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Cavie da laboratorio

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Il professore girò la prima manopola fino a 250 e poi mise l’interruttore su on. I vetri polarizzati della cupola reagirono per un istante facendo sembrare il cielo fuori improvvisamente scuro, e poi tornarono normali. Ma anche all’interno della sua tuta termica riusciva a percepire la differenza di temperatura.
E vide tutti gli MB7 cominciare a correre come impazziti. Guardò con distacco le cavie potenziate con cui aveva vissuto in questi ultimi tre anni. Vide la loro testa sproporzionata, con quel piccolo “casco” che faceva da innesto, i led ai lati, e sentì le loro semplici grida uscire dagli altoparlanti sparsi lungo le pareti interne del gigantesco laboratorio.
La ricerca per la creazione di una intelligenza artificiale con base biologica, il primo vero passo mai compiuto nella cibernetica, era stata sospesa “ad interim” per “insufficienza di risultati”. Il consiglio aveva ascoltato impassibile l’ultimo resoconto del professore, aveva assistito al video che mostrava i Mouse-Brain 7 all’opera in semplici applicazioni, aveva guardato senza dire nulla i grafici statistici che prevedevano i futuri sviluppi.
Poi, alla fine, aveva detto basta. La parte del consiglio da sempre contraria agli esperimenti su animali aveva forzato gli animi, coalizzando l’opinione di tutti contro di lui. Lo avevano chiamato “il diavolo dei topi”.
E lo avevano cacciato via.

Vide che il comportamento delle cavie intorno a lui stava cambiando, e dopo il primo momento di fuga disorganizzata decine di MB7 stavano cercando di aprire i pannelli di sicurezza.
“Stupidi ratti” disse con la voce impastata dall’alcool. I topi più vicino a lui si fermarono un istante ad ascoltarlo, nonostante il pavimento divenisse secondo dopo secondo più incandescente.
“STUPIDI RATTI” gridò più forte.
Poi premette il pulsante di apertura della porta e uscì velocemente stando attendo che nessuna cavia potesse seguirlo.

Aspettò che tutte le voci fossero spente per togliere lo sguardo dal laboratorio. Aspettò che nessuna delle cavie fosse ancora in movimento. Aveva gli occhi in qualche modo secchi. Sentiva di non stare bene.
Poi aprì le due sicure e si tolse il casco.
E quando lo appoggiò sul tavolo di fronte a lui vide che ben stretto al rilevatore sopra la visiera un MB7 lo guardava fisso con quei suoi piccoli occhi scuri e lucidi.
Poi il topolino saltò giù e si diresse in fretta verso la tastiera del computer, le girò intorno e saltò sul pulsante verde, che aveva visto mille volte anche all’interno del laboratorio, e accese gli altoparlanti della stanza.
Un ronzio basso si levò intorno al professore. Poi il semplice programma di sintesi, inserito nella parte bionica del topolino cominciò a funzionare.
“Dottore” disse.
Il professore rimase immobile. Aveva la gola secca e sentiva la testa pulsargli lentamente. Si sentiva male. Non aveva voglia di ascoltare. Non aveva voglia di fare nulla.
“Dottore” disse la voce maschile sintetizzata.
Il piccolo MB7 lo fissava stando diritto sulle zampe posteriori.
“Perché. Domanda.” disse ancora la voce proveniente dall’altoparlante di fronte a lui.
Il professore si girò e guardò un’ultima volta il laboratorio dietro di lui. Nell’area di circa ottanta metri quadri giacevano trecentodue MB7. Anzi, pensò, trecento uno. E i cadaveri erano sparsi in mezzo a piccole casette fumanti, a semplici apparecchiature, a giocattoli che sette generazioni di cavie avevano imparato a usare, riparare, ed infine costruire.
Vide i pannelli con i primi segni dell’alfabeto che stavano cercando di ottenere. Vide i quadri, ormai quasi in cenere, e le piccole “sculture” ottenute rosicchiando parti di un materiale atossico che aveva sintetizzato.
Vide, in sette generazioni che si erano susseguite nell’ultimo dei tre anni di esperimenti, vide il suo passato, e il suo futuro. In cenere.
“Perché. Domanda. Nessuno muove. Fuoco. Nessuno muove.”
Il professore si girò verso la cavia. La prese in mano e la tenne a due dita dal viso. La parte elettronica della testa del topo era fredda e immobile. Il resto era caldo. Pulsante. E si agitava disperatamente.
“Perché. Domanda. Perché.”
La voce continuava ad uscire con lo stesso tono, ma si sentivano rumori più bassi gracchiare nelle casse. E la cavia aveva iniziato a squittire.
“Vuoi sapere il perché, piccolo topo? Lo vuoi sapere veramente?” chiese il professore.
Al suono della voce, la cavia si era immobilizzata. In attesa, come sempre, dei comandi del loro Dio.
Poi dopo un secondo di pausa, rispose.
“Sì. Perché. Domanda.”
Il professore rise e rise ancora. Poi, con l’altra mano lo strozzò, e lo gettò per terra.
“Perché ” rispose ridendo ancora, nella stanza ormai vuota ” sono il diavolo dei topi.”

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