Libertà tanto che possibile, autorità tanto che necessaria.
Luigi Taparelli D’Azeglio
“Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge”.
Questo terzo comma dell’
articolo 10 della Costituzione italiana, norma prevista fra i “Principi fondamentali” (dettati nei primi 12 articoli, anteposti ad ogni altra disciplina sostanziale o istituzionale), costituisce la base iniziale dell’illustrazione di questo istituto giuridico dai limiti estremamente precisi. Letto unitamente al comma successivo relativo all’
estradizione[2], esso costituisce la
proiezione sul piano internazionale dei valori affermati dalla Costituzione sul piano interno: dopo aver delineato un ordinamento istituzionale fondato sulla
libertà e la giustizia, i Costituenti vollero affermare l’universalità di tale modello, riconoscendo a chiunque non avesse l’opportunità di vivere in uno Stato retto dagli stessi principi, il diritto di rifugiarsi in Italia e di non essere estradato qualora avesse commesso reati politici contro un
regime illiberale[3]. Infatti, il diritto d’asilo si configura storicamente come un’antica nozione giuridica, in base alla quale una persona
perseguitata nel suo paese d’origine per ragioni di razza, religione, nazionalità, di opinioni politiche, poteva essere protetta da un’altra “autorità sovrana” (uno Stato straniero), o anche, fin dall’epoca medioevale, da un’istituzione religiosa con sede in una chiesa o santuario
[4]. In epoca moderna, a livello internazionale, il diritto d’asilo si è affermato come un
diritto fondamentale dell’individuo, previsto in alcuni strumenti giuridici (non vincolanti) come le Dichiarazioni di principio dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite (
art.14 – Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo 1948
[5], Dichiarazione in materia di Diritto d’Asilo 14/12/1967), e in determinati accordi conclusi a livello regionale fra Stati sudamericani
[6]. Si distingue nella prassi l’
asilo territoriale, che viene attribuito nel territorio
[7] dello stato concedente, e l’
asilo extraterritoriale (o diplomatico), che è, invece, assicurato all’estero nelle sedi diplomatiche (o consolari) o negli aeromobili e navi di proprietà di uno Stato straniero
[8]. Il quadro normativo sul
diritto di asilo (che si differenzia concettualmente da quello relativo alla semplice “immigrazione”), è divenuto sempre più
complesso e articolato: attualmente si compone di atti di legislazione internazionale, di normativa europea e di quella prodotta dai singoli Stati.
Secondo il diritto
internazionale, presupposto per l’applicazione del diritto di asilo, è la nozione di
rifugiato internazionale, cioè di colui che, direttamente (mediante provvedimento di espulsione o impedimento al rientro in patria) o indirettamente (per l’effettivo, o ragionevolmente temuto, impedimento dell’esercizio di uno o più diritti o libertà fondamentali),
sia stato costretto dal Governo del proprio Paese ad abbandonare la propria terra e a “rifugiarsi” in un altro Paese, chiedendovi asilo. Dal punto di vista cronologico proprio il concetto di “
rifugiato” è stato il primo ad entrare nell’ordinamento italiano
con l’adesione alla
Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, dato che a tutt’oggi
non esiste ancora nel nostro Paese una legge organica sul diritto d’asilo[9]. Ciononostante diverse sentenze della
Corte di Cassazione hanno stabilito che il diritto di asilo sancito dal citato art.3, comma III, Cost. si configura come un
diritto soggettivo e non come mero
interesse legittimo (interesse dell’individuo alla corretta applicazione della legge da parte della Pubblica Amministrazione), da riconoscere al cittadino straniero, anche in mancanza di leggi ordinarie che attuino il principio costituzionale
[10].
Dunque il rifugiato viene definito dall’art.1 della citata Convenzione di Ginevra, come “colui che, temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trovi fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non possa o, a causa di tale timore, non voglia avvalersi della protezione di detto Stato”. Quattro, quindi, i requisiti richiesti per il riconoscimento dello status di rifugiato:
1. la fuga dal proprio Paese. Il rifugiato – per essere riconosciuto tale – deve trovarsi fuori del suo Paese di origine;
2. il fondato timore di persecuzione. Il timore di persecuzione deve essere reale, ma soprattutto deve trattarsi di persecuzione rivolta in modo diretto alla persona che richiede asilo. Deve trattarsi di persecuzione a titolo individuale e non generalizzata;
3.
motivi specifici di persecuzione. La persecuzione, temuta o subita, deve essere operata in ragione di uno dei motivi indicati dallo stesso articolo 1
[11];
4. l’impossibilità di avvalersi della protezione del proprio paese di origine. Il richiedente asilo deve trovarsi nella condizione di non potere, né volere rivolgersi alle autorità del suo paese. Questo perché il cosiddetto agente di persecuzione (chi perseguita), può essere direttamente il governo del paese oppure altro soggetto da questi tollerato o non contrastato.
Tra i principali obiettivi della Convenzione c’è anche quello di definire degli strumenti atti a garantire l’effettiva tutela dei diritti dei rifugiati nei territori dei Paesi di asilo. Nello specifico la Convenzione:
· vieta di sanzionare l’ingresso ed il soggiorno irregolare dei rifugiati (art. 31);
· afferma il principio di non refoulement (non respingimento), secondo il quale nessuno Stato può espellere un rifugiato (se non per motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico), verso un territorio dove la sua vita e la sua libertà potrebbero essere minacciate (art. 32-33).
Inoltre, i Rifugiati hanno diritto alla protezione legale, all’assistenza sociale e sanitaria, il diritto al lavoro e all’istruzione, in generale ai diritti civili, economici e sociali; d’altra parte hanno il dovere di rispettare le leggi del Paese d’asilo.
A livello
comunitario si è intrapreso da diversi anni un processo di armonizzazione delle politiche in materia di immigrazione e di asilo, dato che i 28 Paesi membri dell’Unione Europea hanno, ciascuno, legislazioni diverse e scontano situazioni disomogenee. La normativa più rilevante è costituita dalla, spesso invocata come fonte di problemi,
Convenzione di Dublino[12] (1990) che ha stabilito quale fosse lo
Stato CE competente per l’esame della richiesta d’Asilo, con l’obiettivo di evitare le domande di asilo multiple, cioè presentate in più Stati membri. Nel 2003 la Convenzione è stata trasfusa in un
Regolamento CE (343/2003)[13], il quale ribadisce che lo Stato “competente” (di primo accoglimento dello straniero) ha l’obbligo:
§ di accettare il richiedente asilo che abbia presentato domanda in altro Stato membro o di riammetterlo se si trova irregolarmente in altro Stato membro (questo aspetto per cui il richiedente asilo deve essere comunque “gestito” dal Paese europeo di prima accoglienza, è quello che viene comunemente identificato come il fattore che impedisce la “circolazione” intracomunitaria dei richiedenti asilo, di conseguenza l’allentamento della pressione migratoria su determinati paesi particolarmente esposti);
§ di condurre a termine l’esame della domanda.
Gli Stati membri hanno, inoltre, l’obbligo:
§ di procedere a scambi reciproci riguardanti la legislazione nazionale e i dati statistici relativi al numero dei richiedenti asilo;
§ di
comunicare a qualsiasi altro Stato membro che ne faccia domanda le informazioni di carattere personale necessarie per determinare lo Stato competente per l’esame della domanda e l’esecuzione degli obblighi derivanti dalla Convenzione
[14].
Nonostante la sua cruciale importanza, il tema del diritto di asilo in Italia è stato trattato, e anche in maniera residuale, sempre all’interno delle
leggi nazionali dedicate all’immigrazione, solo a partire dal 1990, con la c. d.
legge Martelli (L. 39/1990[15]), in seguito modificata dalla L.189/2002 (c.d. “legge Bossi-Fini”
[16]). La legge Martelli è nata (ed è rimasta), come un intervento di carattere transitorio, adottato in attesa di una disciplina organica dell’intera materia, con l’obiettivo di risolvere il problema dell’
abuso delle richieste di asilo, presentate per aggirare le norme sull’immigrazione, al solo scopo, in particolare, di sfuggire all’esecuzione di un provvedimento di espulsione, da parte di individui assolutamente privi dei requisiti per accedere alla protezione. In Italia, lo straniero che fugge da persecuzioni, torture o dalla guerra, anche se ha varcato le frontiere in modo irregolare e senza documenti, può, sempre e in ogni caso, richiedere la
Protezione Internazionale, intesa come categoria unica, nella quale rientrano i casi di Asilo Politico e
Protezione Sussidiaria[17]. Il soggetto richiedente deve presentare una istanza motivata alla
polizia di frontiera o alla
Questura del luogo di arrivo, quindi attraverso il
Dipartimento delle libertà civili e immigrazione, del Ministero dell’Interno, l’autorità responsabile, la domanda arriva all’esame di una
Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale (composte da un funzionario della Prefettura, uno della Questura, un rappresentante dell’ente locale e un membro dell’Agenzia dell’Onu per i rifugiati – UNHCR)
[18]. L’innovazione principale, introdotta dalla Legge “Bossi-Fini” del 2002, consiste nella distinzione tra una
procedura ordinaria[19], destinata alla generalità dei casi, e una
procedura semplificata da attivare per l’esame delle domande di asilo presentate dagli stranieri fermati in condizioni
irregolari, per esempio per aver eluso i controlli di frontiera, e da coloro che sono già destinatari di un provvedimento di espulsione o di respingimento. Si tratta delle stesse categorie per i quali è disposto il
trattenimento obbligatorio nei centri di identificazione (per gli irregolari) o nei
centri temporanei di permanenza (per coloro che devono essere espulsi o respinti). Le Commissioni decidono in base a
interviste individuali, in presenza di interpreti, onde verificare se alla persona deve essere riconosciuta una forma di protezione. Nel corso dell’ultimo anno il numero delle commissioni è stato aumentato fino al numero di 40, proprio per velocizzare l’analisi delle domande di protezione internazionale
[20]. I tempi di attesa per conoscere il risultato della domanda dipendono dal carico di lavoro e tempi di analisi di ogni Commissione: si tratta, in ogni caso, di tempistiche assai lunghe. Nonostante l’aumento del numero delle Commissioni, è possibile stimare un’attesa di almeno un anno, rispetto ad una procedura che, secondo la legge, dovrebbe durare 30 giorni.
L’Italia è uno dei paesi europei che hanno il tasso di protezione internazionale più alto. Lo scorso anno il nostro Paese ha riconosciuto una forma di protezione al 60 % dei richiedenti asilo intervistati, a confronto del 45 % della media europea. Dal punto di vista dell’accoglienza, e ancor più dell’integrazione, purtroppo però, le condizioni sono molto difficili e disomogenee sul territorio nazionale. In Italia ancora non esiste un programma nazionale che permetta a tutti i rifugiati di seguire dei percorsi individuali finalizzati all’inserimento, ma solo delle iniziative del privato sociale. Tuttavia il punto giuridico (meglio forse “di politica del diritto”) insito nel fenomeno dell’affluenza di un gran numero di persone verso l’Europa, fuori da ogni circuito legale di trasporto e attraversamento delle frontiere, consiste nello stabilire, con procedure quanto più “semplici” e “rapide”, lo status di questi esseri umani:
· il Migrante è colui che decide volontariamente di lasciare il proprio paese per stabilirsi, temporaneamente o permanentemente, in un altro Stato, per motivi di benessere economico proprio e/o della propria famiglia. Costui non ha diritto a rimanere sul territorio nazionale/europeo se il suo ingresso non è avvenuto con modalità legali e deve poter essere allontanato verso il territorio di provenienza.
· Il Richiedente asilo è colui che chiede la protezione di un Paese diverso da quello di origine, in cui subisce persecuzioni, ed è in attesa di tale riconoscimento.
· Il Rifugiato è colui al quale è stato riconosciuto l’asilo, cioè la protezione dallo Stato al quale ha inoltrato richiesta.
Non sempre risulta chiaro che i richiedenti asilo sono figure giuridicamente diverse dagli immigrati. Ciò che li spinge a spostarsi non è una libera scelta, ma, piuttosto, la mancanza di ogni scelta. Tuttavia, il sistema burocratico-amministrativo delineato dalle norme considerate fin qui, sembra non potere fare altro che considerare ogni immigrato un potenziale rifugiato (di qui il divieto di respingimento tout court), a cui bisogna garantire una verifica effettiva di tale condizione.
Di fronte ad un fenomeno migratorio della consistenza numerica cui assistiamo, appare verosimile che si arrivi a un collasso delle strutture sociali e amministrative in Europa? Come spesso accade l’interrogativo finale non è (solo) giuridico…
Tutta l’infelicità del mondo deriva da una sola cosa:dal non volersene stare a casa.
Blaise Pascal
Non si poteva tacere, dopo così dure prove,(quelle del periodo della dittatura fascista e della guerra mondiale) sul diritto di asilo che le costituzioni civili offrono ai perseguitati politici di altri paesi.” Dalla relazione del Presidente della Commissione per la Costituzione (Commissione dei 75) Meuccio Ruini che accompagna il Progetto di Costituzione della Repubblica italiana, Roma 1947.
La legge prende il nome dall’allora Vicepresidente del Consiglio dei Ministri Claudio Martelli.