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Convenzione internazionale contro le cluster bombs

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«This treatysets the highest standard to date for victim assistance
and will make areal difference to affected people and communities around the world»
(Branislav Kapetanovic, vittima dimunizioni cluster)
 
 
Introduzione
Alcuni numeri[1]:36, i paesi ancora fortemente inquinati dai frutti delle cluster bombs,o bombe a grappolo; 15, i paesi che hanno fatto uso fino ad oggi di questidiabolici ordigni; 34, i paesi produttori, e tra questi figura l’Italia; 85,quelli che ne detengono ancora importanti stock, e ancora il nostro paeserisulta tra i primi.
Altri numeri[2]:108, i paesi che hanno firmato la Convenzione sulle munizioni a grappolo[3];39, quelli che l’hanno ratificata permettendole di entrare in vigore lo scorso1° agosto, e purtroppo l’Italia non è tra questi.
Ancora: circa 440milioni, il numero di bombe utilizzate negli ultimi 50 anni nei diversi scenaridi conflitto (da ultimo in Kossovo, Afghanistan, Iraq e Libano) e, di queste,circa 100 milioni giacciono a terra ancora inesplose.
Da ultimo: 5%, lapercentuale di proiettili che potrebbero rimanere inesplosi (e, dunque,pericolosi per le popolazioni civili al termine delle ostilità) secondo quantodichiarato dai fabbricanti; fino al 55%, secondo gli studi condotti da diverseong[4];più di un miliardo, le munizioni stoccate nei vari depositi in giro per ilmondo.
Decine di migliaiai feriti, ogni anno, di guerre mai concluse.
 
La questione aperta
Le bombe a grappolo,o cluster bombs, o armi a sub-munizioni, appartengono a una tipologia diarmamenti particolarmente infida che ha fatto la sua apparizione sulla scenadurante la II guerra mondiale grazie a Germania e Unione Sovietica. A seguire,poi, sono state perfezionate da molti a partire dagli anni ‘50 del XX secolo.
Il veicolo ocontenitore principale, che solitamente è un fusto missilistico tradizionale,porta al suo interno uno svariato numero di proiettili esplosivi, lesub-munizioni (da qualche decina fino a 2.000!); una volta che il mezzoprincipale viene lanciato da un apparato di artiglieria o sganciato da unaeroplano o da un elicottero, questo si apre liberando il suo contenuto disub-munizioni esplosive che si disseminano su una vasta superficie (nell’ordinedella decina di kmq) e vanno a colpire gli obiettivi prefissati (persone,veicoli, strutture). O almeno questo è l’auspicio di chi ne fa uso, dal momentoche, essendo in caduta libera, non si può garantire in maniera assoluta ilraggiungimento del bersaglio. Anche quelle di concezione più avanzata, dotatedi sistemi di guida a distanza, risentono comunque delle condizionimeteorologiche e di altri fattori ambientali al momento del lancio.
Vi sono diversitipi di bombe cluster: anti-persona, solitamente piccoli apparati metallici aframmentazione contenenti esplosivo; anti-carro, ordigni esplosivi guidati dasensori per dirigersi verso i mezzi corazzati presenti nell’area e colpirli contestate perforanti o piccole cariche cave che esplodono al contatto con lasuperficie solida, perforandola; miste, capaci di proiettare frammenti, perforarecorazze o avere effetti incendiari.
Ad oggi, leautorità internazionali hanno censito circa 210 differenti modelli di armi asub-munizioni prodotti da 34 paesi. Gli arsenali delle forze armate di ben 85nazioni accolgono ancora milioni di cluster con miliardi di sub-munizioni.
Nelle intenzionidei costruttori e degli utilizzatori, i proiettili dovrebbero esplodere alcontatto con il suolo (o con il bersaglio) per causare il maggior dannopossibile sull’area sottoposta al bombardamento, ma spesso ciò non accade e iterritori rimangono inquinati da ordigni inesplosi anche per decenni dopo iltermine delle ostilità, causando danni irreparabili alla ripresa della vita delpaese[5].
La storia recenteha mostrato che un enorme quantità di munizioni non esplodono al momentodell’impatto: stime condotte dal CICR[6]conducono a ritenere che il tasso di non-funzionamento si attesti tra il 10% eil 40% del totale. Da ciò consegue che l’impiego su vasta scala di queste armiporti ad avere interi paesi letteralmente infestati da milioni di ordigniinesplosi.
Le sub-munizioni aterra spesso, poi, esplodono quando vengono manipolate o urtateaccidentalmente, costituendo così un grave pericolo per le popolazioni civiliche cercano di tornare alla normalità nonché per le varie attività diricostruzione conseguenti ai conflitti: anche il tradizionale lavoro nei campiviene pregiudicato per anni e i danni sono paragonabili a quelli causati dallemine anti-uomo.
 
La soluzioneproposta
Proprio per ovviarealle atroci e continue sofferenze causate da questi ordigni, i paesi dellacomunità internazionale, riunitisi a Dublino nel maggio 2008, hanno negoziato eadottato la Convenzione sulle armi a sub-munizioni che, sotto l’egida delleNazioni Unite e della Croce Rossa Internazionale, va a costituire un ulterioreed importante tassello al sistema del diritto internazionale umanitario[7](DIU), sempre più rilevante in un periodo di “pace” combattuta quale quello checontinuiamo a vivere. Firmata nel dicembre dello stesso anno a Oslo (ed eccoperché il trattato è altrimenti noto come Convenzione di Oslo) da 108 paesi[8],è entrata in vigore il 1° agosto di quest’anno in seguito al deposito deltrentesimo strumento di ratifica (ma ad oggi sono 38 gli Stati parte a questostrumento di diritto internazionale).
I 23 articoli checompongono la Convenzione si propongono di offrire ai paesi aderenti un quadronormativo organico che impedisca per l’avvenire ogni ulteriore utilizzo dellearmi a sub-munizioni e al contempo impegni tutti alla soluzione dei problemi dinatura umanitaria associati a queste.
Di grandeimportanza, nel preambolo dello strumento internazionale, la prima affermazionedei firmatari che si sofferma sulla profonda preoccupazione per il fatto che lepopolazioni civili continuano ad essere le vittime più duramente toccate daiconflitti armati moderni e, in piena sintonia e coerenza, l’ultimo paragrafoche richiama i principi e le regole del diritto internazionale umanitario[9]relativamente ai limiti che le parti ad un conflitto devono comunque osservarenella scelta dei metodi e mezzi di guerra e alla distinzione tra popolazionecivile e combattenti, così come tra beni di carattere civile e obiettivimilitari, nonché il richiamo alla protezione generale contro i pericolirisultanti dalle operazioni militari per i civili.
I contenuti piùrilevanti della Convenzione si ritrovano nei primi nove articoli che dispongonoprecisi impegni per gli Stati parte, i restanti essendo dedicati allecosiddette norme di funzionamento del sistema posto in essere dal trattato.
Il primo articolo, inmaniera originale, contiene la descrizione delle obbligazioni generali e delcampo di applicazione del trattato in maniera negativa stabilendo che ciascunpaese parte s’impegna a «non più mai, in nessuna circostanza»[10]:
a.           impiegarearmi a sub-munizioni;
b.           progettare,produrre, acquistare in qualsiasi altro modo, stoccare, conservare o trasferirea chiunque, direttamente o indirettamente, armi a sub-munizioni;
c.           assistere,incoraggiare o incitare chiunque a impegnarsi in una qualsiasi delle attivitàvietate dalla Convenzione.
Gli stessi obblighisi applicano, mutatis mutandis, alle piccole bombe esplosive concepiteper essere disperse o liberate da un apparato fissato ad un aeromobile, mentrenon trovano applicazione alle mine (che sono oggetto di un accordo specifico[11]).
All’art. 2, ove sipropongono le definizioni utili all’applicazione della Convenzione, è darilevare l’amplio spettro di danni che si considera abbiano come conseguenza”vittime di armi da sub-munizioni”: per cui, oltre alla morte e ai pregiudizifisici e psicologici, sono citati pure la perdita materiale, l’emarginazionesociale e l’attentato sostanziale al godimento dei propri diritti. Inoltre, siconsiderano vittime, le persone direttamente toccate dalle armi, così come leloro famiglie e le loro comunità: quasi a voler significare che il dannoportato dall’uso di questo tipo di ordigni vada a ledere un bene comunecondiviso quale quello della socialità.
Si dà poi unaprecisa definizione di “armi a sub-munizioni”, vale a dire una «munizioneclassica concepita per disperdere o liberare delle sub-munizioni esplosive dicui ciascuna pesa meno di 20 chilogrammi». Tali sub-munizioni, non guidate,sono congegnate per esplodere prima dell’impatto, al momento dell’impatto odopo l’impatto. Seguono, a contrariis, delle esclusioni dalla precedentecategoria, ad esempio non rientrano nella definizione generale quelle checontengono meno di dieci sub-munizioni le quali hanno un peso unitario maggioredi 4 chilogrammi.
A seguire vengonoofferte le definizioni di “sub-munizione esplosiva”, “arma a sub-munizionidispersa”, “sub-munizione non esplosa”, “arma a sub-munizione abbandonata”,”resti di armi a sub-munizioni”, “trasferimento”, “meccanismo diautodistruzione”, “autodisattivazione”, “zona contaminata”, “mina”, “piccolabomba esplosiva”, “dispersore”, “piccola bomba esplosiva non esplosa”, tuttefunzionali all’operatività di quanto gli Stati parte si impegnano a fare.
L’art. 3, infatti,consacra poi l’impegno degli Stati a distruggere tutti gli stock di bombe a grappoloposti sotto la propria giurisdizione entro il termine di 8 anni dall’entrata invigore della Convenzione (salva la possibilità di chiedere delle proroghemotivate all’Assemblea degli Stati parte). Gli Stati possono mantenere piccoleriserve unicamente a fini didattici per i tecnici artificieri, ma ne devonocomunicare l’entità e la localizzazione.
La normasuccessiva, l’art. 4, prevede l’impegno alla bonifica delle zone contaminatedagli ordigni, alla distruzione dei resti esistenti sui territori interessati eall’avvio di programmi di formazione e sensibilizzazione per ridurre al minimo irischi per l’incolumità delle popolazioni civili coinvolte. Questo nel terminemassimo di 10 anni dall’entrata in vigore della Convenzione.
All’art. 5 sonoinvece dettate le modalità di assistenza da offrire alle vittime che, inconformità al diritto internazionale umanitario e al diritto internazionale deidiritti dell’uomo applicabili, dovrà tenere in considerazione l’età e il generedelle persone e prevedere cure mediche, riadattamento e sostegno psicologico,inserimento sociale ed economico. Gli Stati sono tenuti inoltre a elaborareprecisi piani di intervento ed a stanziare risorse per finanziarli: e questa èla prima volta che uno strumento convenzionale di diritto internazionaleumanitario prevede delle disposizioni così precise sull’assistenza allevittime.
Il successivo art.6 sottolinea e rafforza il ruolo delle azioni internazionali di cooperazione eassistenza arrivando a sancire un vero e proprio “diritto a cercare e ricevere”aiuto da parte degli altri partner. E, specularmente, al par. 2 si prevede unasorta di “dovere” dei paesi in grado di farlo, di fornire assistenza tecnica,materiale e finanziaria per le differenti attività legate all’applicazionedella Convenzione.
L’art. 7 indicaquali misure dovranno porre in essere gli Stati parte al fine di garantire la trasparenzanell’esecuzione delle obbligazioni assunte in virtù del trattato, sia neiconfronti degli altri paesi che verso gli organi delle Nazioni Unite: inpratica, si impone la presentazione di un rapporto nel quale vengano indicati itempi e le modalità per avviare le ulteriori attività previste, entro 6 mesidall’entrata in vigore della Convenzione e a cadenza annuale per relazionaresui progressi conseguiti.
L’art. 8 offre quindiuno strumento di aiuto per eventuali chiarimenti dovessero palesarsi necessaritra i paesi parte su questioni relative il rispetto delle disposizioni dellaConvenzione, in pratica una sorta di consulta inter-governativa che si possaattivare con minori formalità ed in tempi rapidi.
L’art. 9, daultimo, impegna le parti ad adottare ogni provvedimento legislativo,regolamentare o di altri tipo che si ritenga appropriato per porre in opera laConvenzione, comprendendo eventuali sanzioni penali per prevenire e reprimerele attività vietate.
Come anticipato, lerestanti norme dettano quell’ulteriore serie di corollari destinati alfunzionamento del sistema convenzionale (regolamento delle controversie, attivitàdell’assemblea degli Stati parte, costi di funzionamento, ecc.).
 
Le prospettivefuture
Una volta a regime,la Convenzione permetterà di evitare molte sofferenze umane dal momento che imilioni di bombe a grappolo ancora esistenti negli arsenali militari del mondo verrannodistrutti e le vittime, persone e comunità, saranno coinvolte nei programmi diassistenza e recupero sostenuti a livello internazionale.
Per di più,considerando il quadro complessivo dato dalla Convenzione di Oslo del 2008,questa sulle bombe a grappolo, da quella di Ottawa del 1997, sulle mineanti-uomo, e dal Protocollo del 2003, relativo ai resti esplosivi di guerra,possiamo riconoscere che la comunità internazionale si è dotata di unostrumentario efficace per sconfiggere quelle che vengono definite “armi che nonsmettono mai d’uccidere” e per operare con impegno alla ricostruzione dellecondizioni necessarie per una pace reale in quelle regioni del pianeta pertroppo tempo martoriate dalla guerra.
Un aspetto moltodelicato riguarda la partecipazione di Stati parte alla Convenzione adoperazioni militari congiunte con forze armate di paesi non aderenti (casoemblematico che tocca da vicino l’Italia, che ha firmato ma non ancoraratificato la Convenzione, e che ha proprie truppe schierate accanto agli StatiUniti, che hanno sempre apertamente osteggiato la campagna contro le bombecluster): il trattato, infatti, non impedisce simili cooperazioni militari,tuttavia, salvo gli obblighi che permangono in capo agli Stati parte di nonimpiegare in alcun modo ordigni vietati, questi dovrebbero al contempoimpegnarsi per promuovere l’adesione alla Convenzione e scoraggiare l’utilizzodelle armi.
Dunque, via liberaalla partecipazione ad operazioni congiunte ma divieto assoluto di utilizzare,stoccare o trasferire bombe a sub-munizioni. Palese risulterebbe il conflittotra le obbligazioni poste dai differenti strumenti giusinternazionalistici: ilTrattato Atlantico (per le operazioni in ambito Nato, per esempio) e laConvenzione di Oslo. E a poco servirebbe il tentativo di conciliare ilconflitto di norme invocando principi classici quali «pacta sunt servanda»o ancora «lex specialis posterior derogat generali priori»: in questocaso, purtroppo, l’unico principio a valere sarebbe quello altrettanto classicoma meno giuridico «ubi maior, minor cessat».
Comunque, a frenaregli entusiasmi italici per la ratifica della Convenzione pare non sia solo lafedeltà all’alleato d’oltreoceano e il timore di non poter più dimostrare lanostra predisposizione al coinvolgimento in operazioni internazionali: infatti,verificando i bilanci delle aziende nostrane impegnate nel settore, risultache, in caso di ratifica, il mancato fatturato per gli obblighi conseguentipotrebbe raggiungere i 160 milioni di euro all’anno. Veramente un duro colpo!
E sappiamo bene che,di fronte ai “valori economici”, tutti gli altri “valori” passano in secondopiano: anche la “vita umana” e la “pace”.
 
Conclusione
Battute a parte, eal di là dei tempi di ratifica dei diversi paesi (Italia compresa) o deldisinteresse palese di grandi potenze (Stati Uniti, Russia e Cina solo percitarne alcune), riteniamo che la Convenzione sulle bombe a grappolo potràavere un forte impatto sociale grazie al ruolo dei media e della società civileche stigmatizzeranno sempre più queste armi e i paesi che continueranno aprodurle, venderle e utilizzarle, sottolineandone il comportamento criminalenei confronti dell’intera comunità umana.
Speriamo che questorenda più difficile, e magari un domani impossibile, il loro impiego e, diconseguenza, un passo naturale l’adesione alla Convenzione.

 



[1] Cfr. www.stopclustermunitions.org, sito ufficialedella Cluster Munition Coalition.
[2] Cfr.www.clusterconvention.org.
[3] Per il testo dellaConvenzione si vedawww.clusterconvention.org/pages/pages_ii/iia_textenglish.html.
[4] Per tutte si vedawww.handicap-international.org.
[5] Si veda il caso dell’Afghanistandove si sta tuttora cercando di bonificare il territorio dalle PFM1, in gergochiamate “pappagalli verdi”, eredità delle guerra russo-afghana degli anni ‘80,cfr. Strada G., Pappagalli verdi, Milano, 2000.
[6] ComitatoInternazionale della Croce Rossa, cfr. www.icrc.org.
[7] Cfr. tra gli altriMonari A., Il Diritto nella Guerra, in KultUnderground, n.1,2006.
[8] Per gli aggiornamentirelativi ai paesi aderenti alla Convenzione si rimanda ai siti sopra citati, www.clusterconvention.org o www.stopclustermunitions.org o treaties.un.org.
[9] Per il sistema delleConvenzioni di Ginevra si veda www.icrc.org/web/fre/sitefre0.nsf/html/genevaconventions.
[10] Nei testi in versioneufficiale si trovano le seguenti dizioni: «never under any circumstances»(in inglese), «ne jamais, en aucune circonstance» (in francese), «nunca,y bajo ninguna circunstancia» (in spagnolo). Si omettono le versioni,parimenti ufficiali, in russo, cinese e arabo.
[11] Per il testo delTrattato di Ottawa sull’interdizione dell’uso delle mine anti-uomo, firmato il18.09.1997 ed entrato in vigore il 01.03.1999, si veda www.cicr.org/dih.nsf/INTRO/580 owww.campagnamine.org.

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