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Intervista con Nik Comoglio

17 min read

 
Comunicato stampa di Synpress 44
 
Apprezzato da Dario Fo e Franca Rame per la sua sensibile e personale interpretazione del Mistero Buffo, il nuovo album del musicista torinese guarda alla musica classica e al jazz dopo l’esperienza delle opere rock. Nasce la ‘Mésaillance’
Acqueforti: il nuovo disco di Nik Comoglio.
 
Acqueforti
La nuova opera di Nik Comoglio
(4 brani, 53 minuti)

La cultura, la natura e la spiritualità sono l’anima di Acqueforti, il nuovo album del compositore Nik Comoglio, che con raffinata leggerezza e un’inclinazione mai sopita verso la fusione di diversi generi, classico e jazz ad esempio, compie un’evoluzione del progressive delle origini, un incontro e un gioco di impegno e lirismo. Non è possibile chiudere Acqueforti in un genere o stile ed è l’autore stesso che ne propone il nome – Mésaillance – per una nuova idea di musica colta, che parte dal presupposto che l’espressione e l’emozione sono il fulcro attorno al quale ruota tutto il lavoro di contaminazione di linguaggi e di esperienze. La cultura personale dell’autore gli ha consentito di reinterpretare Maria alla croce, un brano di Dario Fo tratto dal Mistero Buffo, con profondo rispetto e animo commosso, tanto da aver avuto anche l’apprezzamento del Maestro e di Franca Rame,  prima e superba interprete. Acqueforti si avvale di professionisti giovani ma affermati e ispirati come Umberto Clerici, che dona al violoncello molteplici colori; Didie Caria e Chiara Taigi, quest’ultima nella difficile e suggestiva interpretazione di Maria. Acqueforti, composto e orchestrato da Nik Comoglio, è stato realizzato con l’Orchestra Filarmonica di Torino, diretta dal M.ro Luciano Condina, e il Trio di Torino (Lamberto, Clerici, Fuga). E’ stato masterizzato da Andy Walter nei celebri studi di Abbey Road a Londra.
Un disco affascinante, che si ascolta con piacere e agevolezza nonostante la complessa architettura che lo sostiene, e ha il pregio di spingere all’estremo la tradizione e l’innovazione in un unico “ambiente”. Potremmo definire Nik Comoglio un’esploratore della contemporaneità per la sua ampia vena compositiva e per il suo carattere sempre alla ricerca di nuove modalità espressive. Il progressive con i Syndone negli anni ’90, le colonne sonore, il teatro, dopo Tarot – La spirale del Tempo e Anima di legno, due opere dal carattere “esoterico”, segno di una maturazione artistica profonda e continua, Comoglio approda ad Acqueforti con entusiasmo, confronto e impegno.
Le composizioni di Nik Comoglio sono spesso eseguite nell’ambito di concerti di musica classica e contemporanea, come il 19 dicembre 2008 al Rotary Club di Torino e il 10 giugno 2009 al 36mo Convegno Nazionale dell’Associazione Italiana di Acustica. Si potrà apprezzare la sua vena compositiva il 24 settembre 2009 per il concerto di Umberto Clerici con l’Orchestra Sinfonica di Rivoli presso il Conservatorio di Torino assieme a quelle di Sollima, Mozart e Haydn.  
 
Info:
Nik Comoglio
 
Biografia
Dominik Comoglio in arte Nik, è nato a Torino.
Consegue diploma di maturità scientifica e laurea in architettura.
Studia privatamente pianoforte con il M° Roberto Musto e composizione con il M°. Aldo Sardo, attualmente docente di armonia e contrappunto al Conservatorio G.F.Ghedini di Cuneo.
Nel 1982 inizia ad occuparsi di musica durante gli anni dell’università lavorando per alcuni studi di registrazione di Torino, realizzando alcuni jingles pubblicitari e una colonna sonora per il film, presentato al Festival Cinema Giovani di Torino: “PIU’ PER GIOCO CHE PER PASSIONE”, premiato con il premio Aiace dalla critica nel 1983.
Dal 1988 al 1993 forma il gruppo di new prog: “Syndone” con cui realizza due CD: “SPLEEN” e “INCA”, prodotti da Beppe Crovella e distribuiti dalla label milanese indipendente “Vinyl Magic” s.a.s. in tutta Europa ed in Giappone.
Nel 1994 è a Londra; concerti live in svariati clubs e teatri per promuovere i due CD.
Nel 1995: entra in collaborazione freelance con l’agenzia pubblicitaria J.W.Thompson di Milano, realizzando la musica per alcuni spot pubblicitari (Pioneer, Palio, Martini e altri).
Dal 1996 al 1997 collabora con l’attore e cantautore Duilio del Prete per l’allestimento di uno spettacolo teatrale su Jaques Brel dal titolo: “SE C’E’ SOLO L’AMORE”, arrangiando e suonando dal vivo alcune delle più note canzoni dell’artista belga reinterpretate in italiano da Del Prete.
Dal 1999 al 2002 compone e realizza la musica per il musical: “LA RETE DI ULISSE”, che si ispira all’ultima parte dell’Odissea di Omero e del ritorno in patria di Ulisse.
Nel 2003 realizza la colonna sonora per il cortometraggio noire: “Password” del regista e sceneggiatore Pasquale Ruju..
Dal 2004 al 2005 compone e realizza l’album “TAROT , La Spirale del Tempo”. Un’opera lirica moderna in forma di suite minimale per balletto contemporaneo e orchestra da camera, ispirata alle figure simboliche degli Arcani Maggiori dei Tarocchi, distribuito attualmente da due etichette francesi: “Musea” (Metz) e “121 Music Store” (Montpellier).
Nel 2007 realizza un nuovo lavoro dal titolo: “ANIMA DI LEGNO”, un’ opera basata sul racconto di C. Collodi: “Le Avventure di Pinocchio” per balletto contemporaneo, soprano, baritono e voce leggera, coro e orchestra + ottetto jazz, distribuito anch’esso attualmente dalle medesime etichette francesi di cui sopra.
Nel 2008 ottiene la liberatoria dal Maestro Dario Fo per utilizzare alcune parti del testo di “Mistero Buffo” per la composizione di una nuova Opera minimalista intitolata: “Maria alla Croce” tratta appunto dal sopraccitato testo teatrale.
Scrive inoltre tre movimenti per violoncello e orchestra dedicati al violoncellista solista Umberto Clerici intitolati: “La Roue de Fortune”, “Canto della Natura” e “Primavera dei Tirreni” .
Nel 2009 scrive un Piano Trio dal titolo “Cedrus Libani” dedicato al Trio di Torino
Questi tre movimenti per violoncello e orchestra, l’Opera “Maria alla Croce” ed il Piano Trio costituiscono il corpus del prossimo lavoro totalmente classico, che uscirà in Aprile 2009 dal titolo: “ACQUEFORTI”
Oltre la direzione ormai intrapresa verso la scrittura di musica classico/contemporanea a commissione o libera per balletti, colonne sonore, sottofondi per voci recitanti , teatro d’avanguardia e classico, lavora regolarmente nel suo studio di registrazione DISCODARTE a Torino in cui realizza anche demo, promo, jingle pubblicitari, commenti sonori, lavori per solisti o gruppi di musicisti classici e non; trascrizione di partiture con programma SIBELIUS 3 e 4; collabora con cantanti e musicisti dell’area torinese e non, nonché con strumentisti e coristi del Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Torino, con gli allievi della Scuola di Alto Perfezionamento Archi di Saluzzo, e con i musicisti del Teatro Regio di Torino.
 
Davide
Buongiorno Nik. Possiamo, per intanto, darci del tu? Il tuo disco è una delle cose migliori di cui mi sia capitato parlare da molti anni a questa parte. Se dovessimo mettere una cornice a queste composizioni, potremmo dire che le tue “acqueforti” si collocano tra le avanguardie classiche del tardo Ottocento e del primo Novecento? Non farei dei nomi rievocati in particolare, ma si avverte che la tua opera è molto varia e svincolata storicisticamente, un po’ come fu l’opera di Richard Strauss; o  in evoluzione, com’è stato nello stile di tutti i compositori del cambiamento e di continua innovazione dal tardo romanticismo in poi (Skrjabin, Debussy, Respighi, Malipiero eccetera). Nel comporre la tua musica, verso quali compositori e lezioni in particolare rivolgi maggiore attenzione? Chi ha lasciato la più rilevante impronta nel tuo DNA di compositore e perché?
 
Nik
E’ indubbio che una certa impronta di “sinfonismo” tardo romantico è presente nella musica di “Acqueforti” sebbene sia alleggerita nella forma e negli organici orchestrali che sono più modesti e volutamente più snelli di quelli della tradizione tardo ottocentesca a cui ti riferisci. La strumentazione più sottile ed agile comprime il tutto in un ambito più moderno e tenta di approdare ad uno stile più personale ed in evoluzione, aprendo a sonorità jazz e “progressive” che io considero, da sempre, vettori di freschezza e libertà espressiva nel campo musicale sia colto sia extracolto.
Sicuramente, il linguaggio del primo novecento mi influenza da sempre moltissimo; autori come Stravinsky (primo grande autore prog. della storia), l’ultimo Debussy, Ravel, Bernstein, il Prokofiev dei ballèts o Bartòk, sono stati fondamentali per lo sviluppo del mio stile, ma nello stesso tempo non posso non considerare fondamentale per me lo studio dell’ “Arte della Fuga” di J. S. Bach; una delle cose più attuali e geniali mai scritte! Proprio Bach, credo, sia l’autore che più mi ha influenzato, per la sua enorme modernità e la sua concezione di musica “orizzontale” così fresca e inimitabile che conserva in sé una solennità ed una profondità senza confronti.
 
Davide
Dalle contaminazioni classiche della musica progressive dei Syndone a una forma più pura ed esatta di musica classica. Una evoluzione tutto sommato in linea per molti autori progressive (penso per esempio al piano concerto no. 1 di Keith Emerson). Tuttavia non hai fatto del tutto a meno del progressive anche in Acqueforti (qualcosa del linguaggio del jazz e del progressive stesso, l’organo Hammond…) e, se non sbaglio, è previsto un ritorno quest’anno anche dei Syndone con un nuovo disco. Ce ne puoi parlare?
 
Nik
Come dicevo prima, considero la musica jazz e la musica prog. molto vicine alla definizione di “musica colta”, sebbene per molti puristi non sia così.. e mai lo sarà!
Ci sono stati, nel passato, grandi musicisti jazz e grandi gruppi prog. che dovrebbero essere ricordati e studiati al pari dei grandi Maestri classici anche solo per il loro importantissimo ruolo di “traghettatori”: Parker e Gillespie, Ellington, Brubeck e Miles Davis per citarne alcuni… Peter Gabriel con i Genesis ha veramente aperto un mondo armonico e drammaturgico totalmente nuovo nel rock all’inizio degli anni 70… cosi come i King Crimson di Fripp, i Gentle Giant, e via discorrendo.
Quindi, se di evoluzione si tratta, ben vengano questi stili in aiuto della classicità, per una nuova classicità!… Il solo problema è il mercato, che non sa più dove collocarti perché non soddisfi appieno i suoi segmenti di vendita precostituiti.
Per quanto riguarda Syndone invece, ci sarà presto un ritorno con un nuovo album, ma con nuova formazione; sarà un lavoro molto interessante sia per lo stile compositivo dei brani, sia per il contenuto delle liriche…. e sarà un lavoro d’equipe che fonderà insieme il bagaglio culturale di ciascun musicista.
Posso anticipare che cercheremo un suono “diverso e moderno” in linea con i nuovi stimoli delle varie avanguardie e gli inputs espressivi di quasi quindici anni di ricerca personale timbrica, armonica e ritmica nei diversi generi che ciascuno di noi ha perseguito.
 
Davide
A proposito di musica esatta, termine che si è voluto sostituire a quello di “musica classica”, cosa pensi dei limiti della notazione? Non è infatti vero che molta musica contemporanea sia difficilmente scrivibile con la notazione convenzionale (vedi per esempio i microtoni, gli sforzi di Bussotti o di Xenakis per tradurre sulla carta suoni e modi che non hanno altrimenti un segno universalmente riconosciuto e studiato, quindi riproducibile da altri musicisti attraverso lo spartito)? Quindi, tutt’altro che esatta…
 
Nik
Il termine “musica esatta”, coniato da Bernstein, si applica bene alla musica tonale e alla notazione tradizionale.
Quest’ ultima, però, risulta non del tutto efficace quando si tratta di mettere sulla carta particolari effetti timbrici ottenuti con strumenti classici. Molti compositori ricorrono infatti a segni nuovi, originali e molto liberi per indurre l’esecutore là dove loro vogliono ci sia un certo tipo di “effetto/impatto” sonoro in un “determinato momento”. Siamo nel campo della ricerca timbrica e a questo proposito potrei citare:  “Intermedi e Canzoni” composizione per trombone solo di Azio Corghi (con cui ho la fortuna attualmente di collaborare per il progetto “Timur”), in cui il “segno nuovo” in partitura è fondamentale per ampliare e chiarire all’esecutore le possibilità timbriche di questo strumento fino ai limiti estremi della sua potenzialità.
E’ quindi vero che potrebbe esistere una parte di “inesattezza” nell’esecuzione di questa musica, poiché la notazione si riduce spesso ad un segno grafico impersonale; ma è pur vero che se questa inesattezza rimane compresa nel cerchio astratto dell’interpretazione umana non può che aumentarne il valore artistico.
Per quanto mi concerne, dato che non sono diretto verso l’atonalismo ma, anzi, considero da sempre la tonalità come l’essenza stessa della musica, continuo a pensare che nella vecchia notazione ci siano tutte quelle possibilità grafiche che mi servono per dire ciò che voglio.
L’esattezza di interpretazione non deve essere mai sinonimo di meccanicità.
 
Davide
“Maria alla Croce”, testo tratto da Il Mistero Buffo di Dario Fo e Franca Rame… Il tuo oratorio (possiamo definirlo così?), è bellissimo e commovente, per certi versi “pasoliniano”. Come nasce e cosa ha espresso al riguardo Dario Fo?
 
Nik
Il tutto ha inizio lo scorso anno quando per caso vidi  in un programma televisivo una giovanissima Franca Rame recitare dal vivo un brano dal “Mistero Buffo” di Dario Fo, appunto “Maria alla Croce”. Il testo del “Mistero Buffo” non mi era sconosciuto, anzi, ne avevo in casa ben due edizioni, ma avevo letto solo le parti concernenti il grammelot e le parti a carattere più profano.
Così corsi velocemente a rivederlo e mi rilessi “Maria alla Croce”.
Fu come una rivelazione! Questo testo mi colpì così profondamente e mi entrò così dentro che non riuscii più a pensare ad altro che a quello per diversi giorni.
Altrettanto velocemente realizzai che quel testo non aveva ancora  musica, che era uno Stabat Mater anomalo e nuovo e che era di una forza e di una drammaticità inaudita!
E’ difficile spiegare come arrivai alla melodia principale, ma quando si ha a che fare con elementi narrativi di questa intensità, sembra quasi che la musica stessa voglia farsi strada attraverso di te venendoti praticamente a cercare.
Per ovvie esigenze di durata, insieme al Maestro Claudio Ottavi Fabbrianesi che ha curato la scelta delle parti di testo e scritto le due liriche: “Gabriél” e “Sospiro del tuo pianto”, abbiamo dovuto eseguire dei tagli, necessari a ridurre l’originale intero che era troppo lungo e variegato per una semplice operazione discografica; così scrissi al Maestro chiedendo il permesso di utilizzare alcune parti di “Maria alla Croce” perché avevo intenzione di musicare in parte l’opera.
Con mia felice sorpresa il Maestro acconsentì e mi fece sapere di gradire la cosa esprimendo il desiderio di ascoltare poi il prodotto finale prima dell’eventuale masterizzazione definitiva.
La scrittura mi impegnò per qualche mese perché cercavo, come sempre, di usare un linguaggio musicale più originale possibile e che fosse soprattutto all’altezza del testo, senza cadere in banalità armonico/descrittive da colonna sonora di film o in patetiche reminiscenze canore da melodramma ottocentesco. Volevo creare qualcosa di nuovo e così pensai ad una partenza minimalista secca con voci recitanti, oud e quartetto d’archi  per poi lentamente ispessire e ammodernare il suono con l’aggiunta di altri strumenti classici e non, cambi ritmici ed armonici in un crescendo sonoro e drammatico che avrebbe visto il culmine nell’esplosione sinfonica orchestrale finale. L’uso della voce lirica di Maria (Chiara Taigi) unito alla voce leggera del Cristo (Didie Caria) e a cinque voci di attori recitanti nell’originale dialetto padano del trecento fedele al testo, avrebbero conferito al tutto una dimensione di “Oratorio” veramente fuori dal comune e totalmente nuova.
Il risultato andò oltre le mie aspettative e piacque al Maestro che ci inviò anche una mail in cui faceva i complimenti al gruppo di lavoro. 
Inutile dirlo…fu una grande soddisfazione per me!
 
Davide
Maria alla Croce, Gabriel o la “Forza di Dio”… Il trio Cedrus Libani… il cedro ha valore di simbolo religioso di origine biblica, come nell’Immacolata del pittore Marco Palmezzano… Nella rappresentazione fatale della ruota della fortuna sono raffigurati a volte i quattro evangelisti… C’è, insomma, una profondità religiosa o spirituale inconfutabile nel tuo disco, che tuttavia condividi con qualcosa di panico, terreno o naturale (Primavera dei Tirreni, La Roue de fortune, Canto della Natura, lo stesso impasto medievale e popolaresco di dialetti nel testo di  Maria alla Croce). Tra spirito e natura tutto evolve continuamente in precario equilibrio, sacro e profano, alto e basso… Cosa cerchi di conoscere e di comunicare con la tua musica da questo punto di vista?
 
Nik
Questa è una bellissima domanda che mi fa capire quanto attentamente hai analizzato la mia musica e quanto profondamente tu l’abbia  ascoltata… e di questo ti ringrazio!
Oltre al fatto artistico della composizione in sé, il gusto dell’interpretazione e il suo indiscusso valore catartico, la musica deve essere anche un veicolo astratto di avvicinamento spirituale all’essenza delle cose; un modo per svelare la simbologia rendendola meno incomprensibile, un modo per mettere a confronto Natura e Spirito, un modo intimo e personale di avvicinarsi a Dio (se crediamo in Dio) o a quello che ciascuno di noi ritenga sia Dio.
Fa parte del mio concetto speculativo di vivere una vita “sempre alla ricerca”, approfondire ed analizzare ciò che succede quotidianamente intorno a me; e quando riesco ad emozionarmi per un fatto qualsiasi, voglio condividere questa emozione con gli altri nell’unico modo in cui sono capace: attraverso la musica!, che rappresenta, per me, il livello più profondo di comunicazione dell’uomo. La musica fine a se stessa non mi interessa e non mi ha mai interessato! Sono sempre stato convinto che essa debba fungere da veicolo per elevarci, per renderci più felici attraverso ciò che noi abbiamo di più sacro: la natura, lo spirito, l’amore, l’amicizia, il dolore… troppo spesso ci dimentichiamo di queste cose perché viviamo in un periodo “vuoto”, ma non ancora per molto. Presto dovremo ritornare a guardarci dentro ed interiorizzare meglio questi valori dimenticati, perché non potremo più ignorare od aggirare ciò che è parte inscindibile della nostra essenza di esseri illuminati.
 
Davide
Perché il progressive in senso stretto ha smesso di evolversi, conditio sine qua non delle origini? Voglio dire, che senso ha fissare e continuare dei canoni divenuti ormai predeterminati per definire e riproporre il progressive, come ad esempio certa strumentazione vintage ritenuta ormai d’obbligo? Il progressive non doveva essere qualcosa in continua e libera trasformazione e innovazione? Qualcosa che somigli di più al tuo Acqueforti che a tanto altro mero e canonico revival dei modi e dei suoni?
 
Nik
Tu dici bene, e io concordo in pieno con questa tua affermazione: l’etimologia stessa della parola “progressività” indica una cosa che non sta mai ferma ma evolve di continuo.
Tuttavia il mondo dei fruitori di musica prog. “vecchio stampo” non ama particolarmente le novità, specialmente in senso timbrico. Sembra strano ma posso dirti , per esperienza personale, che nel momento in cui tu cambi “quel” tipo di strumentazione vintage, anche solo in parte, diventi meno riconoscibile all’interno del genere. Il mio esperimento con “Tarot” ne è stata la conferma.
“Tarot”, come ho spesso avuto occasione di dire, rappresenta un autentico disco progressive suonato con strumenti non progressive. L’impianto e la struttura dei brani (22, come gli arcani appunto), sono tipicamente prog; ciò che cambia è il timbro: l’uso degli strumenti classici al posto dei vari moog, synth, taurus bass, mellothron e quant’altro è stata la mia scelta prioritaria. Se i solisti e le parti strette di “Tarot” venissero risuonate con gli strumenti sopraccitati, viene magicamente fuori un grande disco prog: ma purtroppo, per questa ragione, non è stato capito. Il mondo della musica prog non riesce a prescindere da “questi” suoni, nonostante tutte le altre variabili siano in pieno accordo con la letteratura e con il brief del progressive più classico.
L’audience del prog concede solo pochissime variazioni sul campo al musicista… voglio dire che i tentativi di innovazione artistica devono essere dosati col contagocce! Questa forse è la risposta al fatto che questa musica ha smesso di evolversi, al contrario di altri generi musicali paradossalmente più reazionari.
 
Davide
Torino… A quali pagine musicali penseresti, se tu volessi descriverla musicalmente?
 
Nik
Nonostante Torino sia prevalentemente una città in stile barocco, non mi ha mai ispirato musica corrispondente a questo periodo: ho sempre pensato a Torino come un motore pulsante, sotterraneo; la sua trama ortogonale, squadrata e pratica del “castrum” romano mi ha sempre indotto a pensare a compositori freddi, pragmatici, pagine di Schoenberg ad esempio, che attraverso la “costruzione seriale” evocano la meccanicità del ritmo imposto dalla fabbrica, il clima freddo, ma anche il grande fermento intellettuale nascosto, la cultura e il gusto già quasi francese dei suoi abitanti. In questo senso Torino mi fa tornare in mente anche compositori più cerebrali come Ligeti o Bartòk oppure, diversamente, al free jazz di Ornette Coleman.
 
Davide
L’acquaforte non è soltanto la stampa artistica, ma anche qualcosa di molto corrosivo. E’ infatti l’antico nome dell’acido nitrico. Il tuo disco ha per me un grande mordente e potere corrosivo, a cominciare dal fatto che, anche se gentilmente, intacca fin da subito la dilagante superficialità odierna dei sentimenti, delle emozioni in musica e dell’ascolto. Era questo uno dei significati nella scelta del titolo?
 
Nik
L’acquaforte rappresenta, per me, la forma più bella di espressione nell’arte grafica; è una tecnica molto difficile e laboriosa che presuppone una grande preparazione alle spalle e, come l’acquerello, non concede nulla!
La tua similitudine tra la “morsura” dell’acido nitrico sulla lastra di zinco riferita all’idea di un potere corrosivo dell’attuale superficialità musicale dilagante, mi sorprende positivamente perché è un valore aggiunto molto importante che hai saputo cogliere da questo disco e che mi ha fatto molto piacere scoprire.
E’ indubbiamente un lavoro “denso” di significati e di simbologia, che come dicevo più sopra, ha un carattere comune con la mia idea di vita “sempre alla ricerca”, un carattere che vuole stimolare a pensare, a riflettere sulla storia (Mistero Buffo), sulla Natura (Primavera dei Tirreni), ma anche ad invadere il campo del simbolismo (il Cedro e La Ruota della fortuna), inteso come metodo di conoscenza archetipico. I miei lavori hanno e avranno sempre questo minimo comune multiplo.
 
Davide
Ho letto che hai una laurea in architettura; qual è il tuo personale, non solo metaforico, connubio tra architettura e musica?
 
Nik
Su questo argomento ci sarebbe da scrivere un libro.
Ho sempre pensato che tra musica ed architettura ci fosse un certo legame anche se come forme d’arte esse stanno agli estremi opposti: la musica è l’arte astratta per eccellenza mentre l’architettura è l’arte più legata alla materia ed alla scienza, quindi la più tangibile. Ambedue, però, vivono di pieni e vuoti, di luce ed ombra, di ritmo e propagazione nello spazio orizzontalmente e verticalmente. C’è qualcuno che ha tentato di unificare suono e spazio attraverso il tentativo di musicare i frattali (forme geometriche derivanti da equazioni non lineari tratte dalla teoria del caos) idea alla quale pensai seriamente durante la mia tesi di laurea che però non ebbe fortuna per la complessità intrinseca della sua sperimentazione. Però sulla carta funzionava! Stabilendo delle relazioni matematiche tra suoni ed elementi spaziali attraverso la proprietà dell’autosomiglianza di un frattale si poteva porre il punto di partenza per generare un nuovo alfabeto di timbri che avrebbe permesso di comporre il “suono di un edificio” o di “una cattedrale” o di un qualsiasi elemento tridimensionale complesso.
 
Davide
Cosa c’è in agenda per quest’anno?
 
Nik
1) Progetto “Timur”: Masterclass a Sesto fiorentino patrocinato e finanziato dalla UE sulla scrittura per musica teatrale diretto da Azio Corghi e Walter Malosti, che avrà come culmine uno spettacolo con rappresentazione a fine novembre.
2) Nuovo album Syndone, per la produzione di Beppe Crovella, con uscita prevista per luglio 2010.
3) Presentazione del mio lavoro del 2007 “Anima di legno” al “New York Musical Festival” per la stagione 2010.
4) Una commissione di un quintetto per ottoni dedicato ai Gomal Brass
5) Partecipazione al concorso Film Scoring di Cleveland per musica da film.

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