Sembrava che con il veto tolto ad "Arancia meccanica" fosse caduto anche il tabù della commissione che censura i film, un’anacronistica istituzione che si arroga il diritto di scegliere per gli altri cosa si può vedere e cosa invece si deve limitare. La polemica sollevata da "Totò che visse due volte", affossato dalla curia ancor prima di essere visto per stessa ammissione del suo incaricato, sembrava avere indicato chiaramente qual è l’opinione pubblica riguardo a questo (falso) problema. Visionare febbrilmente tutti i film per decidere a quale età è possibile vederli è una lotta contro i mulini a vento, è un assurdo residuo dell’influenza che la chiesa ha avuto ed ha solo nel nostro stato, "colpevole" di ospitare le più alte gerarchie della sua istituzione. Se poi alla commissione aggiungiamo il rappresentante dei genitori, la combinazione è fatta. Non è possibile pensare che limitare la visione di un film ai minori di 14 anni, come nel caso di "Radiofreccia" che ha ispirato proprio questo articolo, sia sufficiente per preservare (??) gli esclusi dal sentire parole e vedere situazioni che potrebbero essere lesive per la sua educazione e per il suo sviluppo. Non c’è bisogno di sgattaiolare sotto la cassa e vedere "Radiofreccia" per sentire qualche "cazzo" o per vedere un ragazzo che si buca, non è vero? Non è forse altrettanto vero che il divieto non fa che accrescere la curiosità ed il desiderio di sentire proprio quelle parole e vedere proprio quel buco, peraltro già ampiamente svelato dai trailer e dalle foto di scena? La verità è che la censura non ha ragione d’essere. Le "parolacce", ammesso che esistano parolacce ancora in grado di stupire un bambino, o le cosiddette "scene forti" sono ben più presenti in televisione o nella vita quotidiana e, prima o poi, tutti sentono o vedono quello che la commissione tenta di nascondere. Come si può raccontare la storia di un drogato senza far vedere il buco? Come si può nascondere artificialmente un certo linguaggio dal parlare corrente? Facendo un passo indietro, non era meglio censurare film come "Anni ’90" o "Vacanze di Natale" dove il linguaggio scurrile era l’unica cosa che poteva far
sorridere un ragazzino e dove sembrava che fosse così facile toccare le tette della madre del tuo amico? Cosa rendeva film come questi più accettabili per un 12enne di "Radiofreccia" o "Totò che visse due volte". Non sarebbe più opportuno approfittare di una "scena forte" per spiegare quello che succede? Mi accorgo solo ora che sto parlando proprio come un parroco di campagna ma l’argomento non è esaurito come sembrava. Una buona proposta è quella di limitare le competenze della commissione ad un parere ufficiale da distribuire insieme con il film e citare nelle recensioni, in modo che lo spettatore, o il genitore dello spettatore, possa scegliere con ancora maggior consapevolezza.
Ancora la censura?
Michele Benatti