KULT Underground

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Intervista con Claudio Ricciardi e Orlando Lostumbo

21 min read
ONE SOUND DUO
The way becoming
 
2014 – Tide Records

Spacedrum e contrabbasso,
con suoni elettronici e field recordings
World, Improvvisazione

 

Orlando Lostumbo: electric upright bass, electric bass, sytnhesizers, samples, electronic drum, computer effects, audio editing/treatments.
Claudio Ricciardi: spacedrum, yidaki, voice, samples, digital piano, computer effects, audio editing/treatments. 
 
Claudio Ricciardi, nato a Roma nel 1945 e laureato in Scienze Biologiche, ha lavorato presso un Istituto di Ricerca Scientifica. Ha iniziato ad interessarsi di musica durante il liceo studiando chitarra jazz e poi durante l’università studiando e suonando per alcuni anni il contrabbasso. Dopo l’incontro con le musiche extraeuropee, nel 1975, è entrato a far parte del gruppo vocale di canto armonico Prima Materia, fondato negli Stati Uniti da Roberto Laneri. Ha partecipato con questo gruppo a numerosi concerti in Italia e in Europa fino al 1978. Successivamente i suoi interessi si sono indirizzati verso lo studio e la costruzione di strumenti musicali, in particolare gli archi ed il contrabbasso (Maestro Liutaio Silvio De Lellis). L’approfondimento della musica sarda nel 1980 e successivamente l’incontro con gli aborigeni australiani in una performance all’Università di Roma durante gli studi di biologia ed antropologia, portano alla riscoperta del didgeridoo già conosciuto nei primi anni ’70 attraverso l’ascolto di dischi di musica etnica.  Nel 1997 ha iniziato a studiare e a suonare il didgeridoo, dedicandosi alla costruzione dello strumento e sperimentando gli effetti del suono su varie essenze di legno ed altri materiali. E’ stato protagonista del progetto musicale “Timelines” insieme a Giuseppe Verticchio (didgeridoo ed elettronica), Cosimo Marino Curianò (saz, flicorno, santur, chitarra, elettronica), Simone Fiaccavento (chitarra ed elaborazioni elettroniche), Davide Riccio (voce recitante). Dal 2013, oltre ad aver studiato l’elaborazione al computer di musiche e suoni con lo Steinberg WaveLab, ha iniziato lo studio del Violoncello.  Attualmente suona il disco armonico “Spacedrum” in un duo con Orlando Lostumbo (Elettronica, Tastiere, Contrabbasso), nel progetto musicale “ONE SOUND DUO” con il quale a settembre del 2014 è uscito il CD “The Way Becoming” presso la casa editrice “Tide”.
Discografia:
 
 
Orlando Lostumbo è un bassista e chitarrista romano attivo dai primi anni 80, con varie esperienze che spaziano dal rock, al jazz, alla musica etnica, alla musica classica. Verso la fine degli anni 90, in qualità di autore e chitarrista fa parte del gruppo etnico “Handance”. Nel 2003 entra a far parte come bassista el gruppo jazz “Lost In Jazz”, poi nel 2008 fino al 2010 è stato contrabbassista dell’orchestra classica “L’Armonica temperanza”. Nel 2009 realizza il suo primo CD dal titolo “Il viaggio di Ulisse” con lo pseudonimo “Sine Tempore”. Nel 2010 come bassista, contrabbassista e tastierista sviluppa insieme a Cosimo Marino Curianò e Paolo Faenza il progetto “Cosmogram”, che unisce sonorità elettroniche e progressive a proiezioni video. Nel 2013 entra a far parte dell’Orchestra “Diletto Barocco” di cui è attualmente contrabbassista. Nel 2014 realizza il progetto musicale “One Sound Duo” con Claudio Ricciardi (Spacedrum e didgeridoo, suonando contrabbasso, basso elettrico e sintetizzatori.
 
 
Precedenti interviste:
 
 
Intervista
 
Davide
Ciao Claudio e ben tornato con questo lavoro che vorrei definire (anche in aiuto a chi legge) Space Music, sebbene questa classificazione non presenti tratti distintivi sempre univoci. E però ha in me evocato sensazioni di mistero e di ignoto, tanto nell’universo inteso come cosmo quanto nell’universo (diciamo) interiore.  Com’è nata questa collaborazione con Orlando Lostumbo e quindi come è nato questo stesso lavoro?
 
Claudio
Io non amo molto le definizioni, anche perché io stesso non riesco a definire in alcun modo la mia musica. Quando qualcuno mi chiede: “che musica fai?”, io rispondo sempre: “improvviso”, e dipende da quale strumento utilizzo e con chi suono. Se suono da solo è una cosa, se suono con altri tutto cambia… Leggevo di recente un bel libro (E non chiamatelo jazz) di Giancarlo Schiaffini, compositore trombonista, che conoscevo quando avevo 20 anni, che così definisce l’improvvisazione: “una composizione estemporanea non pianificata e in gran parte imprevedibile”. Ma ovviamente anche questo non definisce ancora nulla perché non è chiaro se stiamo parlando di improvvisazione nel jazz, nella musica popolare, nella musica contemporanea aleatoria, nel rock, nella musica etnica o in quella rinascimentale. La questione dell’improvvisazione è complicata ma ciò che si può meglio definire è l’ambito in cui avviene e si sviluppa. Stili differenti presentano in qualche modo condizionamenti diversi e con ognuno affronti particolari modalità stilistiche. Se si suona con degli africani e si improvvisano ritmi percussivi con tipici strumenti tradizionali, quello che viene fuori è molto diverso se suoni una tastiera in un gruppo jazz. Io non scopro ora l’improvvisazione, ora scopro strumenti ed in particolare li suono anche in modi non convenzionali, registrandoli e poi alterandoli con effetti e computer. Tu parli di “space music”, come fosse la colonna sonora di un film di fantascienza, ma in realtà è stata la scoperta degli “Spacedrum” che mi ha fatto comprendere meglio le modalità improvvisative. Per fare un po’ di storia del percorso che si è sviluppato, è successo che un amico musicista (elettronica, ambient o giù di lì) Giuseppe Verticchio mi ha introdotto all’uso del computer con il programma “Steinberg Wavelab” e questa scoperta ha risvegliato in me un’enorme possibilità creativa. Ho iniziato subito a fare registrazioni sul campo seguendo mie memorie e situazioni che erano rimaste in sospeso dentro di me, successivamente ho iniziato anche a registrare vari strumenti come la chitarra, il piano, il violoncello, il guqin, la sanza e la voce. Assemblare insieme questi suoni, alterarne la qualità, inserire effetti, raddoppiare file, elaborare tracce multiple, all’ascolto finale diventava inquietante, fantastico e divertente oltre che molto piacevole. Ho realizzato in questo modo 3 CD che mai nessuno pubblicherà (“Sound Stories”, “Archipelago” e “88 keys in a curved Piano”), ma ai quali sono molto legato per ciò che sono riuscito ad evocare dentro di me e ad esprimere, come fossero fotogrammi sonori della mia vita. Poi ad un concerto ho rincontrato l’amico Orlando, con cui avevamo già fatto alcune cose di musica insieme,  a cui ho proposto uno dei tre miei Cd-r. Il suo entusiasmo per la mia musica ci ha fatto rincontrare per scoprire una medesima visione musicale e improvvisativa, o almeno sulla stessa linea d’onda. Lui è anche un musicista classico ed ha una visione molto ampia della musica che spazia in molti generi musicali per i quali abbiamo la stessa passione. Con questo apprezzamento reciproco abbiamo cominciato a provare insieme e a registrare e riascoltare….da lì dopo vari mesi (esattamente 9) di fatica e ricerca siamo riusciti a determinare il nostro duo come ONE SOUND DUO e a produrre il CD “The way becoming”.
 
Davide
Perché “The way becoming” ovvero “Il modo di diventare”? Che tipo di esplorazione in particolare vi ha avete condotto e verso cosa (esplorazione in un senso anche simil-geografico, per ampliare il vostro/nostro mondo conosciuto – sonoro e/o non solo)?
 
Claudio
In realtà con “The way becoming”, intendevamo proprio le modalità improvvisative, cioè letteralmente una strada o più strade da percorrere che ancora non c’erano. Un divenire che si determina, almeno musicalmente solo quando lo percorri e lo suoni. Ecco io almeno intendevo qualcosa che ancora non c’era, anche se poi la memoria della mia storia veniva sempre fuori, ma non nel senso di una regressione, ma nel senso di una ricreazione di qualcosa di nuovo che si ricollegava ad un già vissuto e sentito ma in modo del tutto nuovo. Una volta tracciato, il percorso lo si può rifare e ripercorrere ma non è mai lo stesso, la ricreazione è sempre diversa non scritta e legata a stati d’animo personali che dipendono anche dalla presenza degli altri e dell’altro che suona con te, in una sorta di ascolto reciproco. È quindi una duplice esplorazione, una mia personale interna ed una in rapporto agli altri che suonano o soltanto ascoltano.
 
Davide
Per certi aspetti è un lavoro che mi ricorda Steve Roach. Perché questa particolare commistione di strumenti o vocalità (come l’overtone singing) acustici anche arcaici (come l’Yiraki o didgeridoo) e nondimeno elettronici/informatici?
 
Claudio
Certo c’è questa particolare commistione che in qualche modo mette insieme alcune delle mie esperienze precedenti con la musica elettronica con l’alterazione del suono al computer con effetti e rumori concreti. Poi il canto armonico di Prima Materia che negli anni passati non mi soddisfaceva fino in fondo perché troppo legato e fine a se stesso. Anche allora nel 1975-76 avrei preferito elaborarlo ed utilizzarlo assieme a strumenti o come drone di fondo con altri suoni possibili. Infatti si può sentire in “The voice in the room” questo utilizzo differente ed alterato, anche se è ancora in embrione e che mi piacerebbe sviluppare ancora. Poi di nuovo il suono del didgeridoo che in fondo è molto simile a certi elementi di canto tibetano come il kargiraa. Ho sempre apprezzato queste due sonorità, ed in modo particolare proprio perché si prestano ad essere e sembrare qualcosa d’altro sia dalla voce, sia dallo strumento, che fuori dal suo ambiente tradizionale diventa qualcosa di inaudito, qualcosa di altro dalla sua origine e dal suo uso tradizionale. Ecco queste alterazioni sono un po’ la mia visione della musica elettronica, che non sarebbe solamente l’uso elaborato di effetti di onde sonore prodotte con strumenti elettronici, ma l’uso di suoni naturali poi trasformati ed alterati al computer. Se mi chiedi il perché, in realtà non c’è un perché per una cosa che mi piace di fare e di sentire. Mi piacciono le vibrazioni molto basse, sia con la voce che con il contrabbasso e il didgeridoo, mi sono sempre sembrati suoni di cui non potevo fare a meno. Risuonano dentro di me e toccano mie corde profonde e sensibili.
 
Davide
Tempo fa ho intervistato Alan Tower, maestro statunitense dello hang drum, strumento musicale frutto dell’esperienza e della ricerca di due artigiani di Berna, Felix Rohner e Sabina Schärer. Nel corso degli anni sono state apportate numerose modifiche rispetto ai loro primi modelli e sono nate altre imprese artigiane che producono strumenti simili allo hang, e dal momento che hang è un marchio registrato, questi strumenti vengono ora chiamati con il nome generico di handpan oppure, più specificatamente, lo Spacedrum, prodotto in Francia, lo SpB, prodotto in Russia e il Disco Armonico prodotto in Italia. Nello specifico tu suoni uno spacedrum. Che differenza c’è e perché ti sei ultimamente dedicato in particolare a questo strumento?
 
Claudio
Si, esatto, Felix Rohner e Sabina Scharer, li considero due geni. Hanno prodotto uno strumento stupendo partendo da altri strumenti come gli steel drums delle Antille, l’udu drum sud americano e il Ghatam di terracotta del sud dell’India. Hanno avuto la strabiliante idea di inventare partendo da questi strumenti, uno del tutto nuovo. Ma la cosa ancora più bella ed interessante che hanno prodotto è stato uno strumento “totalmente democratico” sul piano musicale, nel senso che a chiunque è concesso suonarlo nessuno escluso. Non è necessario essere percussionisti e non è necessario conoscere la musica, questo è la cosa più bella; chiunque può sperimentare e tirare fuori senza particolari difficoltà, la propria musica interna, sperimentare le proprie capacità musicali ed in fondo fare e produrre la propria musica ed inventarla sul momento, attingendo alla propria sensibilità e creatività. Ognuno può, come davanti ad un foglio bianco, fare tutti gli scarabocchi che vuole. Così davanti allo strumento con le proprie mani si possono disegnare melodie ritmiche, ovviamente condizionate dalle note delle scale presenti. Quasi nessuna difficoltà se non la nostra capacità di esprimere e tirare fuori di sé ciò che si nasconde dentro. Io ho avuto a riguardo una strana esperienza, dopo tutte le fantasie che mi ero fatto nei tre mesi di attesa per averlo, a volte un’attesa quasi insopportabile, quando ho aperto il pacco, davanti a questo disco color rame di 60 centimetri sono stato preso da un insolito panico e per alcuni giorni non sono riuscito a suonarlo. È un’esperienza solitaria che tutti dovrebbero fare per capire le proprie possibilità musicali, che tutti invariabilmente hanno. Alcuni pensano di non averle, altri se le negano e le distruggono e non riescono più neppure ad apprezzare la musica, altri riescono a salvarle e cominciano a suonare qualunque strumento gli capiti tra le mani. Ecco mi piacerebbe di comunicare che tutti possono e dovrebbero sperimentare la loro possibilità di fare musica, la propria musica. Con questo strumento è possibile, per questo mi piace e lo apprezzo moltissimo. Fosse per me darei il premio Nobel per la musica a questi due svizzeri geniali.
 Inoltre la particolarità dello strumento è che ha un riverbero naturale molto bello e pertanto le note percosse durano molto a lungo. C’è in questi strumenti una delimitata zona per ogni singola nota, ma non c’è un limite preciso tra loro, per cui suonando/percuotendo per far risuonare una nota, in realtà tutta la superficie dello strumento vibra e per risonanza vibrano anche le armoniche corrispondenti delle altre note che sono legate armonicamente tra loro. Esistono infatti varie scale a sei, otto, nove tredici note, tutte molto differenti tra loro ma che per ciascuna offrono particolari sonorità e possibilità. Insomma questi due geni della fantasia hanno costruito uno strumento altamente democratico che andrebbe fatto studiare in tutte le scuole a tutti i bambini, senza difficoltà, né studi noiosi. Poi sono stati imitati da molti e si sono prodotte tutte le forme che hai nominato, e quella che utilizzo io è quella francese, lo Spacedrum (nelle sonorità: deep sky e atlantico). Ma se dovessi dirti quali sono le differenze, non saprei, lo si dovrebbe chiedere ad un tecnico del suono, un fisico e un artigiano di metalli, per capire quali temperature usare per forgiare la struttura, quali leghe metalliche e come determinare le scale da usare. Ci sono poi le preferenze personali, i tempi di attesa per avere lo strumento che ti portano a scegliere uno o l’altro. Non è facile! Perché l’ho scelto? Un semplice fatto di piacere acustico, senti un suono e ti dici io devo avere questo strumento, era accaduto così anche con il didgeridoo, solo che questo non comporta l’uso difficile della respirazione circolare, è tutto molto più semplice ed immediato.
 
Davide
Veniamo alla copertina, un dipinto di Elio Luciano. La prima cosa a cui ho pensato è stata una piramide vista dall’alto, magari di quelle che sembrano apparire ricoperte di polvere spaziale sulla superficie di Marte o della Luna (o così qualcuno afferma tra un mistero ufo e una smentita). Comunque un richiamo a qualcosa di armonico o cosa?
 
Claudio
Si certo una piramide vista dall’alto! Ma è stato uno sfolgoramento anche questo. Niente di preordinato. Su facebook ho conosciuto questo pittore, sceneggiatore che mi aveva colpito per le cose che faceva e quando ho visto la sua collezione ho sentito che per la copertina di un CD avrei voluto alcuni suoi quadri/disegni a rappresentare quello che facevamo. Così ci siamo incontrati e le scelte fatte mi sono sembrate armoniche ed eccezionali. Anche Orlando era stato piacevolmente colpito e così le decisioni sono state veloci e semplici, senza ripensamenti.
 
Davide
Qual è stata la tecnica improvvisativa alla base di questo lavoro, che tipo di approccio hai/avete avuto all’improvvisazione e in seguito alla rielaborazione del materiale di “The way becoming”?
 
Claudio
Non so se è una tecnica improvvisativa, io penso sia molto comune e che sorge spontanea, si lascia fluire il tempo, ci sono silenzi, suoni e ancora silenzi e lentamente nasce una musica, una melodia semplice come una risposta istantanea ad una domanda, senza tempo per pensare, senza nessuno spartito, solo indicazioni di scale, sequenze di note, capovolgimenti, ritorni. Lo strumento diventa l’espressione di te, dei tuoi ascolti e dei molti suoni uditi, dove anche l’errore ha il suo posto perché ti costringe a fare un altro percorso, ti introduce in un’altra via con altre soluzioni necessarie. Ascolti l’altro vicino a te, lo segui e questo a sua volta ti costringe a seguirlo per altre strade ancora per poi ritornare al silenzio, alla ripetizione. Pause interne e silenzio esterno, non c’è nessuna meditazione e non è una musica meditativa, non saprei neppure dire cosa significa meditazione, specie dopo aver letto Krishnamurti; meditare mi pare solo una stupidaggine in più che ti lega a forme e prigioni interiori senza senso.
Le composizioni sono nate quasi tutte in questo modo, poi aggiungevamo, riascoltando al computer, soluzioni di colore, improvvisando di nuovo nel riascoltare, aggiungendo e raddoppiando tracce fatte da uno e dall’altro in una fusione di intenti con colori sonori inventati o cercati concretamente. Il mare, il vento, i rumori dell’acqua, le note lunghe e molto basse come bordoni interiori su cui poggiarsi.
 
Davide
C’è una traccia intitolata “Basho’s hermitage”. Ti riferivi a Bashō Matsuo, poeta viaggiatore e monaco  Zen? Che significato ha per te, in rapporto alla nostra cultura contemporanea e occidentale, la “visione del cuore delle cose” che porta tanto alla partecipazione attiva e consapevole al mondo quanto alla vacuità della realtà, del cosmo e del Sé delle dottrine Zen? Come lo traduci in termini di musica e di suono? Domanda ovviamente che vien meno se non ti riferivi a Bashō Matsuo… 🙂
 
Claudio
Si, questo è un brano pensato in primis da Orlando ed anche il titolo è stato scelto da lui, pertanto è lui più qualificato a rispondere.
 
Orlando
 Il brano si riferisce a Basho Matsuo ed in particolare all’eremitaggio dove visse per molti anni.  Il nome Basho significa banano. Fu proprio un banano ricevuto da un allievo che lo spinse a trasformare il suo nome.  Dopo anni di viaggi e pellegrinaggi Basho scelse come suo eremitaggio una piccola casa lungo la sponda del fiume Sumida e nel piccolo giardino che circondava la casa  il poeta piantò il banano. Da quel momento il luogo fu chiamato dai suoi discepoli l’eremitaggio del banano e il poeta prese il nome d’arte di Basho. Il brano Basho’s hermitage è un omaggio a questo grande poeta che mi ha sempre colpito per la estrema semplicità della sua vita. Attraverso i suoi diari di viaggio e i suoi haiku sembra volerci rivelare continuamente il segreto della vita. Basho amava viaggiare e viaggiando amava immergersi nella natura. Ai suoi discepoli diceva spesso:  “seguire la natura, tornare alla natura”. La sua vita e la sua arte sono attraversate continuamente da una concezione evolutiva che non tende a riempire, come spesso si fa nella cultura occidentale, ma a togliere. Il vuoto come ricerca della propria dimensione interiore,  l’essenzialità  della parola e l’amore per la natura sono i fondamenti dei suoi insegnamenti. In rapporto alla nostra cultura contemporanea Basho ci insegna ad alleggerire la vita. Quando parlo di essenzialità della parola mi riferisco in particolare alla sua poesia che si compone di pochissime parole che spesso servono solo a fotografare, attraverso l’osservazione dell’oggetto in questione, un istante di assoluta presenza. Il problema della vita di molti di noi è proprio l’incapacità di vivere con presenza l’attimo. Siamo talmente pieni di preoccupazioni e ansie da non riuscire quasi mai a cogliere la bellezza di un momento di pace o la semplicità di un gesto.  Basho ci insegna esattamente il contrario.
Musicalmente abbiamo cercato di inserire alcuni elementi del suo insegnamento. Il canto recita il suo haiku più famoso:

Nel vecchio stagno
una rana si tuffa
rumore d’acqua

Poi ci sono alcuni campionamenti di suoni della natura utilizzati per ricostruire l’atmosfera dell’eremitaggio mentre gli strumenti utilizzati evitano volutamente la ricchezza armonica e melodica  proprio per rappresentare l’essenzialità dell’insegnamento di Basho.  Il basso, le campane e lo shakuachi  lavorano su pochissime note mentre le percussioni creano un ritmo ostinato  e mantrico. Dal nostro punto di vista anche musicalmente dovremmo imparare a togliere. Siamo abituati ad una musicalità occidentale che si fonda sull’idea del virtuosismo e che spesso  eccede  in note inutili suonate a velocità impressionanti. Dietro tutto questo c’è sempre l’errata concezione egocentrica del dover sempre stupire.  Ma questa è una concezione circense della musica. Quello che manca nell’abuso del virtuosismo è la capacità di entrare in contatto con la magia del suono. Il suono è una vibrazione che può provocare effetti molto diversi tra loro. E’ solo una questione di scelta. C’è chi sceglie di utilizzarla per stupire con effetti speciali e c’è chi pensa che la musica abbia la capacità di creare uno spettro sonoro  in grado di provocare stati emotivi molto precisi. La nostra idea  è che la musica possa avere anche degli effetti terapeutici su chi ascolta. Preferiamo pensare che una persona ascoltando la nostra musica invece del solito e scontato ”bravi!” dica “mi sento meglio”…
 
Davide
La musica di “The way becoming” (che potrebbe forse erroneamente passare per New Age o ambient) richiede invero un ascolto profondo (quindi il contrario di ciò che è “ambient”). C’è grande confusione oggi che circonda l’inflazionato e spesso banalizzato argomento musica e meditazione. “The way becoming” vi si presterebbe molto, a un meditare, ma poi bisognerebbe capire cosa sia davvero la meditazione e in che modo questo non vada a sminuire il valore musicale più puro e slegato da queste “funzionalità” (Musica del Vuoto et similia). Qual è il tuo pensiero al riguardo?
 
Claudio
Su questo ti ho già detto alcune cose, poche ma essenziali. Non amo la musica New Age, la trovo banale e noiosa, anche se non è tutta uguale, andrebbe distinta, ma la conosco anche poco in realtà perché spesso mi annoia a cambio registro. Io provengo piuttosto dai minimalisti come Terry Riley, Philip Glass, mi piace molto Renè Aubry, John Cage, etc. etc…poi attualmente sto studiando il violoncello, molti anni fa avevo iniziato a studiare il contrabbasso, ed ora con questo più maneggevole “arco” mi sto addentrando anche nella musica classica che mi ha sempre attirato, da Chopin, a Bach, a Beethoven che mi piace ascoltare da sempre.
 
Davide
Il musicista elettronico e sperimentale e musicologo Franco Fabbri (già negli Stormy Six, oggi insegna all’Università di Torino Popular music e Culture e tecniche del suono e della musica) ha detto che non si può capire la musica senza capire la società, né si può capire la società senza capirne la musica. Qual è la tua idea di musica e società in Italia in questo momento e come le tue sperimentazioni si collocano, con quale desiderio di partecipazione o desiderio di contributo a un mutamento?
 
Claudio
Mi pare una domanda molto difficile a cui rispondere, la società di oggi è molto complessa e molto difficile da comprendere nelle sue sfaccettature ed il legame con la musica è molto vario e variabile. Se la musica che si ascolta oggi è espressione della nostra società se ne deduce solo che la nostra società fa abbastanza schifo e quella che si sente spessissimo non la considero neppure musica. Siamo inondati da musica–non musica, canzonacce inascoltabili o noiosi ritmi vuoti di contenuto. La musica interessante e preziosa devi cercartela col lanternino, magari è fatta, anzi quasi sempre, da persone sconosciute, musicisti isolati che esprimono il meglio della loro sensibilità e fantasia. Persone non da palcoscenico, ma solitari ricercatori che lavorano in silenzio e che con l’attuale tecnologia alla portata di tutti riescono a fare cose incredibili e incredibilmente belle.
Un contributo al mutamento di cosa, della società o della musica? Se intendi la società il mutamento sarebbe quello simile alla rivoluzione del 1789, magari senza spargimento di sangue, ma con le galere piene di molti beceri bellimbusti con la cravatta e la camicia bianca che da oltre vent’anni occupano gli spalti di palcoscenici senza farci neppure ridere. Se ti riferisci alla musica, penso che il mutamento dovrebbe riguardare la musica come elemento fondamentale per qualunque tipo di formazione da quella scientifica a quella umanistica. La base per comprendere la bellezza del mondo sta nella capacità di “comprendere” (nel senso di apprezzare, sentire e produrre) musica di qualsiasi tipo, così, come una cosa inutile che non porta danaro e non produce né alimenta la finanza: La conquista dell’inutile, come il libro scritto da Werner Herzog sul personaggio di Fitzcarraldo che vuole portare l’opera lirica nella foresta amazzonica. Perché? Perché è bello, perché esprime il sentimento della natura umana, ma forse è meglio far parlare anche Orlando.
 
Orlando
La musica ha sempre avuto un grande potere sulle persone e credo che continuerà ad averlo anche in futuro. Se chiedessimo alle persone l’importanza che la musica ha nella loro vita probabilmente la maggior parte penserebbe che è qualcosa di cui non si può fare a meno. Questa riflessione ci porta a dire che tutto è come sempre molto soggettivo. Qualcuno direbbe che non può vivere senza la musica di Stockhausen, qualcun altro che non può fare a meno delle canzoni di Pupo. L’unica possibilità per uscire da questa ampia soggettività è pensare in termini di “bellezza”.  Io credo che nel campo musicale ci sia lo stesso problema che riscontriamo  in tutte le questioni che riguardano la società. In ambito artistico il problema è di natura estetico-culturale. Purtroppo dobbiamo prendere atto che la maggior parte delle persone non sa più apprezzare la bellezza e la qualità soprattutto perché non c’è più una informazione di livello. E a proposito di questo ritengo che ci sia anche la responsabilità di certi ambienti colti, soprattutto in ambito classico,  i quali preferiscono chiudersi nel proprio mondo ritenendosi così gli unici eletti capaci di saper apprezzare la  “vera” musica. Io invece credo che sarebbe importante diffondere la cosiddetta musica colta al di fuori dai conservatori, organizzando concerti, con prezzi più popolari di quelli dei teatri e degli auditorium,  nelle periferie e nelle piazze.  In Germania si eseguono concerti ovunque, nei parchi e negli stadi con prezzi popolari e vi partecipano migliaia e migliaia di persone. A questi concerti  non vanno solo persone anziane ma anche ragazzi e bambini. Quindi è solo una questione culturale. Cosa hanno di più i tedeschi di noi? Ascoltano musica di un certo livello perché sono più intelligenti e sensibili di noi? No. La verità è che sono più informati. Se siamo educati alla bellezza poi sappiamo riconoscere ciò che è bello da ciò che non è bello. Credo che tutte le persone sappiano notare le differenze tra un abito di uno stilista e uno straccio venduto su una bancarella. La stessa cosa potrebbe avvenire per la musica se ci fosse educazione all’ascolto. Pensiamo solo al fatto che l’Italia, fino a  due secoli, fa era la culla della cultura musicale europea e che musicisti come Bach e Mozart venivano in Italia a studiare lo stile italiano. Il problema non è solo legato alla musica classica ma riguarda anche tutti quei generi musicali che vanno verso la sperimentazione e la contaminazione. Rimango sempre stupito quando, citando un gruppo straordinario che in passato sperimentava e contamina la propria musica di matrice tedesca, con suoni etnici ed  elettronici, sia quasi del tutto sconosciuto al grande pubblico. Mi riferisco ai Popol Vuh autori di molte musiche dei film di Herzog,  gruppo che insieme ad un altra band tedesca, i Tangerine Dream , influenzarono il sound più sperimentale dei più famosi Pink Floyd.  Per quanto riguarda la musica di ONE SOUND DUO  noi partiamo da un’idea semplicissima. La musica non dovrebbe essere creata solo per far piacere a qualcuno perché questo è proprio il meccanismo che produce mediocrità musicale nel mondo. La musica dovrebbe nascere istintivamente con il desiderio di esprimere se stessi attraverso un altro tipo di linguaggio, quello musicale. Possiamo dire molto di noi con le parole ma anche con i suoni. Solo così è possibile riuscire a sentire il cuore di un artista. E questo va al di là del genere. Perchè un buon ascoltatore sa riconoscere qualità anche in una bella canzone pop. Ma ci deve essere il cuore e non l’interesse. Molta musica al mondo viene costruita in maniera furba per piacere alla massa. Vengono utilizzati determinati arrangiamenti perché si sa che funzionano e i cantanti cantano con una modalità  quasi mai originale e personale,  solo per accontentare un gusto medio. Molta musica pop e dance è un po’ come un panino di McDonalds. Funziona quel gusto perché quel sapore piace alla massa. Purtroppo oggi c’è poca voglia di rivoluzione in ogni campo e quindi anche nella musica. Volevo evitare di citare i soliti anni settanta ma non possiamo negare che oggi un nuovo Demetrio Stratos, il grande cantante degli Area,  difficilmente potrebbe uscir fuori. In quel modo di cantare c’era il desiderio di entrare in territori nuovi, di sperimentare e quindi di rivoluzionare. Ma questo avveniva perché in quegli anni c’era un fermento ideologico che creava la speranza del cambiamento. Il gruppo Prima Materia dell’amico Claudio in quegli anni fece conoscere  il “canto armonico”, un modo di cantare di matrice orientale, che era completamente sconosciuto da noi. Per concludere la nostra musica si fonda su due semplici idee. Da una parte sperimentare sonorità “diverse”, utilizzando una vasta gamma di suoni (da quelli più profondi a quelli più acuti) che possano creare  determinate emozioni in chi ascolta, dall’altra realizzare  una musica libera e istintiva che ci permetta di esprimere  la nostra essenza più profonda. 
 
Davide
Cosa seguirà? Ci sono altri progetti a cui stai pensando?
 
Claudio
Per ora non saprei dire, il violoncello? L’elettronica? Amici ospiti del duo? Forse. Per ora le strade non hanno un nome, ma forse domani o dopodomani una mattina alzandomi una fantasia nuova potrebbe far nascere cose nuove e inaspettate. Chi può dirlo?
 
Davide
Grazie e à suivre…

 

 

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