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Intervista a Claudio Ricciardi

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Intervista a Claudio Ricciardi

Claudio Ricciardi, nato a Roma nel 1945, laureato in Scienze Biologiche, lavora presso un Istituto di Ricerca Scientifica. Ha studiato dapprima chitarra jazz e poi il contrabbasso. Negli anni ’70 incontra le musiche extraeuropee e nel 1975 entra a far parte dell’ensemble vocale di canto armonico ("overtone singing") Prima Materia, fondato negli USA da Roberto Laneri, con il quale ha partecipato a numerosi concerti in Italia e in Europa fino al 1978. Successivamente si è interessato alla costruzione di strumenti musicali, in particolare gli archi ed il contrabbasso (Maestro Liutaio Silvio De Lellis). Nel 1980 approfondisce la musica sarda e in seguito incontra gli aborigeni australiani in una performance all’Università di Roma durante gli studi di biologia ed antropologia. Questo incontro lo porterà alla riscoperta del didgeridoo, di cui diverrà uno dei più importanti suonatori e divulgatori in Italia, dedicandosi per altro anche alla costruzione dello strumento e sperimentando gli effetti del suono su varie essenze di legno ed altri materiali. Ha tra l’altro inciso come vocalist di canto armonico l’LP "La coda della tigre", con il gruppo PRIMA MATERIA, Ed. Ananda n.2, Roma 1977 e, come vocalist e suonatore di didgeridoo) il cd "Inside Notes" (EDT Edizioni Musicali Il Ponte Sonoro, 2001) con Roberto Laneri e l’Ensemble vocale In Forma di Cristalli, proposto a suo tempo in abbinamento al numero 50 della rivista bimestrale "World Music". Nel 2003/2004 è uscito "Blu Outlines", registrato con la collaborazione di Giuseppe Verticchio, Cosimo Marino Curianò e Simone Fiaccavento (progetto musicale "Timelines"). Sette brani nei quali il didgeridoo accompagna strumenti di vario genere quali saz, flicorno, ocarina, trame percussive ed elettroniche in sonorità di tipo ambient-rituale, in cui si alternano momenti ambientali ad altri più ritmici e melodici. Ricciardi ha inoltre scritto numerosi articoli sul didgeridoo e sulla tecnica della respirazione circolare, alcuni visibili su Internet, fondamentali per chi voglia approcciarsi al bellissimo strumento australiano tra i più antichi al mondo. Ha pubblicato al riguardo anche un libro: "L’albero che canta. Il didgeridoo e la respirazione circolare", EUCOS Editori, Roma 2003-2004.

Per informazioni sul libro: http://www.oltreilsuono.com/alberochecanta


Davide
Buongiorno Claudio… Ho sicuramente omesso qualcosa di importante nelle note introduttive… Vuoi aggiungere qualcosa prima di iniziare con l’intervista?

Claudio
Ciao Davide, no, hai detto le cose fondamentali del mio percorso musicale, anche se è stato molto discontinuo con lunghi periodi di interruzione nei quali mi sono interessato di altre forme artistiche come la scultura che poi si è concretizzata in ambito musicale nella costruzione recente di alcuni didgeridoo. Ma non solo: perché inoltre mi sono occupato del mio lavoro di biologo che ora si è trasformato nei miei interessi filosofici per la bioetica. Devo dire però che questa discontinuità nella musica non è stata negativa, anzi, ogni volta che mi sono separato, il ritornare è stato poi molto più costruttivo, come se le altre esperienze avessero apportato nuove sensibilità e nuove possibilità. La musica è stata comunque sempre un’esperienza fondamentalmente sotterranea e mai dimenticata.

Davide
Negli ultimi anni il didgeridoo ha conosciuto un crescente grado di popolarità. E’ una cosa molto insolita, considerata la sua "non" musicalità nel senso comune occidentale delle dodici note… Voglio dire: ho visto per esempio accorrere tantissima gente ai concerti di un Jowandhi, e rispondere a questi con grande entusiasmo anche se questa è musica che si articola fondamentalmente in armonici ed effetti vocali minimali intorno a una sola nota fondamentale. Come spieghi tanto odierno interesse e rispetto intorno a questo strumento e all’espressione musicale degli aborigeni australiani? Molti altri strumenti di interesse etnico non hanno conosciuto altrettanta fortuna.

Claudio
Beh questa è una domanda difficile a cui rispondere: forse il problema è un altro. Cioè, l’esperienza del suono in sé, più che della musica, è un fatto fondamentale.
Quando negli anni ’70 iniziai a cantare con il gruppo Prima Materia, spesso chiedevamo al pubblico di salire sul palco insieme a noi per provare ad entrare nella dimensione sonora, che era allora ancora piuttosto semplice, per lasciarsi circondare da un unico suono di bordone e percepire le componenti armoniche anche cantando solamente una nota sola, e questa esperienza lasciava sempre qualcosa di profondo nelle persone, ma eravamo sempre in ambito di musica colta e cosiddetta contemporanea, oggi questo è divenuto esperienza più di massa forse perché si hanno nuove esigenze, si è più sensibili al suono in un mondo troppo pieno di rumore fastidioso. Ora il didgeridoo permette un po’ la stessa cosa. Nel momento che si riesce a produrre la sua nota fondamentale, anche senza la respirazione circolare, si percepisce fisicamente, in genere al livello del diaframma, una vibrazione notevolmente forte che non dimentichi facilmente. E’ questo penso la cosa che attira di più: sentire fisicamente il suono, farne parte e lasciarsene trasportare. E….poi gli aborigeni, la loro storia, le violenze subite, oggi divenute di pubblico dominio…oggi è forse come una forma di riscatto. Scoprire lo strumento che loro considerano sacro è come percepire, mettersi in contatto con la loro identità profonda: forse con quella loro dimensione interna che li ha fatti resistere nonostante, senza perdere la speranza. Non so potrebbe essere questo uno dei tanti motivi.

Davide
Gli aborigeni australiani usavano tra l’altro il didgeridoo per curare alcune malattie, poggiando l’estremità da cui esce il suono sulla parte malata dell’interessato. Pare ormai accertato scientificamente che ogni vibrazione sonora, con la sua peculiarità, sia anch’essa solo sillaba, parola o rumore, crea forme diverse di interazione sulla sostanza e sulla psiche. Tu pensi che il suono del didgeridoo possa avere effetti musicoterapeutici? Hai mai avuto modo di approfondire questo argomento? Come viene utilizzato in tal senso anche da noi in Occidente, negli anni Duemila? Suonarlo, sicuramente, giova per via se non altro della respirazione circolare, che sta poi anche alla base di molte tecniche salutistiche e salutari quali rebirthing, vivation eccetera. Mi interessa però maggiormente approfondire il discorso della qualità vibratoria, delle frequenze, della psicoacustica… O per dirla con il musicologo Daniel Levy ("Eufonia – Il suono della vita"), dei cinque aspetti che agiscono sinergeticamente come involucri del "nucleo eufonico": fisico, energetico, psico-emotivo, mentale, intuitivo. Insomma, che rapporto pensi possa esistere tra i suoni (altezza, timbro eccetera) del didgeridoo e l’organismo psicofisico? C’è qualche studio o storia al riguardo che ci puoi consigliare?

Claudio
Non ho mai approfondito gli aspetti della musicoterapia (conosco solo di nome Daniel Levy) più per mancanza di tempo che altro, anche se ho alcune idee a riguardo. Non so se gli aborigeni lo usano come dici, da quello che ho letto non mi risulta, ma potrebbe essere. E’ ovvio che i suoni, come i colori, gli odori ed ogni altra cosa che percepiamo con i nostri sensi, ci arriva dentro e ci fa reagire in vario modo. Penso anzi che gli stimoli esterni siano fondamentali alla vita, alla nascita. Senza reazioni agli stimoli saremmo materia inerte, morta. Ma la mia formazione da biologo mi impedisce un po’ di pensare che si possa "guarire" da qualcosa solamente ascoltando musica o suoni. Certamente per migliorare la qualità della vita, si, il tono del nostro umore, rilassarci se siamo troppo ansiosi, ma non di più. Se si è affetti da patologie, io penso che la ricerca scientifica sia oggi abbastanza avanti da aver compreso gran parte delle cause e possa intervenire in vario modo per eliminarle anche completamente. Sul piano psichico penso subito a forme gravi deliranti, depressive, che hanno un’eziopatogenesi complessa e difficilmente possono "guarire", nel senso che diamo noi a questo termine, ascoltando semplicemente "musica" e/o vibrazioni. Ma qui il discorso si farebbe troppo lungo e ci porterebbe lontano. Andrebbe approfondito a partire da De Martino, fino alla psichiatria dinamica, alla psicoterapia, ai rapporti con gli altri esseri umani, al mondo della cultura che ci circonda e a come noi l’assorbiamo acriticamente in modo passivo.
Personalmente posso dire che aver iniziato a suonare il didgeridoo mi ha portato a "sentire" e "percepire" di me molto di più. La prima volta, ad esempio, che sono riuscito a fare la respirazione circolare producendo un suono continuo con il didgeridoo, ho provato un senso di gioia profonda, di leggerezza che mi faceva sentire tutt’uno con il suono che facevo. Una bellissima sensazione che a volte riprovo quando suono ed improvviso da solo, senza schemi o costrizioni di nessun genere. Ed allora lascio fluire quello che sento come se le mie sensazioni e i miei stati d’animo potessero diventare materialmente udibili e lasciarsi trasformare lentamente in qualcosa di più o di meno nello stesso tempo, fino ad una completa fusione tra il mio sentire e il mio suonare senza interventi razionali e pensieri. Ma non è una cosa così facile, è spesso una cosa che accade senza intenzionalità, anzi più la cerchi meno ti succede.

Davide
Mi incuriosisce il passaggio dalle tante note del jazz (la tua formazione musicale è infatti jazz, se non sbaglio) alle poche prolungate e meditative note, alla quasi apparente staticità senza soluzione di continuità del suono di un didgeridoo, ma anche di un overtone singing (il canto armonico)… "From this side", col quale si apre "Inside Notes", dove alla prolungata nota bassa del tuo didgeridoo si elevano fraseggi di stampo jazz del clarinetto di Roberto Laneri, è un incontro molto interessante tra questi due diversi mondi.

Claudio
Si questa è stata una grande e bella esperienza: Erano alcuni anni che non mi sentivo più con Roberto e dopo aver scoperto il didgeridoo gli ho proposto la possibilità di sperimentare, così come avevamo fatto con Prima Materia, la possibilità di esprimere la medesima cosa con due strumenti, il didgeridoo e il clarinetto basso. Così in modo del tutto naturale è accaduto di ritrovarci nella stessa condizione di "prima materia", di sperimentare l’essenza del suono, con due strumenti. E abbiamo messo lì le nostre esperienze vissute, di Coltrane, Dolphy, Davis, canto armonico: erano tutte lì presenti dentro di noi e forse non erano due mondi così differenti perché attingevano alla stessa fonte. Alla stessa esperienza. Anche se da "questo lato" cercavamo di andare dall’ "altra parte", quella più profonda, quella dell’inconscio, non quello freudiano perverso e inconoscibile, ma di quell’ "irrazionale sano" fonte di vitalità ed energia che ci viene al momento della nascita quando rotta l’omeostasi della nostra vita intrauterina, il mondo esterno irrompe e ci costringe a ricreare con la fantasia e a ricostruire la traccia mnesica di quell’esperienza precedente che diventa la nostra "realtà psichica". E’ la teoria della nascita di Massimo Fagioli, psichiatra romano, che è per me un riferimento fondamentale da un punto di vista antropologico e filosofico.

Davide
Non meno affascinante del didgeridoo è senz’altro il canto armonico. In Italia tu e Laneri – mi pare – siete stati i primi e più importanti esploratori di questa tecnica, insieme al grande Demetrio Stratos, alle sue diplofonie, triplofonie e quant’altro. Il suono armonico è quel fenomeno fisico della vibrazione dei corpi sonori che produce, insieme alla frequenza fondamentale, altre frequenze che vengono considerate secondarie (ipertoni o serie delle armoniche). Insomma, vibrazioni che risuonano legate in precisi rapporti con l’onda di base… Come dire: insieme alla nota fondamentale, si può produrre un’altra o più note udibili contemporaneamente in forma di armonico (una sola voce che può eseguire due o tre note diverse in accordo armonico!). E’ corretta questa breve spiegazione per i lettori? C’è un modo più semplice e chiaro di spiegarla? Qual è, in breve, oltre al potere suggestivo, quello terapeutico e meditativo di questa tecnica di canto? Da dove è stata mutuata (India, Tibet…?).

Claudio

Si per quanto mi risulta siamo stati i primi a fare in Europa queste cose! E’ corretto poi quello che dici sul suono. Questo é un fatto abbastanza naturale. Un suono prodotto da uno strumento, come dalla voce, non è un suono puro, acusticamente parlando, non è una semplice onda sinusoidale, è un suono complesso composto dalle sue armoniche, meno udibili perché di volume più basso, ed é caratterizzato da un suo "timbro" che ne specifica in qualche modo le qualità. E’ la base naturale dell’armonia. Due suoni sono tra loro armonicamente concordanti quante più armoniche identiche hanno in comune. Alcuni strumenti in particolare, così come alcune tecniche vocali, hanno la particolarità di evidenziare e rendere udibili queste armoniche componenti delle note, vedi ad esempio lo scacciapensieri, ma anche tutti gli strumenti ad ancia e ad ancia labiale.
Per quanto riguarda il canto armonico la faccenda è più complicata da dire perché molte sono le tecniche di emissione, tutte di origine tradizionale da varie parti del mondo: da Tuva, dal Tibet, ma anche dall’Africa e dagli indiani Eschimo, gli Ainu del Giappone. Sembrerebbe nascano in società animiste e con origini sciamaniche. In particolare per quanto riguarda la tecnica del canto gutturale (o canto di gola) ne abbiamo un esempio anche qui in Italia, in Sardegna. Questa forma di canto è conosciuta nel mondo come "kargyraa" (a Tuva), ma in realtà è molto difficile stabilirne le origini e le funzionalità: noi possiamo solo fare molte ipotesi, ma restano sempre tali e in contraddizione spesso tra loro. Il timbro della nostra voce dipende dalle armoniche che abbiamo e la tecnica (uso della lingua, della gola, movimento delle labbra, etc) permette di renderle sempre più udibili rispetto alla fondamentale. Lascerei poi ad altri gli elementi terapeutici e meditativi della faccenda che mi hanno attirato sempre poco.

Davide
Una domanda per variare un po’ dai soliti schemi… La quale mi permetto per via del profondo rapporto esplorativo che tu hai con un certo tipo di musica e di canto. Fin da bambino associavo alle note un colore, specialmente agli accordi maggiori e minori: do (rosso cadmio chiaro), re (giallo primario), mi (rosso scarlatto), fa (celeste), sol (rosso bordeaux), la (verde chiaro o azzurrino), la minore (blu notte)… Poi un giorno lessi che esiste un rapporto strettissimo tra il suono e le vibrazioni luminose cromatiche, fin dagli antichi Egizi, e che è correntemente considerato nel seguente modo: do (rosso), re (arancione), mi (giallo), fa (verde), sol (blu), la (indaco), si (viola)… Molti, dunque, coincidevano. Non a caso anche in musica si parla di tono, scala cromatica… Kandinsky e Klee dipinsero i suoni dei colori e delle forme… Tu quali colori associ ad ogni singola nota o ad alcuni accordi?

Claudio
Su questo punto mi trovi abbastanza impreparato perché non ho esperienza di suoni e colori, anzi devo confessarti che non me ne sono mai occupato, semmai alcuni suoni li associo spesso a forme fantasiose personali slegate da visioni teoriche generali o universali. Anzi penso che sia piuttosto arbitrario e legato all’esperienza di ognuno; il massimo che mi viene da pensare è che i toni bassi siano associati a colori scuri mentre gli alti a colori brillanti e luminosi. Non conosco poi se da un punto di vista psicofisiologico ci siano stati studi che hanno categorizzato scientificamente suoni e colori.

Davide

In vesti di liutaio, quali strumenti hai fino ad oggi realizzato? Per quanto riguarda il didgeridoo, questo è uno strumento ricavato da un ramo di eucalipto originariamente scavato dalle termiti. Suppongo che ogni didgeridoo abbia quindi una sua unicità di suono e "suonabilità". Quando tu ne costruisci uno artigianalmente, usando anche altri diversi tipi di legno, operi lasciando qualcosa al caso (come in una sorta di simulazione dell’attività naturale delle termiti e della "loro" scelta di legni, quindi di forme e dimensioni non definite da una scelta umana) o tendi a studiare degli standard per ottenere esattamente suoni e altezze predefinibili? Il mio didgeridoo è in teak made in Indonesia… credo. Credi che ciò snaturi in qualche modo, almeno "filosoficamente" l’essenza originaria dello strumento aborigeno australiano? Come cambia il suono del didgeridoo secondo altri legni? Vi sono altri strumenti nel mondo simili al didgeridoo?

Claudio
Non esageriamo le vesti del liutaio. Non lo sono mai diventato. Quando ho iniziato ad appassionarmi alla liuteria avevo già costruito per mio conto una specie di chitarra ed un’ altrettanto specie di violoncello che suonavano anche. Ma poi l’incontro con il Maestro De Lellis mi ha fatto comprendere, da un punto di vista teorico cosa significa progettare uno strumento, e così ho smesso di costruire aborti. Costruire uno strumento è un lungo processo di ricerca, dalla sua struttura geometrica, alla ricerca dei materiali, fino alla realizzazione in laboratorio. Un processo molto complicato, se si vuole essere seri, che per me è restato sul piano teorico anche se per tre anni ho seguito il suo lavoro nel laboratorio a disfare e ricostruire il mio contrabbasso. La realizzazione di uno strumento richiede, come per il biologo, un laboratorio che funzioni altrimenti resta solo una conoscenza teorica. La valutazione e la comprensione di uno strumento da uno finto o uno falso, che è già molto, è ciò che sono riuscito a fare, ma arrivare alla capacità di costruirne uno ce ne vuole.
Per quanto riguarda il didgeridoo occorre subito distinguere lo strumento degli aborigeni che chiamerei senza dubbio Yidaki, e che per noi occidentali è abbastanza difficile da realizzare se non si vive con loro e nel loro ambiente, da quello che noi chiamiamo didgeridoo. Io non ho a casa un allevamento di termiti, né tanto meno un bosco di eucalipti. Pertanto dovremo parlare di didgeridoo che è una cosa diversa, anche se molto simile. Noi occidentali generalmente possiamo fare delle buone imitazioni e farle suonare come siamo capaci noi, ma realizzare uno strumento per suonarlo con il loro stile è cosa più complicata da indagare ancora molto. Il principio è che qualsiasi tubo di plastica, di vetro, di legno o metallo, una volta conosciuta la tecnica di emissione del fiato, suona come un didgeridoo. Stuart Dempster, il grande trombonista suona nel suo magnifico disco nella grande Cappella di Clemente VI, un semplice tubo di plastica ottenendo sonorità particolarissime, ma forse non hanno nulla a che vedere con lo yidaki degli aborigeni. Come tu dici ogni didgeridoo o yidaki è uno strumento singolare e il suo suono è unico perché la sua fisicità o struttura o forma, permette acusticamente di dare il suo massimo acustico solo in un certo modo e quindi ogni strumento deve essere conosciuto in tutte le sue potenzialità; se non è buono queste sono molto limitate, altrimenti ne scopri sempre di altre man mano che impari a conoscerlo. Il suo suono dipende dalla lunghezza, dalla forma, conica o cilindrica, dallo spessore delle pareti, etc. e la differente combinazione di questi elementi caratterizza lo strumento. Due strumenti diversissimi tra loro possono avere la stessa nota ma devi adattarti a suonarli in maniera diversa. Io direi che sono una classe di strumenti chiamati da noi didgeridoo e da loro yidaki, ed ha un senso diverso per noi e per loro non solo il perché lo suoniamo, ma anche come suonarlo e come costruirlo.
Per mio conto non mi considero un purista, anzi mi piacciono le contaminazioni, le trasformazioni e tutte le alterazioni possibili dalla tradizione, pur amando l’originalità dello strumento e le sue possibilità espressive che loro, gli aborigeni, hanno scoperto e sviluppato per migliaia di anni. Detto tutto questo si può comprendere come io abbia costruito alcuni strumenti, in legno, metallo e altri materiali. E’ stato interessante lavorare con il legno perché ho dovuto lavorare su due metà. Due tavole di un certo spessore, un progetto disegnato, poi scavate a mano con una fatica non indifferente e poi incollate tra loro e lavorate all’esterno. Alla fine è un didgeridoo che suona abbastanza bene. Dovrei continuare per correggere gli errori, gli spessori, la forma, la lunghezza ed ottenere qualità sempre più soddisfacenti, ma il tempo e la fatica oltre alla pigrizia mi spingono più facilmente su internet a comprare strumenti originali bellissimi, senza fatica e neppure troppo costosi.

Davide
Prossimi progetti, siano dischi o concerti? C’è qualcosa della tua musica che i lettori possano nel frattempo scaricare da qualche sito per avere un’idea più esatta del tuo lavoro? Qualche link?

Claudio
Prossimi progetti? Si ce n’è uno in particolare che mi attira molto. E’ qualcosa che dovrebbe diventare più di un concerto, ma tutto dipenderà da come si sviluppa. E’ legato al tema dell’Inquisizione. Con il gruppo "Timelines" stiamo cercando di reinterpretare ed eseguire dal vivo le musiche elettroniche di Giuseppe Verticchio, conosciuto da anni nell’area Elettronica-ambient, a cui lui ha già dedicato un suo CD (Whispers from the Ashes, Amplexus, 2004) sotto il nome di Nimh (si può vedere nel suo sito
www.oltreilsuono.com). Suoniamo vari strumenti elaborati in diretta elettronicamente da Simone Fiaccavento (chitarrista e tecnico del suono), in uno studio abbastanza attrezzato di Mino Curianò (multistrumentista: saz, chitarra, flicorno, santur) che ci ospita spesso nella sua saletta attrezzatissima. Ecco insieme ad una voce recitante, ad una possibile danza e ad un video dovremmo riuscire a costruire un concerto che si sviluppa su molti piani interpretativi. Purtroppo su internet non abbiamo ancora nulla che si possa scaricare e sentire. E’ una cosa abbastanza nuova e le musiche che fin’ora abbiamo fatto insieme e da soli sono soltanto un preludio. Staremo a vedere. Ti ringrazio per essermi stato a sentire e spero di aver soddisfatto i tuoi interessi. Ciao a presto.

Davide
Ciao e grazie per la tua disponibilità. A’ suivre.

Davide Riccio

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