(Trattamento Sanitario Obbligatorio[1])
La salute è uno stato provvisorio,
che non presagisce niente di buono.
Oscar Wilde
L’articolo 32 della Costituzione italiana assegna alla Repubblica il compito di tutelare la salute come fondamentale diritto dell’individuo (senza alcuna distinzione, quindi, fra cittadini e non cittadini), e interesse della collettività, oltre che di garantire cure gratuite agli indigenti; il secondo comma dispone che “
nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Di conseguenza i trattamenti sanitari, intesi come quelle “attività diagnostiche e terapeutiche finalizzate alla prevenzione o cura di uno stato morboso”, devono essere di regola volontari, cioè conformi alle scelte del paziente nell’esercizio del diritto alla disponibilità del proprio corpo. Principio fondamentale previsto dalla Costituzione è quello della inviolabilità della libertà individuale (art.13), da cui discendono la libertà di pensiero e comunicazione (art.21), di riunione e associazione (art.17-18), di circolazione e soggiorno (art.16), l’inviolabilità del domicilio (art.14), che può essere oggetto di ispezioni e accertamenti per motivi di sanità solo in base a leggi speciali; in una parola l’
inviolabilità della persona fisica, è quel principio costituzionale, che impone a qualsiasi intervento medico di fondarsi sul consenso valido, libero, esplicito e consapevole del paziente
[2].
La “riserva di legge”, prevista dall’art.32 della Carta, relativa agli interventi sanitari ai quali una persona può essere assoggettata coattivamente, è stata recepita dalla Legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (L.23/12/1978, n.833
[3]), che all’art. 33 espone le norme generali cui tali trattamenti (previsti, ad esempio, per talune malattie infettive e diffusive e per le vaccinazioni), devono improntarsi
[4]. Gli accertamenti (nel caso si parla di A.S.O.), ed i Trattamenti Sanitari Obbligatori sono attuati dai presìdi sanitari pubblici territoriali e, quando sia necessaria la degenza, dalle strutture pubbliche o convenzionate; sono disposti con provvedimento del Sindaco (ordinanza), nella sua qualità di autorità sanitaria, su proposta motivata di un medico; inoltre, queste “prestazioni” devono essere accompagnate da iniziative “
rivolte ad assicurare il consenso e la partecipazione da parte di chi vi è obbligato[5]”. Risulta rilevante la disposizione per la quale “
Nel corso del trattamento sanitario obbligatorio, l'infermo ha diritto di comunicare con chi ritenga opportuno”. E’ prevista anche una “garanzia procedurale” laddove si stabilisce che “
Chiunque può rivolgere al sindaco richiesta di revoca o di modifica del provvedimento con il quale è stato disposto o prolungato il trattamento sanitario obbligatorio”
[6].
Nella stessa legge sono anche inserite le disposizioni per i trattamenti sanitari relativi alle malattie mentali (artt. 34 e 35 L.833/1978), articoli che hanno recepito integralmente i principi innovativi stabiliti da una legge emanata pochi mesi prima, la legge 13 maggio 1978, n.180 (conosciuta come Legge Basaglia dal nome del medico che la ispirò), e diretta a riformare tutta la normativa relativa alla cura ed alla “custodia” dei malati di mente. L’obiettivo fondamentale del legislatore è stato quello di ricondurre la malattia mentale tra le normali patologie per le quali devono essere previste terapie rivolte principalmente alla tutela della salute del paziente, e non solo alla protezione della società, abrogando la vecchia normativa del 1904, ispirata al superato principio della “custodia” in manicomio
[7].
In particolare l’art.34 ha delegato le Regioni ad istituire, con propria legge, servizi a struttura dipartimentale (presìdi territoriali di norma extraospedalieri), che svolgono funzioni preventive, curative e riabilitative relative alla salute mentale; la maggioranza dei malati di mente, infatti, sono assistiti ambulatorialmente dai servizi psichiatrici territoriali (centri psicosociali di zona, cui i pazienti accedono a titolo “volontario").
Il IV comma dell’art.34 prevede che il Trattamento Sanitario Obbligatorio per malattia mentale può prevedere che le cure vengano prestate con ricovero coatto in Ospedale solo se:
· esistano alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici,
· se gli stessi non vengano accettati dall'infermo,
· e se non vi siano le condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extraospedaliere
[8].
Il provvedimento deve essere, dunque, basato sulla richiesta motivata di un medico e confermata (convalidata) da un medico della struttura pubblica (A.U.S.L.); le tre condizioni devono essere presenti contemporaneamente.
La procedura, di quello che risulta di fatto “un internamento”, scatta generalmente nei confronti di soggetti, il più delle volte già conosciuti dai servizi territoriali, che manifestano, attraverso il compimento di azioni eclatanti e pericolose (minaccia di suicidio, minaccia o compimento di lesioni a cose e persone, oppure di segno negativi stico, come il rifiuto di comunicare e conseguente isolamento, rifiuto di terapia, rifiuto di acqua e cibo), un acutizzarsi del disturbo psichico
[9]. In questi casi i familiari conviventi (o in loro assenza i vicini), chiedono aiuto allo psichiatra del servizio (quando con questo è già in corso una terapia o comunque è già stabilito un contatto), oppure chiamano direttamente l'ambulanza e/o le forze dell’ordine. In realtà, le forze dell’ordine vengono chiamate soltanto in casi di estrema pericolosità o violenza, oppure nell'ipotesi in cui il paziente rifiuti di recarsi in Ospedale spontaneamente. A questo punto un medico, che può essere il medico dell'ambulanza, lo psichiatra del servizio pubblico giunto sul posto, o anche il medico di famiglia, redige una proposta di Trattamento Sanitario Obbligatorio, motivandola sinteticamente
[10]. Accade spesso che, sia la proposta che la convalida, vengano effettuate da medici del servizio psichiatrico di diagnosi e cura (S.P.D.C.), essendo di fatto il T.S.O. una misura adottata nei confronti di persone, già conosciute dai servizi e soggette ripetutamente nel tempo a ricoveri. Perciò in questo caso, quando i familiari o l'ambulanza chiamano il servizio, i medici si organizzano anticipatamente predisponendo e firmando in tempi brevi i due certificati richiesti dalla legge
[11].
Il provvedimento con il quale il Sindaco dispone il T.S.O. con ricovero in ospedale, da emanarsi entro 48 ore dalla convalida medica di cui sopra, deve essere notificato, entro 48 ore dalla sua attuazione/ricovero, tramite messo comunale, al Giudice Tutelare competente per territorio.
Il Giudice Tutelare, entro le successive 48 ore, assunte le informazioni e disposti gli eventuali accertamenti
[12], provvede con decreto motivato a convalidare o non convalidare il provvedimento e ne dà comunicazione al Sindaco. In caso di mancata convalida il Sindaco dispone la cessazione del T.S.O. in ospedale (art.35 II comma).
Il momento della procedura più controverso è quello riguardante l'intervento della Polizia Municipale o di rappresentanti delle forze dell'ordine (Carabinieri e Polizia di Stato). I Vigili non potrebbero intervenire prima dell'emanazione dell'ordinanza del sindaco; sennonché i casi in cui si rende necessaria una misura così drastica come un ricovero coatto, sono caratterizzati da un'estrema urgenza ed i tempi dell'emergenza psichiatrica, a detta degli operatori, sono molto più stretti rispetto a quelli previsti dalla legge. Dunque il più delle volte non si riesce ad ottenere l'emanazione dell'ordinanza prima del ricovero
[13]. In un primo momento, i Vigili intraprendono una vera e propria azione di convincimento dell'interessato; tentano di tranquillizzarlo e persuaderlo dell'utilità del ricovero. Quasi sempre tale azione ha successo e non occorre poi usare la forza. Se ciò non avviene il paziente viene prelevato e messo in ambulanza. In questa operazione i Vigili sono assistiti dal personale dell'ambulanza, raramente è presente anche lo psichiatra del servizio pubblico
[14].
Le stesse procedure devono essere adottate per il proseguimento del trattamento oltre il settimo giorno, sulla base della richiesta motivata del sanitario responsabile del servizio psichiatrico al Sindaco, il quale ne dà comunicazione entro 48 ore al Giudice Tutelare, indicando la ulteriore durata presumibile del trattamento stesso
[15]. A conclusione dei sette giorni, qualora non sia già stata presentata dallo psichiatra del S.P.D.C. una richiesta di prolungamento, il trattamento termina. Il medico del servizio psichiatrico è tenuto a comunicare al Sindaco la cessazione delle condizioni richieste per il trattamento. Il Sindaco, entro 48 ore dal ricevimento della comunicazione dello psichiatra, emette un'ordinanza di revoca e ne dà comunicazione al Giudice Tutelare.
Il VI comma dell’art.35 L.833/1978, prescrive anche che: “Qualora ne sussista la necessità il giudice tutelare adotta i provvedimenti urgenti che possono occorrere per conservare e per amministrare il patrimonio dell'infermo”.
E’ prevista la possibilità di ricorrere al Tribunale territorialmente competente contro i provvedimenti adottati, da parte del malato o di chiunque vi abbia interesse, anche e sopratutto da parte del Sindaco il cui provvedimento di ricovero coatto non sia stato convalidato (art.35 VIII/IX comma); la legge, inoltre, prescrive particolari procedure che si discostano da quelle dei procedimenti giudiziari ordinari, come la possibilità che la causa si svolga senza necessità per le parti dell’assistenza di un difensore ma con la rappresentanza di una persona semplicemente munita di mandato
[16].
In linea generale, è difficile che un T.S.O. termini nei sette giorni previsti dalla legge. Talvolta si procede ad una dimissione entro 2-3 giorni dal ricovero, risultando questo, in un secondo momento, improprio: il paziente supera in breve tempo la crisi, senza che risulti affetto da un vero e proprio disturbo psichico, quanto piuttosto da un disturbo “comportamentale”, il più delle volte legato all'abuso di alcool o sostanze stupefacenti. Altro caso in cui il T.S.O. può risolversi nel termine di pochi giorni, senza peraltro che a ciò segua una dimissione del soggetto, avviene quando il paziente accetta le cure e dunque il ricovero viene trasformato da obbligatorio in volontario. Certo può verificarsi anche il contrario: un paziente giunto in reparto volontariamente non accetta in un secondo tempo le cure ritenute necessarie dai medici che decidono perciò di inoltrare una proposta di T.S.O.
L’attuazione delle procedure di ricovero coatto, in oltre 35 anni dalla loro vigenza, ha creato per la sua complessità numerosi problemi al personale del Servizio Sanitario pubblico, chiamato ad una delicata valutazione e scelta tra l’obbligo di rispettare le procedure legali poste a tutela della libertà individuale, e l’obbligo di intervenire nei casi di stato di necessità e non incorrendo nei reati di omissione di soccorso o abbandono di incapace
[17]. Tanto che l’opinione diffusa fra gli operatori del settore propende per ritenere il T.S.O. un provvedimento di scarsa efficacia ed utilità per il suo essere diretto soprattutto al contenimento di un'emergenza psichiatrica (oltre che sociale e familiare). Il dato fondamentale è quello della "recidiva" del paziente “obbligatorio”. Gli psichiatri, ma anche il Giudice Tutelare ed i funzionari degli uffici comunali, rilevano che gli individui soggetti al ricovero coatto sono sempre gli stessi: persone che ripetutamente nel tempo ed a intervalli più o meno lunghi, vengono internate. Nel tentativo di arginare il problema, i medici dei servizi psichiatrici, ospedalieri e non, avendo ben presente che l'ospedalizzazione rappresenta inevitabilmente un'interruzione traumatica della vita quotidiana, si adoperano per realizzare quella “continuità terapeutica” voluta fortemente dal legislatore del 1978. Questa sembra concretizzarsi essenzialmente nel proseguimento, una volta terminato il ricovero, del rapporto paziente-psichiatra, presso le strutture extraospedaliere del servizio pubblico
[18].
Quella che si chiama felicità è una forma perfetta di salute,
e non solamente del corpo.
Platone
L. 23-12-1978, n. 833, Art. 33 – Norme per gli accertamenti ed i trattamenti sanitari volontari e obbligatori.
Il funzionamento concreto del T.S.O. (in capitolo La devianza, primaria e secondaria).