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Intervista con i Syndone

16 min read
 
Marco Minnemann e John Hackett gli special guest nel quinto disco della band: un concept ispirato al mito omerico, affascinante progressive italiano tra novità e tradizione. In copertina ‘A Oriente’ di Lorenzo Alessandri
Odysséas: il lungo viaggio prog-rock dei Syndone
 
 
Fading Records
è lieta di presentare:
 
 
ODYSSÉAS
 
… I Syndone con Marco Minnemann e John Hackett…
 
Fading Records/Altrock 2014
13 brani, 50 minuti
 
 
Nel viaggio c’è l’essenza dell’uomo, l’idea di spingersi sempre oltre per “cercare”. Amiamo le persone proiettate costantemente alla ricerca di qualcosa, di qualcuno: noi stessi siamo così. Non crediamo alle persone che si considerano “arrivate”. Quale opera allora poteva affiancare meglio il concetto di viaggio (interiore ed esteriore) se non l’Odissea? Questa esigenza di spinta continua verso la sperimentazione e la ricerca può essere vista come l’essenza stessa della musica prog. Il lungo cammino dei Syndone, partito alla fine degli anni ’80 nell’epoca d’oro della rinascita progressive e giunto ora al quinto disco Odysséas, trova un riferimento esistenziale e letterario davvero importante: il viaggio, il percorso di scoperta e conoscenza, il guardare avanti e altrove come metafora di una musica sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo.
 
La rock band torinese, tornata nel 2010 dopo un lungo periodo di silenzio, è praticamente inarrestabile: il tastierista Nik Comoglio, il vocalist Riccardo Ruggeri e il vibrafonista Francesco Pinetti, dopo due ottimi album come Melapesante (2010) e La bella è la bestia (2012) tornano con Odysséas, il loro disco più ambizioso e completo. Ancora una volta un concept album – in copertina A Oriente (1979), splendida tela del compianto Lorenzo Alessandri, uno dei padri del surrealismo italiano – ma con la nuova etichetta Fading Records, collana progressive della AltRock, label nostrana tra le più seguite al mondo. Il prog-rock dei Syndone, possente, articolato e accattivante, punta alla novità e alla complessità senza dimenticare lo slancio melodico e il rispetto della tradizione, come sostiene Comoglio: “Unitamente alla ricerca del nuovo bisogna onorare le radici della musica che tentiamo di modernizzare: questo è il motivo per cui uso sempre suoni di tastiera vintage e analogici accanto a elementi freschi molto forti come il drumming di Marco, la scrittura di Francesco o l’uso personalissimo e geniale del cantato di Rik. È un modo per farti vedere cosa c’è al di là di un muro alto, dandoti però la sensazione di restare sempre con i piedi per terra”.
 
Al trio si sono affiancati numerosi collaboratori e due special guest altisonanti, Marco Minnemann e John Hackett. Il popolare drummer tedesco ha suonato, tra gli altri, con Steven Wilson, Adrian Belew, The Aristocrats, Levin e Rudess etc.) ha registrato tutte le parti diventando qualcosa in più di un semplice ospite: “Ho appena registrato la batteria nel mio studio per questi fortissimi ragazzi della band italiana Syndone. Un gruppo con il quale lavorare è stato veramente piacevole. Non vedo l’ora di ascoltare tutto. È stato un piacere registrare per loro”. Insieme a lui un altro straordinario musicista ha offerto la sua arte a Odysséas: John Hackett, flautista colto ed eclettico, noto soprattutto per la sua collaborazione con il fratello Steve Hackett. “È stato un immenso piacere registrare con i Syndone e aggiungere il mio flauto a una scrittura così raffinata. Grazie!”. I Syndone sono pronti per questa nuova avventura, con tanto di concerti che verranno presto annunciati.
 
 
Info:
 
Syndone:
 
Fading Records:
 
Ufficio Stampa Synpress44:
 
Precedenti interviste
 
 
Intervista con Nik Comoglio
 
Davide
Ciao e ben tornati con questo quinto lavoro dei Syndone. Sono davvero colpito dalla sua bellezza e dal suo equilibrio tra musica d’arte (perdonate il termine ombrello con cui possiamo riferirci a tutte quelle tradizioni musicali che implicano avanzate considerazioni strutturali e teoriche) e la fruibilità che può beare le orecchie di tutti; ma anche un equilibrio tra le varie tipologie musicali che abbatte gli steccati in un modo molto naturale, che non suona cioè mai programmaticamente artificioso. Come lo pensate o lo avete pensato voi all’interno della vostra discografia?
 
Syndone (Nik)
Ciao Davide!
Hai detto bene: “che abbatte gli steccati”… Odysséas l’abbiamo pensato proprio come un’opera che fosse fruibile anche da chi non segue propriamente la musica progressive; infatti presenta in sé molte caratteristiche che possono vivere in ambiti musicali diversi e quindi aprire a nuovi potenziali ascoltatori. Il problema, quando si fanno esperimenti simili è: dove fermarsi per non andare fuori genere? La risposta è nel “peso” che viene dato al rapporto tra le caratteristiche più fresche ed innovative e gli elementi tipicamente più radicati nella tradizione. Se si sbaglia a dosare questo difficile equilibrio si rischia di fare un prodotto che scontenta tutti. Quindi, anche se apparentemente questo equilibrio sembra non programmato a tavolino in realtà lo è stato in modo maniacale: pensa che c’è mancato un pelo che il brano “Daimones” (ultima traccia del disco) rimanesse fuori palinsesto perché per un mese e più ero assolutamente convinto che suonasse troppo pop per essere inserito in un disco di musica prog. Fortunatamente poi ho deciso di inserirlo lo stesso e adesso lo sento parte integrante del progetto tout-court ed in linea con tutto il disco. Alle volte bisogna avere il coraggio di osare sulle proprie scelte artistiche!
 
Davide
Altro bel momento l’ho avuto ricordandomi di Lorenzo Alessandri. Ho amato molto il gruppo Surfanta e il pittore in questione, personaggio per altro decisamente interessante e in seguito afflitto da certi luoghi comuni o una certa nomea intorno al suo interesse per l’occultismo e l’esoterismo. Perché questo suo quadro e perché questo pittore in particolare per illustrare Odysséas? I tre bedu sono tre come voi?
 
Syndone
Questo quadro ha in sé una malinconia e una tensione verso l’infinito molto forte: i tre personaggi col becco (o “Bedu”, come li battezzò il pittore) sembrano concentrati verso un fine ultimo lontano ed estremo, ma tra di loro sembrano essere psichicamente slegati; un po’ come i Syndone, come asserivi tu!
In effetti noi arriviamo da situazioni artistico/musicali molto differenti e questo disco sembra unirci ideologicamente in un momentaneo sforzo creativo per raggiungere un obiettivo comune, una mèta artistica ben precisa; mèta che poi, una volta raggiunta, deve svanire per lasciar spazio a nuove forme, nuove idee, nuove sfide musicali; nuovi obiettivi devono pertanto delinearsi al più presto… il progressive è anche questo!
Il fatto di aver usato una tela di Alessandri lo dobbiamo in parte a una nostra personale scelta di tipo estetico, in parte alla consulenza dell’ottima Concetta Leto (curatrice dell’opera e della Pinacoteca Alessandri) la quale gentilmente ci ha concesso la liberatoria per l’uso di questo incredibile quadro come copertina dell’album. Le dicerie che avvolgono la figura del pittore su presunte pratiche di occultismo e quant’altro sono state totalmente smentite proprio dalla signora Leto che conobbe in vita Alessandri e visse vicino a lui gli ultimi anni della sua malattia: “Alessandri era persona molto spirituale ma di una spiritualità positiva e speculativa mai distruttiva.”
 
Davide
Il vostro Odisseo-Ulisse in particolare è simbolo e metafora della vita e della lotta dell’uomo con quale scopo nella condizione a noi più contemporanea?
 
Syndone
La bella frase di Marcel Proust che apre il booklet: “Viaggiare non è scoprire nuove terre ma avere nuovi occhi”, credo riassuma bene l’idea che c’è dietro questa nostra opera.
Il viaggio dell’uomo contemporaneo è il viaggio interiore, il viaggio nell’inconscio, il modo per ricominciare a riesaminare la realtà da una nuova angolazione e vedere sé stessi e gli altri proprio da quest’altra nuova angolazione. Se ogni tanto ci fermassimo a “guardare meglio” le cose che ci sembrano più ovvie, a volte addirittura scontate, o a cercare di “capire meglio” quelle persone che conosciamo da tanto tempo e con cui magari condividiamo la vita, la quotidianità lavorativa o famigliare e riconsiderassimo tutto da un punto di vista differente, molto probabilmente tutto ci apparirebbe totalmente diverso, più interessante, sconosciuto persino!
È il modo nuovo di vedere le cose il segreto per capire chi siamo, dove andiamo e da dove veniamo… sempre che ci interessi saperlo ovviamente!
Il viaggio che dobbiamo fare è riportare a galla quelle variabili disperse dentro di noi che ci consentiranno di riagganciare la dimensione dei valori umani che stiamo lentamente perdendo giorno per giorno dentro una realtà virtuale in cui siamo sempre più immersi: “hai un ID? … hai un ID??…chi sei?… chi sei?!” (Odysséas: “Nemesis” –  traccia 8).
L’ipotetico viaggio di Ulisse nel 2014 per noi coincide con il rinascimento di un nuovo umanesimo che passerà dagli occhi della gente e quindi dalla loro anima.
 
Davide
Cos’è per voi la trasformazione? Come il progressive rock se ne deve più autenticamente riappropriare?
 
Syndone
La trasformazione è crescita! Se non c’è trasformazione c’è ristagno, in particolar modo nell’arte. La musica progressive è il genere musicale che più dovrebbe elevarsi a simbolo ed icona di trasformazione: è contenuto nella parola stessa del “progredire”, l’andare oltre, il cercare: purtroppo questo accade sempre meno, specialmente in Italia.
Mi capita sempre più spesso di ascoltare musica agganciata al vecchio stereotipo anni settanta fatto di lunghe e insopportabili suite di venti e più minuti – chitarre elettriche suonate sempre nella stessa maniera – solisti di moog fatti su forme ritmiche reiterate fino allo sfinimento dell’ascoltatore come terzinati ossessivi su tempi pari o, viceversa, duine angoscianti su tempi ternari – batteristi che creano tempi dispari spigolosi, volutamente complicati con doppie e triple casse fine a se stesse e quant’altro; bello certo…, ma ormai ha fatto il suo tempo! I gruppi nuovi che si dedicano alla sperimentazione e osano proporre un nuovo sound e nuove timbriche sono assai rari (nonostante la tecnologia odierna consenta di fare veramente tutto ciò che si vuole a livello musicale).
Io credo che un po’ sia perché nelle nuove band manca troppo spesso un’adeguata preparazione musicale di base (che favorisce il conseguente fiorire di migliaia di gruppi di dilettanti che inflazionano il mercato), un po’ perché una buona fetta del potenziale uditorio progressive “vuole” ancora sentire certe sonorità ed è legato alle strutture della musica di quarant’anni fa.
Con Syndone stiamo cercando di trasformare e “svecchiare” un po’ questo stile ma seguendo scrupolosamente un piano artistico/musicale preciso e delineato che credo si evinca bene dall’ascolto dei nostri dischi. Noi partiamo sempre da solide basi usando il linguaggio timbrico e armonico in modo coerente con la tradizione ma libero nella struttura e nella composizione.
 
Davide
Una domanda particolarmente rivolta a te in quanto architetto… Io chiamo l’architettura musica congelata. Sicuramente ti è nota questa considerazione di Goethe. La condividi? La musica è quindi un architettura in movimento?
 
Syndone
Si condivido!
Quando stavo per laurearmi in architettura studiavo parallelamente pianoforte. Proposi al mio relatore una tesi dal seguente titolo: “Musica Frattale”; era il 1988, quindi la scoperta della geometria frattale di Mandelbrot era ancora abbastanza nuova. Un frattale è una forma geometrica che rappresenta un sistema complesso e non prevedibile come ad esempio la traiettoria di una goccia lungo un pendio irregolare, il fumo di una sigaretta che sale, la turbolenza dell’acqua di una fontana, il movimento delle nuvole ecc… ed è regolato da una proprietà detta “autosomiglianza”: cioè il “tutto” assomiglia alle “singole parti componenti” all’interno di una forma vera e propria che identifica geometricamente il caos e si ripete all’infinito! La mia idea era questa: se fossi riuscito a creare una relazione tra un frattale e una serie di suoni sarei riuscito a musicare una forma complessa… ossia, in termini più ampi, se fossi riuscito a creare una legge che legava l’autosomiglianza di un algoritmo frattale con degli intervalli non temperati o delle formanti definite sarei riuscito a “leggere musicalmente” un punto, poi un’area e poi magari un volume non euclideo. Macroscopizzando la cosa avrei potuto “leggere musicalmente”, ad esempio, una cattedrale gotica congelandola con “quel” suono per sempre. Sfortunatamente il mio relatore mi disse, oltre che ero un pazzo scatenato, che per terminare una tesi simile ci avrei messo più di 5 anni… troppo. Quindi passai ad altro. Ma l’idea che spazio e suono convivano intimamente in modo trascendentale non è mai morta in me: pieno e vuoto, forte e piano… stessa roba.
 
Davide
La verità è che la vera musica non è mai ‘difficile’, diceva Debussy. Questo è soltanto un termine che funge da schermo, che viene usato per nascondere la povertà della cattiva musica. Cos’è o qual è la buona e cos’è o qual è la cattiva musica secondo voi?
 
Syndone
La musica è una forma d’arte ed è anche la più astratta di tutte; ma è anche quella, secondo me, che più di tutte riesce a emozionare il suo fruitore. Parlando quindi da fruitore (e non da compositore in questo caso), io credo che non ci siano veri e propri parametri oggettivi per stabilire se una musica è più o meno valida di un’altra… diciamo che una buona cartina al tornasole per verificare se si tratti o meno di “musica vera” (per dirla alla Battisti) sia se ti muove qualcosa a livello emotivo o no quando la ascolti. Il che lascia inevitabilmente l’ultima parola alla soggettività. Se “per te” quella musica ti fa star bene e ti dà gioia “per te” quella musica è buona!
Il bello dell’arte dei suoni è che non deve e non può essere imbrigliata e imbavagliata in forme chiuse di analisi orizzontali e verticali per determinare sulla carta se funziona o meno: ho frequentato per 15 anni l’ambiente autoreferenziale accademico e ho capito che questo tipo di imposizione speculativa da intellettuali frustrati per determinare se è meglio Mozart o Stravinsky o Berio non porta proprio a niente. E’ un po’come il grafico: “capire la poesia” che il docente Robin Williams disegna in aula ai suoi studenti nel film “l’Attimo Fuggente”. Certo è assodato che per fare “musica vera” bisogna avere qualcosa da dire, essere motivati nel profondo dell’anima, spesso bisogna aver sofferto.
Molti però fanno musica senza aver niente da dire… e la musica che da essi scaturisce risulta sterile e inutile.
 
Davide
Veniamo al gruppo. In realtà nel disco suonano tantissimi musicisti e perfino un’orchestra d’archi. Non ci sono solo due ospiti illustri, ma tantissimi altri musicisti. E perfino un’orchestra d’archi. Perché siete tre e non, a questo punto, di più come un quintetto o un sestetto etc.? Come  gestite un materiale così ricco di strumentazione dal vivo?
 
Syndone
Eravamo in tre! Francesco si è tolto da Syndone poco tempo fa. 
Mah, diciamo che la scrittura è sempre comunque comune a una o massimo due teste. Il fatto poi che vi siano nel progetto un ventaglio di musicisti esterni che suona le parti scritte è un modo scaltro per tenere più “sotto controllo” il lavoro. Da un certo punto di vista, quando si ha chiaro che cosa dovrà venir fuori in un determinato album, avere la possibilità di “lasciare” le parti in mano a professionisti esterni, avulsi emotivamente dal progetto, non può che dare un risultato il più vicino possibile a quello che il compositore aveva in mente (e mi rifaccio qui alla definizione di “musica esatta” coniata da Leonard Bernstein negli anni settanta). In ogni caso, per i nostri concerti live, è stato riarrangiato tutto il materiale per sestetto: i Syndone dal vivo sono infatti un gruppo a sei elementi che mi piace qui ricordare: Riccardo Ruggeri (voce e chitarra acustica), Maurino Dell’Acqua (basso e taurus bass), Martino Malacrida (batteria), Marta Caldara (vibrafono e tastiere), Gigi Rivetti (piano e moog) e infine il sottoscritto Nik Comoglio (hammond, juno dist. e tastiere). Abbiamo come sempre una formazione senza chitarra elettrica per i motivi che ho sviluppato nella tua 4° domanda che verteva appunto sulla “trasformazione” di questo stile. Nei concerti che abbiamo tenuto ultimamente ho notato comunque che questa formazione ridà perfettamente tutti i pieni del disco… cioè non ho sentito lacune di suono o cadute timbriche durante i live.
 
Davide
Marco Minnemann e John Hackett. Come siete arrivati a loro e perché a loro in particolare (oltre al fatto, ovviamente, che sono dei grandi musicisti)?
 
Syndone
Per quanto riguarda Marco Minnemann, è stato un contatto di Francesco. Lui lo conosceva già per aver partecipato a una sua drum clinic e aveva la sua mail. L’abbiamo poi ricontattato in seconda battuta chiedendogli se gli interessava suonare la batteria sul progetto. Lui ci chiese le simulazioni midi per avere un’idea di massima del taglio musicale del nostro disco: dopo qualche giorno ci disse che l’idea e i pezzi gli piacevano e così accettò. John ebbe lo stesso iter ma fu più veloce perché suonò solo su una track.
Pensammo a Marco sia perché ha un drumming progressive molto attuale e fresco (e quindi avrebbe portato una nota innovativa all’interno del lavoro bilanciando le parti più tradizionali dell’album), sia perché ha veramente un “tiro” devastante difficilmente uguagliabile da qualsiasi altro batterista odierno.
 
Davide
Spingersi ancora e sempre oltre per “cercare” cosa o “per la stessa ragione del viaggio viaggiare”?
 
Syndone
Sì, potremmo riassumere che il viaggio è la méta stessa, non c’è mai un punto di arrivo. Lo stesso Odisseo, dopo il suo ritorno a Itaca ripartirà di nuovo.
Ho sempre ammirato le persone che cercano, che non sono mai sazie di conoscenza, che si spingono sempre oltre, che vogliono sapere cosa c’è al di là del muro.
Conosco, di contro, anche molte persone che si autodefiniscono “arrivate” perché possiedono questo o quello… smettono di studiare, di informarsi, di capire e di essere; addirittura spengono la mente e lasciano che la vita passi loro sopra inesorabile perché credono di aver raggiunto una stabilità sociale, economica o affettiva che magari dà loro un effimero senso di appagamento.
Non c’è nulla di certo purtroppo! Più si scava in profondità più ci si accorge che siamo lungi dal capire. Per quanto mi riguarda io voglio capire il più possibile finché posso perché credo sia questa l’essenza della vita.
 
Davide
Il mio lavoro esce lentamente, goccia a goccia. Lo strappo da dentro me ed esce in piccoli pezzettini. Così diceva Maurice Ravel. Come “esce” il vostro?
 
Syndone
Esattamente come quello di Ravel: a quanti!
Sin dalle prime stesure compositive scritte in forma di cellula o incipit fino all’ultimo minuto di audio mastering il nostro lavoro è un continuo rimescolare, riaggiustare, riarrangiare, ripensare, tagliare e ricucire, rianalizzare e riascoltare fino alla nausea ogni secondo del progetto. Come dicevo più su, rispondendo alla tua prima domanda, non lasciamo mai niente al caso: ogni cosa è messa “lì” perché è stata pensata per essere “lì”.
Forse è sbagliato: sappiamo che molti autori lasciano volutamente una cifra d’incertezza e d’improvvisazione nei loro dischi per creare una sorta di spontaneità esecutiva che renda più “caldo” l’impatto sonoro all’ascoltatore. Abbiamo provato anche noi un approccio simile, ma purtroppo la nostra musica non si presta ad accogliere zone random più, per così dire, “lasciate andare”… forse questo succede perché i nostri dischi sono quasi tutti scritti in parti obbligate dove c’è una griglia ben precisa da rispettare.
 
Davide
In fondo Odissèus significa “Colui che è odiato”. Cosa invece odiate voi?
 
Syndone
La politica agganciata alla musica.
La musica dovrebbe essere libera e autoaffermarsi grazie alla sua bellezza, alla sua potenza e alla sua comunicativa; non grazie a raccomandazioni e spinte politiche di vario tipo che ormai sono i cancelli forzati dai quali devi passare se vuoi farti sentire dal vivo. Il livello artistico musicale sta scendendo sempre di più a causa di questo problema… ma sembra che nessuno se ne accorga e che a nessuno, fondamentalmente, importi più di tanto.
 
Davide
Cosa seguirà adesso? Ci saranno dei concerti, avete già altri progetti?
 
Syndone
Abbiamo fatto tre bei concerti: uno in Spagna a Barcellona, uno a Milano in Casa di Alex e l’ultimo a Torino all’Hiroshima; in occasione di quest’ultimo abbiamo realizzato un video che presto potrete vedere in rete per apprezzare Syndone anche dal vivo.
L’idea è quella di spingere ulteriormente sui concerti live “tentando” di andare a suonare ai festival progressive. Dico “tentando” perché sto proponendo Syndone ormai da tre anni a tutti i festival italiani che contano ma poi leggendo le locandine vedo che vengono invitati sempre gli stessi nomi.
 
Davide
Grazie e à suivre…
 
Syndone bio
 
I Syndone nascono nel 1989 per volontà di Nik Comoglio, compositore e tastierista che con Paolo Sburlati (batteria) e Fulvio Serra (basso) dà vita a un trio di rock sinfonico senza chitarra elettrica, in stile ELP. “Volevamo un nome che evocasse insieme Sacralità, Torino, Spiritualità e Solchi Incisi (come un vecchio LP di vinile) così pensai a SYNDONE, con la “Y” per differenziarlo dalla reliquia e renderlo internazionale. Il nome infatti evoca subito Torino in qualunque parte del mondo ti trovi… e questo mi piaceva”… [Nik]
Dopo Spleen (1991) e Inca (1993), prodotti da Beppe Crovella degli Arti & Mestieri e apprezzati in tutto il mondo in un periodo particolarmente fiorente per la rinascita progressive, i Syndone si sciolgono e ciascuno dei musicisti seguirà percorsi diversi. Nel 2010 la band torna in pista con nuovi album che la riportano all’attenzione dell’audience internazionale: insieme a Nik Comoglio i rinnovati Syndone comprendono due musicisti di grande preparazione come Francesco Pinetti al vibrafono e timpani sinfonici e Riccardo Ruggeri al canto. Melapesante (Electromantic 2010) e La bella è la bestia (BTF 2012) sono i due album del nuovo corso Syndone e ottengono anche grossi apprezzamenti dalla stampa specializzata di tutto il mondo.
Nel 2013 il trio è di nuovo in studio per il suo progetto più ambizioso: il concept album Odysséas, che viene pubblicato nel febbraio 2014 dalla Fading Records, collana progressive della AltRock, etichetta italiana tra le più seguite all’estero. Per l’occasione Comoglio, Pinetti e Ruggeri raccolgono una squadra di collaboratori, tra i quali due imponenti special guest: il popolare batterista tedesco Marco Minnemann (Aristocrats, Steven Wilson, Levin Minnemann Rudess etc.), che suona in tutte le tracce del disco, e il flautista inglese John Hackett, fratello dell’ex Genesis Steve Hackett.

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