando è morta né è passato di tempo/Chissà se tornerà?»), ma il vecchio continuerà ad aspettare. È una canzone per chitarra classica, fisarmonica e basso fretless mescolati a suoni di vita vera, di strada.
6) “Il polacco”: primo singolo del disco, è la storia di un personaggio senza terra e senza meta, un camminatore, un viaggiatore; alla sua vita fatta di «asfalto amaro d’amare» è ispirata una canzone geografica, mix di stili diversi (dagli ottoni esteuropei allo stacco latin, dalla chitarra elettrica al cajon) e con sperimentazioni su voci e suoni (tentativo di espressione della sincronicità di una vita, nel ricordo e nel presente).
7) “Lo scacchista”: il pezzo di conclusione dell’album è dedicato a chi vive la propria vita calcolando ogni mossa, ogni gesto; la canzone chiude il disco ricollegandosi al primo brano, chiarendo chi è il destinatario dell’augurio-minaccia. È un brano aperto e narrativo, con vari cambi strumentali; è un brano che offre una prospettiva diversa da quella di chi vive freddamente le amicizie, basa tutto sulla scalata sociale e si ciba di cattiverie giornaliere. 
 
CREDITS “VORREI CHE MORISSI D’ARTE”
di MICO ARGIRÒ
Al disco hanno partecipato:
Emilio Di Mauro: piano e tastiere
Frank Cara: chitarra elettrica
Gaetano Pomposelli: chitarra classica
Giampietro Marra: percussioni
Antonio Brunetti: basso
Gianni Ciongoli: chitarra elettrica
Pierfrancesco Vairo: batteria
Giuseppe Iaccarino: basso
Giovanni Chiariello: tromba
Yuri Di Lucia: sax
Andrea Palladino: corno
Antonio Russo Uke: ukulele
Fabiana Pulisci: voce
Registrato, missato e masterizzato da Ivan Malzone
Testi e musiche: Mico Argirò
Arrangiamenti: Mico Argirò e Emilio Di Mauro
Copertina e progetto grafico dell’album a cura di Giovanni Carbone per “Contatto”
Il disco fisico è un’opera inedita e limitata della pittrice Stefania Patella
 
BIOGRAFIA MICO ARGIRÒ
Mico Argirò è un cantautore originario di Agropoli (SA), nel Cilento.
Dopo gli esordi nella musica popolare del Sud Italia si dedica completamente alla musica d’autore e alla ricerca di un sound personale.
I primi suoi lavori in studio “Tra le Rose e il Cielo” (2009) e “Canzoni” (2010): l’attenzione è puntata su figure semplici, umili, sulla componente dell’assoluto, di Dio, il mistero della vita e della morte, la diversità, la poesia, la pittura, la protesta.
Ai dischi seguono numerosi live in piazze, teatri e luoghi di cultura. Nel 2011 esce il singolo+videoclip “Felicita. Una canzone crepuscolare”, a cui seguono passaggi sia radio che televisivi con interviste in Italia e all’estero (Cuba, Francia…).
A giugno 2013 esce il singolo+videoclip (realizzato in stop motion) “Risveglio”, canzone che parla di guerra e ricostruzione.
Tra il 2013 e il 2014 cura le musiche inedite e gli arrangiamenti del progetto “Domenico Modugno – L’avventura” [con concerti teatrali in tutta Italia, tra cui una settimana in cartellone a Roma al Teatro Manhattan (a cui segue il plauso della famiglia Modugno e di Bruno Pantano, assistente storico di Modugno) e replica a Sidney].
Nel 2014 compone le musiche per lo spettacolo teatrale “Inferi” e nel 2015 per “Colpevoli liberi umani” (entrambi diretti da Giampietro Marra e messi in scena dalla Compagnia Liber).
Nel 2015 compone le musiche per la rievocazione storica “…mmiezz e’fiuri e nfunn o’mare…” (di Nico Caruccio) e per lo spettacolo teatrale “Tutte li femmene de Pulecenella” (di Lucia Stefanelli Cervelli).
 
LINK UTILI
 
 
Intervista
 
Davide
Buongiorno Mico. Perché il titolo “Vorrei che morissi d’arte”? Cioè, perché l’arte dovrebbe avere un ruolo maggiore se non preminente nella vita e nella morte degli uomini?
 
Mico
Morire d’arte significa anche averci vissuto, è un buon augurio, ma mi piace anche l’idea di un’arte che può far morire, uno strumento d’offesa, qualcosa di fisico, reale. Credo in un’arte che possa interpretare il mondo (e raccontarlo) e che possa fare qualcosa per cambiarlo.
 
Davide
A proposito di questo tuo nuovo lavoro hai parlato di frutto di anni, anni in cui sei cambiato, cresciuto, maturato. In cosa differisce oggi Mico Argirò e in cosa no dal Mico Argirò degli esordi? Come questo lavoro ne racchiude esperienze e consapevolezze? Qual è insomma il punto del tuo percorso?
 
Mico
Sono cambiato molto sia musicalmente che concettualmente, sono cambiati molti dettagli tecnici e ho una consapevolezza maggiore di quello che faccio; quello che non è cambiato è la voglia di fare e di fare arte, di scrivere canzoni e cantarle, di leggere la contemporaneità e descriverla, di raccontare storie.
In questo disco confluiscono i pensieri degli ultimi anni, è una mia visione, ma è anche un primo passo verso direzioni nuove: ci sono varie sperimentazioni sia sonore che testuali e c’è tutta la voglia di andare oltre.
 
Davide
Non come, ma quando nasce una tua canzone, da quale tuo bisogno in quel dato momento? Come vi rimetti poi mano?
 
Mico
Mi piace scrivere canzoni, ne sento spesso il bisogno fisico, una sensazione tra lo stomaco e le dita; non sono un cantautore “a comando”, che decide di scrivere (e magari di scrivere il pezzo “giusto”, adatto a qualcuno o qualcosa, magari divertente o sentimentale, rock o pop)…scrivo quando quella sensazione si fa così forte da non essere trascurabile, sarà l’ispirazione o il collegamento mentale di elementi distanti, non lo so bene nemmeno io.
Poi, scritto il pezzo, passano le fasi “Capolavoro – Schifo assoluto – Non male cambiando qualcosa” e, con qualche aggiustatina, si passa alla fase di arrangiamento.
È una gestazione medio-lunga, ma mi permette di dire quello che voglio come voglio, senza condizionamenti esterni o interni.
 
Davide
Conoscevo una tua precedente canzone, ispirata a Gozzano e alla signorina Felicita. Ci sono dei poeti che hai amato leggere e che ti hanno lasciato una traccia?
 
Mico
Amo la letteratura e sono un divoratore di libri; sono spesso influenzato da autori molto diversi tra loro e da me: adoro i crepuscolari, la beat generation, Leopardi, i Futuristi, Dante, la Neoavanguardia, Pasolini, Dostoevsky, Pirandello, Boccaccio, ma la letteratura è bella tutta, potrei continuare per ore.
Questa varietà di passioni letterarie influisce attivamente sul mio modo di scrivere e di vedere proprio la vita, a volte anche di viverla.
 
Davide
L’album è introdotto e attraversato tutto da suoni d’ambiente: una caffettiera, cucchiaini e tazzine in un bar, una stazione ferroviaria, una strada e il frusciare di auto che passano, voci della strada, un orologio… Una scelta per accrescere una dimensione o sensazione di quotidianità?
 
Mico
Oggi siamo sempre immersi nei suoni della vita, della città, che sono suoni contemporanei, macchine, passanti, altoparlanti: mi piace l’idea di sperimentare la congiunzione tra questi suoni immusicali e gli strumenti; in più calano l’ascoltatore e i personaggi delle canzoni in una realtà più dettagliata, più suggestiva.
È quotidianità, assolutamente sì, ma anche un vera e propria scelta narrativa e una personale sperimentazione sonora.
 
Davide
Money cita nel testo, in un inciso musicale e nei suoni del registratore di cassa in loop la “Money” dei Pink Floyd. Roger Waters disse in merito a Money che “tutti i grandi testi hanno parole banali, e questo è un testo molto banale”. Cos’è per te un testo e qual è il tuo approccio alla scrittura, alla scelta delle parole?
 
Mico
Non lo so se ha ragione Waters, ma di sicuro le parole sono semplici anche nei miei testi, non ricerco lo stupore della frase arzigogolata o della parola estremamente ricercata: la semplicità permette di far trasparire meglio i sentimenti, la sincerità che li muove e ha la capacità granitica di rappresentare le cose così come sono. Non sono il tipo che insegue costruzioni lessicali per inventare ciò che non ha, per narrare ciò che non sa.
Tengo molto al testo e lo curo nei dettagli, ma senza allontanarmi mai dalla semplicità: le cose più belle sono semplici.
 
Davide
“Il polacco” mi ha rimandato musicalmente e anche per il testo alle canzoni di Federico Sirianni. Ci sono dei cantautori che apprezzi in particolar modo?
 
Mico
Grazie per l’accostamento con Sirianni! Io sono cresciuto con i cantautori, con le loro canzoni fin da piccolo, Fabrizio De Andrè per me è come un padre, un padre da amare e da uccidere, da cui saper prendere le distanze e costruirsi una vita propria.
Amo De Gregori, Capossela, Vecchioni ma mi piace ammogliarli con Sting, con Goran Bregovic, con Yann Tiersen, coi Pink Floyd, con Bach, con gli Squallor, con la musica del Sud America e la nostra musica popolare.
Mi piace ampliare gli orizzonti miei e della mia musica, non rimanere mai fedele ad un genere. 
 
Davide
Cos’è il contrario di decadenza da conseguire dal tuo punto di vista e di quello delle tue canzoni?  Cosa lo stesso concetto di decadenza, se pensiamo che spesso è figlio di epoche e di una umanità in perenne mutazione, di una necessità fondamentale per la stessa vita che non può conservarsi, ma deve passare dal decadimento per una sua rigenerazione? Inoltre bisogna (ahinoi) pure considerare che gli artisti, gli scrittori e i musicisti della decadenza in genere hanno anzi raggiunto vette altissime – se non le più alte per quanto inquietanti – nella storia dell’umanità?
 
Mico
Non credo nella decadenza, che presupporrebbe un’età dell’oro, o meglio credo in un susseguirsi di decadenze; non sono un nostalgico, non credo che se fossi nato in un’altra epoca sarei stato meglio o avrei amato di più l’inamabile. È un errore che fanno in molti: “Ah, se fossi nato negli anni 60!”…e così via.
L’uomo vive epoche con rispettive parabole, ma non si può restare attaccati ad un passato già andato via: esiste solo il presente ed è in questo presente che possiamo vivere e adoperarci per qualche fine, per qualche ideale.
In queste decadenze gli artisti producono e raccontano il presente, questo permette pagine meravigliose di letteratura e di arte.
 
Davide
Cosa seguirà?
 
Mico
Seguiranno date dal vivo in tutt’Italia con l’obiettivo, soprattutto, di un contatto diretto tra le persone e queste mie nuove canzoni. Ho voglia di confronto, di musica e istanti di bellezza.
 
Davide
Grazie e à suivre…

Commenta

Nel caso ti siano sfuggiti