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Dove l’unico mezzo…

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Dove l’unico mezzo di trasporto sono i sogni

……. " Alle 4.20 del mattino, il telefono svegliò il commissario De Palma, che ormai da tempo dormiva in soggiorno per evitare che le chiamate svegliassero anche sua moglie, una donna nervosissima. Istantaneamente lucido, De Palma pensò all’ultima cosa a cui aveva pensato prima di addormentarsi, e cioè alla chiesa di Santa Liberata. Ma durò solo un attimo, e poi la giornata prese, per lui, tutta un’altra direzione. Bestemmiando sottovoce allungò la mano nel fioco alone verde della piccola veilleuse, tenuta sempre vicino al divano letto per rendere visibile il telefono.
– Dottore, – disse la voce del brigadiere Urru.
– Forza.
In via Frejus, mezz’ora fa, un metronotte s’era avvicinato come un cretino a un gruppo d’uomini che risalivano su un furgone con delle grosse valige, e aveva ovviamente rimediato due proiettili in testa. Ma questo era nelle regole. Meno regolari erano la morte di un tranviere e il ferimento grave di un altro, nella sparatoria tra i banditi in fuga e una auto pattuglia che li aveva presi in caccia. Adesso altri equipaggi erano partiti alla ricerca del furgone, un "Transitbenzina" con targa di Vercelli, la Scientifica era sul posto, e il giudice stava arrivando per gli accertamenti del caso. Poteva Urru mandare a prendere il dottore?"………..

Chiuse il libro.
Ne aveva abbastanza.
Ecco un altro libro che non riusciva a leggere. Doveva essere una malattia.
Ultimamente era riuscito ad arrivar fino in fondo a pochi volumi. C’era un Maigret; un Redfild e un Koonz. Ah, c’era anche un thriller in edizione super economica. Una cosa veloce che lo aveva tenuto sveglio fino a tardi; voleva sapere a tutti i costi come andava a finire. Ma adesso non si ricordava né l’autore, né il titolo; e della trama erano rimaste solo poche immagini in fondo alla retina.
Gli altri libri, si vedeva, erano stati sfogliati solo fino alla ventesima pagina; più o meno. Ora giacevano da qualche parte, dove erano stati scagliati con rancore.

Uffa! Le dieci e mezzo – le ventidue e trenta.
Se mi vedesse mia madre andare a letto così presto! Una volta, prima di cominciare a lavorare, era una vergogna andare a letto così presto.
Adesso è una necessità; anche perché non c’è granché d’altro da fare: qualche volta è una cena di lavoro; una volta alla settimana si esce con gli amici; una volta alla settimana a casa con una ragazza. Per il resto si va a letto alle dieci e mezzo.

"……. è perché sei solo come un cane!"
Lo diceva Tullio, ma solo quando era ubriaco.
Solo?, ma figuriamoci.
Dirigeva un ufficio di quattordici persone. Riceveva settanta telefonate al giorno. Aveva un giro di conoscenze che gli occupavano due rubriche telefoniche. Non c’era problema per il quale non avesse la persona giusta che per amicizia – e con un po’ di soldi – faceva filare tutto liscio.
Solo? non direi proprio.
Certo, non era come essere a casa. In quella città ci era sempre vissuto stretto, nel senso che se la sentiva stretta, come una maglia inadatta. Non era come essere a casa.

No, non era come essere a casa. Bastava un’occhiata all’appartamento deserto per capirlo.
Sembrava che lo percepissero anche le ragazze che portava a casa. Invece di scopare, gli ripulivano l’appartamento e lo sgridavano: tu col tuo stipendio potresti permetterti una famiglia, dei figli e invece vivi come un cavernicolo.

Cazzo, già mattino.
Le meditazioni lo avevano cullato fino al sopore completo.
In ufficio, sulla scrivania, c’era una busta per Jerry. Il nome scritto velocemente e recapitata a mano
Lui non si chiamava Jerry. Né aveva un nome che potesse essere abbreviato in jerry. Ma i suoi collaboratori avevano visto il film Jerry McGuire e avevano detto all’unisono: quello sei tu; tu potresti fare una cosa simile.
Così avevano cominciato a chiamarlo Jerry. Il soprannome si era imposto, tanto che nessuno lo chiamava più col suo vero nome, solo col cognome, se si dovevano dire delle cose importanti.
La busta conteneva un volantino propagandistico degli anarchici. Dunque avevano dei simpatizzanti dentro la ditta. Bene.

"Ti ho visto portare i volantini sovversivi dentro casa! Abbiamo allevato una serpe in seno."
"Ah, Fino! Dice che passeranno anche per la nostra via, questa mattina."
"Non sono mica tutti a casa."
"Come?"
"Voglio dire che non hanno il cervello a posto. E’ un’espressione delle mie parti."
……………… a casa. Anche loro non dovevano sentirsi a casa …….
"Jerry, tu nutri simpatia per loro!"
"Parliamo di lavoro ……. Come mai tu che sei il capo ti scomodi per venire nel mio ufficio?"
"Ci è stato notificato questa mattina un ricorso che ti riguarda."
Dalle mani di Fino spuntò un fascicolo, di quelli che si usano per custodire le cartelle personali dei dipendenti.
"Roxana Sino, ti ricorda nulla."
"Ci mancherebbe."
"Già, l’abbiamo licenziata. Così ci manda gli avvocati del sindacato."
"Si accomodi: non lavorava più, lo possiamo dimostrare; avevamo un motivo giustificato e dimostrabile."
"Lei sostiene di averlo fatto per protesta. Una protesta plateale contro l’azienda che ha messo a dirigere uno che non è capace, tu. Se la causa della sua indisponibilità a lavorare sei tu, noi abbiamo avuto torto a licenziare lei, dovevamo licenziare te. Inoltre sostengono di potere mostrare facilmente che si trattasse di una protesta perché ci sono troppe prove contro di lei. Capisci? non si nascondeva."
"In cosa non sarei stato all’altezza?"
"Dice che voleva più attenzioni da parte del suo capo, cioè da te."
"Mettiamo le cose in ordine.C’è una causa perché si vuole sostenere che la causa dell’incapacità del dipendente è l’inadeguatezza del suo capo. Una causa contro l’azienda che ha avuto una inclinazione verso il suo dirigente e un pregiudizio contro il dipendente. E’ così?"
"Nella notifica si cita: assenteismo dirigenziale, mancanza di direttive chiare e assertive, totale mancanza di protocolli scritti, indisponibilità alla presenza personale con la collaboratrice, eccetera eccetera."
"Che prove hanno?"
"Non sei mai andato a letto con lei."
"Ma andiamo …….."
"Il ragionamento è questo. Per una donna andare a letto col capo è una opportunità di carriera e di avanzamento economico. Nonché uno status simbol. Se il capo non sa cogliere le potenzialità dei propri collaboratori non è un buon capo."
"Ma è assurdo ……"
"No, quello che è assurdo ………."
Urlava adesso.
"….. è che tu metta nei guai la ditta perché sei schizzinoso. O perché fai il puro. O perché sei ingenuo! Uno di questi motivi è da solo sufficiente per qualificarti come un dirigente scarso.
Forse davvero non sei all’altezza di fare il capo.
Lo so, lo so, voi maschi di oggi non siete più capaci di farvi una donna.
Sesso orale lo chiamate; invece è che non siete più in grado di soddisfare una femmina."
"Perché tu ne sei capace?"
Arrossì violentemente e non replicò.
"Calmati adesso. Vedrai che non si arriverà mai in tribunale con argomentazioni di questo tipo. Piuttosto chiama la sicurezza, che stanno arrivando gli anarchici."

Lasciò Fino ai suoi problemi e si tuffò fuori dall’edificio della ditta.
La strada era stretta tra alti palazzi, gli anarchici venivano avanti in modo disordinato, portando piccole bandiere rosse e nere.
Erano pochi.
Ora procedevano trascinando in avanti il loro metodico lavoro di cesello vandalico.
Con gli spray disegnavano strani arabeschi in uno o due colori.
Con spranghe frantumavano tutti i vetri delle auto parcheggiate, compresi i fanali e gli specchietti retrovisori.
Con scalpelli raschiavano i portoni di legno dei palazzi.
Tutti i simboli dell’infame società assassina venivano demoliti e umiliati.
Jerry si immerse in quel corteo.
Erano vestiti in modo molto simile, ragazzi e ragazze. Alcuni con vestiti raccattati chissà dove, altri in modo più pulito, più curato. Ma tutti sembravano aver tentato di travestirsi da Che Guevara con le cose che avevano in casa. A questo tipo di abbigliamento avevano aggiunto dei foulard a scacchi bianchi e neri.
Nessuno lo ostacolò.
Rimase i mezzo a loro, tentando di fare quello che farebbe un video-reporter: guardare senza rimanere inorridito da quello che ha davanti.
La loro violenza era lenta, non pericolosa. Era una violenza simbolica. Cioè diretta contro i simboli.
Gli unici che non sapevano questo erano le forze di polizia, che, in genere, li aggredivano come se fossero dei pericolosi criminali armati fino ai denti.
Avrebbe jerry avuto il coraggio di chiamarla violenza non-violenta? In fondo, alla fine delle loro manifestazioni, prendevano un sacco di botte e finivano in galera. Ma quello che lasciavano sul terreno non erano morti e feriti, erano danni.
Anche oggi la polizia li aspettava presso lo slargo che si apriva alla fine della strada.
Lo scontro era inevitabile.
Ma il sindaco sosteneva: voi lascereste che i vostri figli imbrattino e distruggano la casa che avete impiegato una vita a costruire? Noi non lo permettiamo: il capofamiglia deve difendere la propria dimora per sé e per gli altri conviventi.
Così il sindaco ……..
Ma chi davvero oggi si sente a casa?
Cominciarono i lacrimogeni, le manganellate e i cellulari che arrivavano vuoti e ripartivano pieni.
Lo spray era ancora fresco, come il sangue che scendeva dalle teste dai lunghi capelli colpite dai manganelli.

Jerry si voltò e si diresse verso la coda del corteo.
Guardò in alto.
Sentendo il rumore, alcuni abitanti dei palazzi e gli impiegati degli uffici si erano affacciati alle finestre. Sapevano quello che stava capitando, ci erano abituati, ma ugualmente osservavano con interesse lo spettacolo.
Jerry guardò ad uno ad uno quei volti che protendevano verso il basso.
Si aspettava un popolo di massaie, di benpensanti, di piccoli borghesi, di impiegati silenziosi e conformisti, di prepotenti arrivati e di padri di famiglia.
I volti rivolti verso di lui, invece, mostravano una folla variopinta e inattesa. I più riconoscibili erano gli stranieri per la loro pelle scura o per i capelli biondissimi. Come avevano fatto ad arrivare? perché ce n’erano tanti?
Altri personaggi – soprattutto donne – forse non erano stranieri, ma avrebbero potuto esserlo. A jerry venne in mente l’espressione ‘impiegata trasgressiva’. Poteva essere il termine che definiva meglio quello che vedeva. Soprattutto le donne. Avevano un aspetto insubordinato, anzi avevano un atteggiamento che non ammetteva tentativi di subordinazione. Dai capelli ai vestiti. Scoperte in modo provocante, ma che non ammetteva tentativi di approccio. Giovani, terribilmente giovani, anche dopo i trenta anni.
Sul vano delle scale dei palazzi c’erano alcuni pony express giovanissimi, che avrebbero dovuto essere a scuola. Erano vestiti come moschettieri, solo che avevano il colore degli operai che fanno i lavori stradali.
Gli uomini sembravano tutti gay. I capelli erano troppo lunghi e poco curati oppure troppo corti. Avevano un aspetto debole e uno sguardo remissivo. Pallidi o troppo abbronzati. Già vecchi. Vestivano i modo sportivo, senza gusto: il termine casual era perfettamente adatto. Erano vestiti in modo assolutamente casuale, dato che nessuno gli aveva insegnato ad accostare i tipi di abito, i tipi di tessuto e i colori.
Un crampo ai muscoli del collo lo distolse dall’osservazione della popolazione che abitava le finestre dei palazzi.
Così poté notare il piccolo gruppo di uomini e donne che spuntava da un bar. Era un locale molto sofisticato, come i suoi clienti. Quelle persone si erano affacciate per vedere, reggendo in mano un lungo bicchiere di cristallo dell’aperitivo che stavano consumando. Le bevande avevano i più insoliti colori.
Sembravano ritagliati da una rivista di moda. Gli uomini in giacca e panciotto di colore sobrio. Le donne in tailleur dal colore professionale, non vistoso, ma molto elegante. Posavano con garbo e si disponevano nel riquadro della porta del bar come se fossero inquadrati nell’obiettivo di una macchina fotografica. Una gamba diritta a reggere il corpo e l’altra spostata plasticamente a bilanciare la figura nello spazio disponibile. Il bicchiere a mezz’aria e l’altra mano a gesticolare per sottolineare i commenti. Gesti flessibili e misurati di corpi perfettamente costruiti e di persone allenate ad apparire in pubblico.
Il corteo superò Jerry e lo lasciò solo in mezzo alla strada.
Ritornò verso il suo palazzo.

Fino lo aspettava sulla porta di ingresso.
Lo guardò, ma non disse niente.
Jerry gli chiese.
"Se tu fossi disperato e magicamente potessi chiedere di essere riportato a casa, dove ti faresti portare?"
Fino si guardò intorno e poi rispose.
"Qui, credo. Qui in ditta. In fondo è questa la mia casa. Non è anche la tua?"
Jerry gli lanciò un’occhiata.
"Sì, per una parte debbo riconoscere che lo è."
"Allora?"
"E’ che tutto va bene finche siamo in ditta. Possiamo dire che ci sentiamo a casa. Ci comportiamo come se fossimo a casa. Ma quando siamo fuori?"
"Bel bambolone: costruirsi una casa che assomigli alla ditta."
Jerry fece un gesto che voleva dire sia che non ci pensava neppure, sia che non ne voleva più parlare.
"Allora? non hai più intenzione di licenziami?"
"Non l’ho mai avuta, sono solo geloso. Tu non mi vuoi abbastanza bene. Non abbastanza da portarti a letto una dipendente rampante, prima che mi procuri dei guai. Piuttosto ….."
Cominciarono a salire le scale e Fino gli mise una mano sulla spalla con un atteggiamento conscio del proprio ruolo di mentore.
" ….. cos’è che ti piace di loro?" alludendo al corteo.
"Mi piace il loro atteggiamento: non si difendono."
"Beh, prese alla lettera le tue parole non hanno molto senso. Stai parlando di gente violenta."
"Che vuol dire! Anche noi sappiamo essere brutali, cinici e colpire duro, quando occorre. Ma nessuno oserebbe giudicarci in base a questo. Sono cose che fanno parte del mestiere, fanno parte del gioco. Prova ad andare oltre il loro ruolo di distruttori di simboli ……… Ecco; oltre, io vedo un atteggiamento di non difesa."
"Faccio ancora fatica a capire."
"Allora, andiamo all’esempio opposto. Se ti dicessi di immaginare un uomo primitivo, preistorico ……. No, non fermarti all’aspetto fisico. Intendo prova ad immaginare l’atteggiamento di fronte alla vita di un primitivo …….."
"Hai ragione: lo immagino schivo, con lo sguardo basso, in atteggiamento difensivo."
"Bravo. E adesso immagina un uomo storico, diciamo tra l’epoca dei romani e quella di Napoleone."
"Lo immagino in atteggiamento offensivo, sempre all’attacco."
"Bene passiamo ora all’uomo contemporaneo: diciamo quello che esce dai film. Non so: immagina Sean Connery o James Stuart nei film di Hitchcock. Come lo vedi?"
"Rilassato. Direi che è un uomo reattivo, quando viene costretto, ma per il resto è in pace col mondo."
"E l’uomo che verrà dopo la fine della storia?"
"Tu dici quelli?"
"Io dico: vuoi vivere davvero bene? vai tra persone che non si difendono. Pensa ad un paesino, ad una comunità religiosa, un circolo di artisti. Pensa al ‘porgi l’altra guancia’, ai monaci tibetani, a Ghandi e ai movimenti non violenti, al fenomeno dei figli dei fiori degli anni sessanta.
Cosa c’è di attraente in queste immagini? il fatto che tra di loro non si difendono, non alzano ostacoli nei rapporti personali tra membri della comunità."
"Questo è il futuro?"
"Non sono mica un veggente. Ma se debbo immaginare una sequenza evolutiva la immagino così: uomo difensivo, offensivo, reattivo e infine non-difensivo."
"E così è meglio?"
"Io ritengo di sì. Se trovassi un posto del genere, vi andrei."
"E loro? non vanno bene?"
"Gli anarchici? no. Come non andavano bene i figli dei fiori e gli Hippies."

In ufficio la segretaria gli fece l’elenco degli impegni della giornata.
Tra queste c’era una cosa che lo fece incazzare parecchio.
Era una cosa pensata male che produceva un sacco di incomprensioni e di equivoci. E in definitiva riduceva l’efficienza del suo ufficio.
"Che cazzo. Perché pensate a scartamento ridotto!"
Ce l’aveva con i suoi.
"Non bastano i conflitti di potere e di competenza a rovinarci la vita? dovete metterci anche il poco buon senso?"
I suoi collaboratori erano arrossiti.
"Ripartite da zero e non date nulla per scontato."
La segretari intervenne, recitando la parte della pacificatrice.
"Dai Jerry. Non è detto che si potesse vedere anche in anticipo, questo aspetto della questione."
Recitava bene, come al solito, con professionalità.
Certo, anche per Jerry era una recita. Ma andava fatta. Avevano provato a farne a meno: non funzionava. Occorreva un capo, un capo che si incazzava e che spronava i collaboratori, minacciando, punendo e premiando.
"OK. Va bene. scusate, mi sono lasciato andare. Ammetto che non era facile saperlo col senno di prima. Adesso l’abbiamo scoperto e dobbiamo rimediare. Comincio io: vi preparo una scaletta di obiettivi da raggiungere. Voi farete il resto, ricominciando come se fosse la prima volta. Via, via, tutti al lavoro."
Stese un foglio bianco sulla scrivana del computer e cominciò a stilare il promemoria per i suoi.
Squillò il telefono: una telefonata da fuori, qualcuno che aveva il suo numero diretto e non era passato per il centralino e per la segretaria.
"Pronto?"
"Qui è Vittorio Marcoladi."
"Chi le ha dato questo numero?"
"Un suo amico, che le vuole molto bene."
"Vada avanti."
"E’ disponibile a parlare di un’offerta di lavoro?"
"Non adesso e non al telefono."
"Bene. Alle 16, allora. Sa dov’è la sede della Banca Nazionale? Entri e si faccia indicare la saletta riservata. L’attenderò là."

Alle sedici meno dieci Jerry si presentò alla saletta riservata. Sperava di anticipare il suo ospite e di avere qualche minuto per riflettere.
Vittorio era già là e senza dire una parola gli presentò il suo biglietto da visita.
Questo era zeppo di cariche onorifiche, lauree honoris causa, e titoli di rappresentanza.
Le informazioni riservate che aveva preso gli avevano già anticipato quelle cose, ma non gli avevano fornito nessuna anteprima sulla natura dell’incontro.
"Perché incontrarci in una banca?"
"Perché prenda sul serio quello che le propongo."
"Lei di cosa si occupa?"
"Pubbliche relazioni."
"In che campo?"
"Filantropia."
"Parla sul serio?"
"Vede che avevo bisogno di farmi prendere sul serio?"
"Avanti, l’ascolto."
"Immagino che lei sappia che anche le organizzazioni umanitarie, gli organismi del volontariato e le grosse associazioni filantropiche hanno bisogno di buoni dirigenti."
"Immagino di sì."
"Sa anche che questi dirigenti ricevono dei buoni compensi?"
"Se lo dice lei, posso crederlo."
"Sa anche che questa è una carriera di prestigio?"
"Trovo difficile crederlo, dal momento che nell’ambiente di impresa non se ne sente parlare. Tuttavia posso farle credito su questo punto."
"Vogliamo reclutare lei."
"Per quale posizione?"
"In posizione apicale, per una nuova organizzazione. Qualcosa che equivale al direttore generale. Per lei è un avanzamento sia formale che sostanziale. Ma lasci che prima le spieghi.
Un mio conoscente, un uomo molto ricco, ha fatto un viaggio in Tibet. Lo fanno attori e uomini famosi, così ha voluto provare anche lui. Doveva essere un viaggio di pochi giorni, invece si è trasformato in un soggiorno di alcuni mesi.
Il suo soggiorno è terminato, lui dice, quando ha finalmente capito."
"Capito?"
"Il segreto. Dice di aver capito il segreto."
"La cosa non mi impressiona."
"Invece dovrebbe. Le conversioni sono sempre impressionanti.
E’ tornato con una parola chiave in mente: resa. Non parlava d’altro. Ne ha scritto quasi dappertutto chiamandola in inglese, surrender. Solo per poco è stato dissuaso dal fare una campagna pubblicitaria a proprie spese. Una campagna per comunicare la parola surrender, pensi.
E’ convito che mettendo insieme delle persone che si sono ‘arrese’, si possa arrivare alla felicità."
"Non vedo la cosa allo stesso modo: mi pare che così si faccia un gruppo di schiavi o una comunità di morti viventi."
"E’ questo che l’ha trattenuto tanto in Tibet. Dentro ai monasteri si sentiva felice.
Allora ne usciva entusiasta per comunicare al mondo la sua scoperta. Ma appena fuori si rendeva conto che la cosa era già stata più volte provata ed era sempre andata male."
"Allora?"
"Allora ci vuole un approccio scientifico."
"Uno studio?"
"Niente accademia: una sperimentazione. Una prova in vivo: una vivisezione sociale, se mi passa la crudeltà del termine."
"Io cosa dovrei fare?"
"Avrà un gruppo di persone volontarie che saranno stipendiate per permettere a lei di organizzare la loro vita.
Lei tenterà tutte le modalità di organizzazione finché le persone smetteranno di resistere le une alle altre. Si arriverà alla resa, almeno dentro il gruppo."
"Non mi piace parlare di resa. E’ un brutto termine. Perché non parlare di persone che non si difendono? Non le pare equivalente da una certo punto di vista e migliore come immagine complessiva?"
"Lei ha avuto una grande intuizione. Sì: lei è la persona adatta per questo lavoro."
"Io voglio muovere due obiezione. Primo. Questa materia è trattata da discipline che si chiamano religione, morale e politica. Io non intendo mettere mano a queste cose. Secondo. La gente si organizza da sola la propria vita. Interferire è un atto grave contro la libertà individuale."
"Lo sappiamo. Ma la gente non ha più voglia di sentire parlare di religione, di morale e di politica. Troppo spesso tutto è stato sovrapposto e mescolato, tanto che la gente non distingue più tra morale e politica e tra morale e religione.
Per questo vogliamo che l’esperimento lo conduca un manager, non un dotto.
In secondo luogo, se esiste anche una sola possibilità su un milione che sia possibile una forma di organizzazione che non sia una dittatura, lei la deve trovare."
"Mi scusi se insisto: non vedo ancora una differenza tra questo progetto e quello di una setta religiosa, a cominciare dai testimoni di Geova a finire dai seguaci di Osho."
"Non ci siamo capiti. Non volgiamo che lei dica alla gente quello che deve pensare e come deve comportarsi. Non ci interessa entrare nei costumi sessuali della gente, né tanto meno occuparci di come gentilmente o correttamente si comportano tra di loro. Non ci interessa sapere se dicono bugie o se non mantengono le promesse.
Questi sono fatti loro. Lei trovi la forma organizzativa che li conduce alla resa e contemporaneamente li mantiene uomini indipendenti.
Scarti le soluzioni che portano ad avere una comunità di schiavi.
Esplori solo quelle che mantengono una comunità di uomini liberi, che hanno scelto la resa."
"Ma cosa dovrei organizzare? Non posso interferire con la loro vita privata; non posso cambiare le regole sociali, perché questo gruppo vive dentro le regole della nostra nazione, cosa dovrei fare, allora?"
"Questi volontari trascorreranno con lei un certo numero di ore al giorno. Organizzi la loro vita, finché non trova il modo giusto. Avrà una comunità da difendere e da far vivere in mezzo al resto del mondo, in modo che cresca e non venga distrutta. All’inizio saranno estranei, ma lo stipendio che ricevono li terranno legati a lei.
Lei trasformerà la vita e l’occupazione di queste persone finché non troverà il modo giusto.
Per il resto non abbiamo suggerimenti da darle e non esiste in letteratura alcun libro utile.
Usi il suo buon senso e non si disperi mai, neppure al millesimo tentativo andato male."

Jerry si trovava nella saletta riservata di una banca.
Si era messo a giocherellare con una penna: toglieva il tappo; svitava ed estraeva il refill; saggiava la molla, tirandola e torcendola; richiudeva, ritappava e ricominciava da capo.
…… svitava e avvitava ………svitava e avvitava ……..
Apriti sesamo……..
………………. doveva regredire all’infanzia ………
là c’era l’origine di tutto.
Se doveva prendere una decisione, doveva tornare là dove tutto era cominciato e dove l’unico mezzo di trasporto erano i sogni.
Apriti sesamo ……….
…………. apriti cuore ……….
cosa pensavi quando facesti le scelte fondamentali?
Cosa pensa un bimbo di otto anni? prima che le possibilità gli vengano amputate una ad una?
"A otto anni, pensavo che navigare fosse bello come volare. Volevo iscrivermi ad una scuola per entrare nella marina commerciale."
Vittorio lo guardò severo.
"Non sapevo di soffrire il mal di mare."
Adesso è Vittorio a dischiudere di nuovo l’entrata di Sesamo.
"Apriti sesamo" dice agitando le sue mani fatate……….
come avere otto anni.
di nuovo
ancora per una volta
………. basta un ‘apriti sesamo’ e il senno si perde nelle terre della luna, i sentimenti si sciolgono in un limbo incolore e gli istinti si annullano come quelli degli angeli.
……. non sei ancora uomo e non sei più una bestia………
………………………… e non ti è possibile diventare un angelo ………………
sei un bambino di otto anni.
Ora domandati: se ti dicessero che non soffri più il mare, ti imbarcheresti?

Sapeva di non dover accettare. Tutto glielo diceva.
Purtroppo in quel momento sentì spirare aria di casa e fu inevitabile.
Da quella sera non pensò più ad altro e per quello che ne sappiamo l’esperimento è ancora in corso.

Giovanni Bergamini

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