perché essi hanno ragione col ‘senno di prima’
anche se hanno torto col senno di poi.
(e sono meglio degli scienziati che hanno torto col senno di prima
e ragione col senno di poi)
Berlino 1939.
Bagliori, scoppi, strane lingue di luce si proiettano sui muri delle case borghesi.
Un attivista nazional socialista urta contro un distinto signore dai capelli bianchi. La pila di libri che il giovane regge sulle braccia cade fragorosamente.
Il signore guarda il giovanotto con stupore. Riconosce recenti edizioni di poeti e narratori di tutti i tempi.
Il ragazzo, inveisce, insulta il signore, che, nella sua gretta mentalità borghese, è già corso con la mente ai suoi paradisi di cultura e trascura il grande fenomeno odierno.
Il giovane corre verso le lingue di fuoco.
Un auto sfreccia in piena velocità, con i fari accesi.
La polizia si gode il caldo e sta ferma a guardare.
Una folla di persone si dirige verso la piazza.
C’è il fervore di un evento, che sta capitando ora, adesso, a dispetto della ragionevolezza, della cultura, della filosofia, del buon senso di un popolo dalle antiche tradizioni, che è primo nel mondo per prestigio e per civiltà.
La piazza è gremita e la folla si stringe intorno al calore di un falò. Sembra una festa di piazza, sembra una ricorrenza pagana destinata a salutare il cambio delle stagioni e il rinnovarsi della natura, la quale seppellisce i resti del vecchio sfinito e saluta il nuovo che nasce e che si fortificherà sulle ceneri di quello.
Invece, è una crudele sagra della distruzione. Il bello e la cultura vengono annullati, umiliati e dimenticati nell’ardore del fuoco.
Il giovane attivista arriva di corsa col la sua pila di libri e gioiosamente, con atto liberatorio e vandalico, li getta uno ad uno nel fuoco.
Il fuoco prende le pagine, le strappa, le innalza e le incenerisce.
Una bolla di fluido infuocato scoppia, spargendo intorno frammenti incandescenti, che colpiscono la gente.
Si fa il vuoto intorno alle ceneri ardenti.
La folla si sposta, si urta, si calpesta. L’onda si propaga verso l’esterno. Uno spettatore, spostato dall’urto della folla allarmata, investe il vecchio borghese. L’anziano cade.
Altri portano libri. E altri ancora.
L’anziano china la testa, spossato.
Modena 1998. Se in nazisti fossero arrivati sino in fondo alla loro follia e crudeltà, distruggendo tutta la narrativa, oggi il poeta avrebbe un posto nella letteratura contemporanea.
Forse pensate che questa bestemmia sia troppo … come dire troppo?
Troppo sgradevole, troppo cinica, troppo crudele, troppo violenta?
Io suggerirei qualche riflessione ulteriore.
Per esempio, seguite questo colloquio.
"Ciao, Katy."
"Ciao, bello. Come stai?"
"Bene. Sai? ho scritto un romanzo."
"Ah, bravo."
"Ma come. Non corri in libreria a comprarlo?"
"Ah. Beh, sai, io leggo solo i classici."
"Ma, come! …. I classici? ….. e io?"
"Non te la prendere, sai come vanno queste cose ……"
"Ma perché?"
"Perché la società postmoderna ha ucciso tutto il bello, tutto il grande, tutto ciò che è importante."
Comunque la si pensi, i classici rimangono la sede delle esperienze importanti. Intendo dire che sono l’unico luogo dove si possono fare esperienze esistenziali e dove si possono vivere avventure che hanno effettivo riflesso sulla nostra vita e sul nostro modo di pensare.
Io credo che i lettori abbiano ragione.
In fondo oggi la scrittura è divenuta un susseguirsi di flash di emozioni, il cui unico significato è fare compiere al lettore un viaggio nel mondo così come è, in modo da tenerci compagnia tra le due e le sette di sera, prima del film o del varietà.
E allora perché i libri? Ogni lettore viaggiando, leggendo giornali e riviste, guardando la tv e i film, ha una grande esperienza del mondo così come è. Giusto; allora c’è bisogno che anche i poeti facciano dei libri per dire che fa schifo?
Non solo questo c’è un altro aspetto.
Oggi ai poeti è vietato di occuparsi di certi ambiti che prima frequentavano con autorevolezza.
Non più la scienza, perché i poeti non sono rigorosi e scientifici.
Non più la politica perché sono troppo avventurosi, troppo categorici e non hanno capacità di mediazione. – i poeti innescano i conflitti, non li gestiscono –
Non più la psiche perché essa va educata e curata, non sottoposta a sfibranti torture esistenziali. Oggi ci sono specialisti che si possono occupare di essa.
Non più l’interpretazione del mondo, perché i filosofi sono gli unici abbastanza colti, allenati e rigorosi da riuscire a raccapezzarsi in quel guazzabuglio di cose già dette, di teorie e di paradigmi già proposti ed abbandonati.
Non più la morale perché ogni etnia, ogni religione, ogni comunità, ogni partito, in fatto di morale accetta solo la propaganda (anche quella altrui), ma non la fiction che potrebbe essere ambigua e foriera di dubbi.
Non l’economia perché l’economia è una scienza e non una interpretazione del mondo, non una disciplina morale, come invece la tratterebbero i poeti in un romanzo o una novella.
Che rimane ai poeti? Il pulp: horror, sesso e violenza.
Modena 1998.
"Katy, voglio dire, io non ho la pretesa di raggiungere i livelli stilistici dei classici, però credo che il mio romanzo ……"
"Amico mio, disilluditi: è finita."
"Ma, insomma ……"
"E’ finita."
"Non può essere così.
Dico! i libri non sono un oggetto in via di estinzione.
Forse la letteratura, come genere soffre, ma i libri no."
"E allora …….?"
"Dai, insomma.
Tieni presente che ci sono cose che si muovono.
Ad esempio gli scienziati hanno la complessità, con l’ordine che emerge spontaneamente.
Non solo loro: i manager hanno l’innovazione, gli ingeneri di organizzazione hanno il cambiamento, i politici hanno i sondaggi, le amministrazioni pubbliche hanno la programmazione delle politiche con procedura bottom-up, gli economisti hanno l’economia sommersa e l’economia evolutiva e darwiniana, gli intellettuali che seguono i fenomeni del divismo e delle pop stars hanno il ‘winners take all’, i giornalisti seguono gli umori del proprio pubblico come cani da trifola, i giudici tengono un occhio aperto verso le reazioni della gente – vox populi, vox dei -, i reali traballano sotto il peso della commozione popolare. Eccetera, eccetera. Solo per non essere lungo.
Perché i poeti non possono avere qualcosa di analogo?"
"Sono solo parole alla moda. Concetti imparaticci di cui non comprendi bene il significato; li distorci a tuo uso e consumo, così ti può sembrare di avere ragione; ma un serio confronto dialettico ti smentirebbe immediatamente."
Il tempo sta cambiando.
Grosse nuvole scure corrono verso Katy.
Io rimango al riparo di un portone.
Qualche grossa goccia di pioggia cade pesantemente.
Subito l’odore di bagnato mi prende alle narici. Non è gradevole, ma nemmeno sgradevole. E’ solo troppo invadente.
Ed ecco che arrivano le prime folate. La polvere si intromette nel dialogo dei due. Lei tossisce.
Il vento si fa teso, tanto che ronza nelle orecchie e diventa difficile parlarsi in mezzo alla strada.
"Debbo correre a casa prima di prendere la pioggia."
Katy si dilegua.
Il tempo peggiora.
Le nuvole coprono il sole.
Diviene freddo all’istante. Inscurisce e il vento rafforza.
Il poeta che passa davanti al portone, trattiene i fogli. Il vento glieli contende con furore.
La sottile cravatta sbatte.
Le auto accendono i fari. L’illuminazione pubblica fa capolino.
Il poeta si ferma.
Nell’oscurità crescente egli sembra infischiarsene del cattivo tempo, dei fogli che si stropicciano e che si inzuppano e del panciotto che si infradicia.
"Ai lettori, abituati a diffidare dei poeti, faccio il seguente invito.
La scrittura sorge dal basso, esattamente come la linfa degli alberi viene dal basso. E come le foglie non possono rifiutare la linfa, così i lettori non possono rifiutare la parola dei poeti.
Di nascosto, questa parola permea le scienze, la pubblicità, l’intrattenimento, la filosofia e così via.
Perché allora rifiutare i poeti e costringerli a diventare scienziati, economisti, sociologi, pubblicitari, o altro?
I lettori perdonino ai poeti la loro scarsa reputazione, come scienziati, manager, studiosi, ecc. e lascino che si occupino di tutto, senza tacciarli di ingenua presunzione, di pericolosa incoscienza.
In cambio noi poeti renderemo emozionanti le vite dei lettori.
Davvero, noi ci impegniamo a tentare una scrittura che viene dal nulla. Cioè favoriremo la scrittura degli esordienti, dei deboli, dei gruppi (letteratura collettiva, non individuale) e infine delle persone che sanno morire e rinascere."
"Scusi, con chi sta parlando?"
"Mi spiace di averla spaventata, stavo ripassando la parte."
"E’ un attore?"
"No, debbo parlare ad un congresso."
"Ah, continui pure. Le spiace se le faccio da pubblico?"
"No, anzi mi fa piacere. Crede che tornerà bel tempo?"
"Non tanto presto. Ma, suvvia, era arrivato agli individui che muoiono e rinascono …."
"Dunque …
Ci impegniamo ad adottare il linguaggio della gente e non a pretendere che la gente adotti il nostro linguaggio. Ma soprattutto ci impegniamo ad occuparci del ‘mondo come dovrebbe essere’ e non del ‘mondo come è’. Quest’ultimo lo lasciamo all’intrattenimento e ai depressi.
In questo modo ci impegniamo a confezionare dei libri che permettano di fare esperienza.
Così, un libro sarà un’esperienza importante, e in più potrà essere una simulazione dentro la quale il pensiero del ‘mondo come dovrebbe essere’ può riflettere sé stesso. Un ambiente dentro il quale il lettore può vivere pregi-difetti, cause-conseguenze, ed sperimentare emotivamente."
"Interessante. Ma dove si trova tutto questo?"
"Mi lasci finire.
La nostra scrittura ha le proprie credenze, le proprie debolezze e le proprie vanterie. Ad esempio crede nella crescita come giustificazione prima del ‘mondo come dovrebbe essere’.
Tuttavia non vuole impantanarsi né col relativismo, né con l’universalismo. Essa non vanta primati e certezze. Anzi per prima è disposta ad essere fatta ‘a pezzi dalla prova dei fatti’."
"Adesso sì che mi spaventa."
"Lo so. ma non posso fare a meno di farlo."
"Una strategia rischiosa. L’ammiro, ma ora devo andarmene."
I due si stringono le mani scivolose per la pioggia.
Io dico che il poeta ha un habitus esoreferenziale.
Viceversa l’intrattenimento ha un habitus autoreferenziale. E come tutte le cose autoreferenziali – ci insegna la teoria del caos -, entrano rapidamente in caos, man mano che tentano di essere più complesse.
I poeti sanno stare al margine del caos e non ne divengono mai vittime.
I nazisti hanno tentato di fermare il loro caos e sono stati sconfitti.
I lettori si possono fidare dei poeti perché essi hanno ragione col ‘senno di prima’ anche se hanno torto col senno di poi. (e sono meglio degli scienziati che hanno torto col senno di prima – vedi affidabilità delle previsioni – e ragione col senno di poi)
I lettori tengano presente che i nazisti sono stati sconfitti anche con l’aiuto dei poeti. I poeti americani senza dubbio sono stati i più efficaci. Vorrei ricordare solo il più noto, Charlie Chaplin che ha messo a repentaglio i suoi baffetti (segno tipico del suo personaggio) per impersonare il Furer.
Il senno di prima
I lettori si possono fidare dei poeti
Giovanni Bergamini