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Responsabilità Sociale d’Impresa: Unione Europea in prima linea

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Responsabilità Sociale d’Impresa: Unione Europea in prima linea
«L’essenza degli affari non è il denaro… sono i rapporti!»
David Sun
 

Il concetto di Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI) o, con termine anglosassone, di Corporate Social Responsibility (CSR) sta divenendo sempre più abituale tra chi opera con le aziende, in Italia e nel mondo, tanto con le piccole e medie (PMI) quanto con le grandi corporations.
Anche noi ci siamo già occupati dell’argomento prendendo in esame il corpo di norme redatto in seno alle Nazioni Unite nel 2003 per quanto riguarda la responsabilità delle società
multinazionali, ma ci appare opportuno, con un procedimento poco organico ma a cascata, che va dall’assolutamente global (la comunità internazionale) al relativamente local (l’Unione Europea), analizzare in questa sede le misure adottate in ambito europeo a questo proposito. Procedimento questo, poco organico perché, dal punto di vista prettamente cronologico, le istituzioni europee sono giunte ben prima delle Nazioni Unite ad elaborare una riflessione sulla responsabilizzazione sociale delle aziende, non foss’altro per la grande maturità e la forza pressoria dell’opinione pubblica europea che, organizzata in centri di influenza ed indirizzo politico, è riuscita a stimolare decisive prese di posizione e l’adozione di linee guida di portata epocale.
In ambito di Unione Europea i passi intrapresi sono sicuramente rilevanti e partono da lontano.
Difatti, il documento base da cui si ritiene discenda tutta l’azione delle istituzioni comunitarie in materia di responsabilità sociale delle imprese (originariamente però ancora non palesata in questi termini) è lo stesso Trattato di Roma del 1957, istitutivo della Comunità Europea. In particolare, nella sua attuale versione consolidata, troviamo enunciati i principi relativi al sostegno di uno sviluppo equilibrato e armonioso, alla necessità di elevare il livello di occupazione e di protezione sociale, al miglioramento della qualità della vita, al rafforzamento della coesione sociale ed economica, al conseguimento di un elevato livello di tutela della salute, al rafforzamento della protezione dei consumatori
.
Le norme che enunciano tali principi, oggi, godono dell’elaborazione che vi è stata, tra gli operatori e all’interno delle istituzioni comunitarie, nel corso degli anni e, in particolare, a partire dal Libro Bianco del Presidente della Commissione Jacques Delors “Crescita, competitività ed occupazione – Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo
” del 1993 con il quale, di fronte alla crisi occupazionale che gravava sui paesi europei, si proponeva di impegnarsi a costruire una nuova economia sana, aperta, decentrata, competitiva e solidale.
Per Delors, e la Commissione, scommettere sulla crescita dell’Europa significava investire sul “capitale umano, la risorsa principale, e sulla superiore competitività rispetto agli altri paesi valorizzando congiuntamente il senso di responsabilità individuale e di responsabilità collettiva, elementi questi che caratterizzano quei valori di civiltà europea che vanno conservati e adattati al mondo di oggi e di domani”.
Già allora, in risposta al dumping sociale esercitato da alcuni paesi asiatici, il Libro Bianco sottolineava come nel lungo periodo una delle soluzioni migliori potesse consistere nel cooperare alla realizzazione delle condizioni necessarie allo sviluppo della domanda nazionale ed al miglioramento delle condizioni di vita dal momento che “lo strumento contro il dumping sociale non è erodere il sistema di protezione sociale in Europa o ignorare i diritti all’estero […] piuttosto contribuire a diffondere tutele sociali”.
Nel marzo 2000, poi, durante il Consiglio Europeo di Lisbona, tra gli obiettivi da raggiungere entro il 2010 si pose l’accento su quello di “diventare l’economia della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo, capace di una crescita economica sostenibile accompagnata da un miglioramento quantitativo e qualitativo dell’occupazione e da una maggiore coesione sociale” e, sottolineando l’importante contributo del settore privato al raggiungimento di questo obiettivo, si richiamava per la prima volta il senso di responsabilità sociale delle imprese, con particolare riguardo allo sviluppo di buone pratiche, life-long learning, organizzazione del lavoro, pari opportunità, inclusione sociale e sviluppo sostenibile: pilastri della RSI così come oggi la si intende!
Nell’estate 2000, la stessa Agenda Sociale Europea
ha sottolineato l’importanza della responsabilità sociale delle imprese misurandone il peso in termini di conseguenze sociali e occupazionali dell’integrazione economica e di adattamento delle condizioni di lavoro anche alla luce del fenomeno che il mondo stava vivendo della new economy.
Il decisivo passo avanti lo si ha, però, nel luglio del 2001 con il Libro Verde “Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese
” che ha offerto le prime e condivise definizioni del fenomeno e avviato il vero e proprio dibattito sulla RSI in ambito europeo.
La responsabilità sociale delle imprese è stata qui definita come “l’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”.
Questo Libro Verde rappresenta, ancor oggi, il documento su cui si fondano tutte le riflessioni e le azioni finalizzate a promuovere la responsabilità sociale delle imprese europee ed è stato preso a modello anche dalle Nazioni Unite per i lavori condotti sull’argomento.
In esso sono chiaramente individuate le due dimensioni ove deve esplicarsi la RSI: quella “interna”, legata alla gestione delle risorse umane, alla tutela della salute e della sicurezza negli ambienti di lavoro, all’adattamento alle trasformazioni nelle ristrutturazioni aziendali e alla gestione degli effetti sull’ambiente naturale e quella “esterna”, relativa ai rapporti con le comunità locali, alla costruzione di partnership commerciali, ai rapporti con i fornitori e i consumatori, al rispetto dei diritti umani in tutta la filiera produttiva e, inoltre, ad una serie di preoccupazioni ambientali a livello planetario.
Inoltre, si richiamano le imprese a porre attenzione agli effetti sia diretti che indiretti delle loro attività, sottolineandone le relative responsabilità. Per quanto riguarda gli effetti diretti, un esempio è il miglioramento delle condizioni di lavoro: l’adozione di questo criterio si traduce inevitabilmente in una vantaggiosa gestione delle risorse umane che ha, come conseguenza, un’influenza positiva sulla produzione dell’impresa. Tra gli effetti indiretti, invece, è di immediata evidenza l’importanza che l’azienda dà alla sua reputazione, valore intangibile che grava sul marchio e, dunque, sulla sua immagine: infatti, la crescente attenzione dei consumatori e degli investitori su questioni quali lo sfruttamento del lavoro minorile o la gestione dei rifiuti inquinanti ha indotto numerose imprese ad assumere comportamenti responsabili nei confronti di queste problematiche. Questo atteggiamento è premiato dalla collettività che apprezza tali imprese e le premia con le proprie scelte di mercato.
Negli anni a seguire, con l’avvio del fertile dibattito tra i differenti attori (istituzioni comunitarie, Stati membri, società civile, imprese) le riflessioni condotte hanno arricchito il comune patrimonio in materia di RSI e reso l’area dell’Unione Europea quella ove è divenuta più matura la consapevolezza delle imprese circa le proprie responsabilità e più attivi i pubblici poteri nel sostenere iniziative in questo campo.
Fino a che, nel 2002, al termine delle Tavole Rotonde organizzate dalla Direzione Generale Occupazione e Affari Sociali, il cui obiettivo era facilitare un confronto diretto tra diversi stakeholder (aziende, ONG, associazioni dei consumatori, altri soggetti del III settore), la Commissione ha adottato la Comunicazione dal titolo “La responsabilità sociale delle imprese: un contributo allo sviluppo sostenibile” nella quale il focus è posto sui codici di condotta adottati dalle imprese, gli standard qualitativi di responsabilità, i sistemi di gestione e i modelli di social reporting, con particolare attenzione alle esigenze delle piccole e medie imprese (PMI
), fino a quel momento non tenute in adeguata considerazione.
Inoltre, si è indicata come prioritaria la necessità di integrare i criteri di RSI in tutte le politiche portate avanti dall’Unione Europea invitando, nell’ottica del principio di sussidiarietà, le autorità pubbliche dei paesi membri a condurre azioni similari ai vari livelli di governo (centrale, locale).
Dall’autunno del 2002, poi, si sono avviati i lavori del Multistakeholder Forum, con l’obiettivo di “accrescere il livello di conoscenza della RSI, e facilitare il dialogo tra business-community, sindacati, organizzazioni della società civile”.
Come previsto dal suo mandato, nel giugno 2004 il Forum ha pubblicato il suo rapporto finale
che però non ha tracciato una strada univoca né evidenziato strumenti particolari da sostenere all’interno delle molteplici iniziative esistenti. Si sono, invece, sottolineati alcuni elementi nodali come l’attenzione da avere all’intera catena di fornitura, l’inserimento della RSI nel core business delle imprese, il coinvolgimento responsabile del management dell’azienda, una comunicazione chiara a trasparente sui benefici della RSI ad intra e ad extra. Inoltre, ci si è resi conto di quanto sia fondamentale realizzare adeguate campagne di sensibilizzazione e formazione dei soggetti coinvolti dal fenomeno (imprenditori, manager, consulenti d’impresa, associazioni dei consumatori, investitori, sindacati, media).
Risale poi al febbraio di quest’anno, la comunicazione della Commissione che ha ripreso i risultati di questi lavori e li ha riversati nella sua Agenda
per la politica sociale 2006-2010 il cui obiettivo prioritario risulta essere pervenire alla realizzazione di “un’Europa sociale nell’economia mondiale” attraverso la realizzazione di “posti di lavoro e nuove possibilità per tutti”.
Bisogna a questo punto riconoscere che per un’impresa, PMI o multinazionale che sia, i comportamenti socialmente responsabili devono rappresentare oggi investimenti strategici indefettibili da finalizzare alla creazione del profitto, aumentandone al contempo la competitività sul mercato di riferimento.
Contribuendo, infatti, al raggiungimento di obiettivi sociali e alla tutela dell’ambiente, l’impresa produrrà un plusvalore per se stessa e per la sua società di riferimento il cui impatto economico sarà sicuro, benché in alcuni casi non facilmente né immediatamente quantificabile, nel medio-lungo periodo.
I risultati raggiunti in ambito europeo dall’elaborazione dei concetti e degli strumenti di RSI sono indubbiamente notevoli, ma al pari è innegabile che rimangono ancora aperti alcuni capitoli delicati cui accenniamo solo brevemente: tra questi, la debolezza conseguente alla volontarietà dell’adesione alle pratiche responsabilizzanti da parte delle aziende, la misura della sostenibilità dello sviluppo da perseguire, la promozione dell’approccio “triple bottom line” che in un’impresa considera congiuntamente gli aspetti economico-finanziari, sociali e ambientali e le modalità di interazione virtuosa e responsabile con il territorio di riferimento tanto in patria quanto in un paese terzo.
L’augurio sincero è che, prima dell’adozione di un impianto normativo cogente ad hoc, si riesca a sviluppare una cultura imprenditoriale veramente condivisa, almeno nella comunitas di operatori europei, tale da avviare una reale prassi di responsabilità sociale responsabilizzante che funga da esempio per tutti i players presenti sul mercato globale.

 
Davide Caocci

1
Cfr. dello stesso Autore, Corporate Social Responsibility: dall’ONU un corpus iuris per le multinazionali, in KU, n.119, maggio 2005.
2
Cfr. GUCE serie C n.325 del 24 dicembre 2002.
3
Artt. 2, 158, 174, 177, 267.
4
Artt. 2, 18, 127, 136, 137, 144.
5
Art. 2.
6
Artt. 2, 3, 16, 158, 159.
7
Art. 30.
8
Artt. 3, 95, 153.
9
Cfr. Commissione Europea, Libro Bianco – Crescita, competitività ed occupazione – Le sfide e le vie da percorrere per entrare nel XXI secolo, COM (93) 700 def.
10
Cfr. COM (2000) 379 def.
11
Cfr. Commissione Europea, Libro Verde – Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese, COM (2001) 366 def.
12
Cfr. Commissione Europea, La responsabilità sociale delle imprese: un contributo allo sviluppo sostenibile, COM (2000) 347 def.
13
Cfr. dello stesso Autore, La nuova PMI europea, in KU, n.115, gennaio 2005.
14
Cfr. European Multistakeholder Forum on CSR, Final results & recommendations, in http://europa.eu.int/comm/employment_social/soc-dial/csr/index.htm.
15
Cfr. COM (2005) 33, def.

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