KULT Underground

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Factotum

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Avevo riletto il libro prima di andare al cinema. Non ci avevo messo molto, solo una settimana. Lo stile era quello secco, semplice e disincantato del vecchio Hank. Più che altro una collezione di lavori di merda per tirare avanti, di estenuanti sbronze, di donne pazze e di situazioni grottesche. Bukowski non se l’è mai passata bene ma la sua salvezza è stata la scrittura. Il materiale umano, pieno di dolore e incomprensione, ha trovato una sua dimensione sulla pagina scritta. Tra i bordi del foglio, nelle righe fitte buttate giù su un quaderno o un taccuino, la vita che sembrava non riservargli niente ha trovato una forma. Le parole sono riuscite a dare a Bukowski quello che nessun essere umano (a parte forse qualche donna) è stato in grado di dargli. Un po’ di comprensione, un po’ d’amore e qualcosa per la quale valesse veramente la pena vivere.

Matt Dillon, prima di tutti, riesce nell’impresa. Rendere umano e sincero (lontano dunque da ogni stereotipo) il personaggio di Henry Chinaski, l’alter ego letterario di Bukowski. Goffo, lento, romantico, ironico, beffardo, cinico, scontroso Chinaski è l’insieme di tutte quelle caratteristiche che ogni appassionato del vecchio Hank conosce alla perfezione. Modellato sul suo predecessore, Arturo Bandini (del tanto amato John Fante), Chinaski è uno che la vita la prende da lontano, con una distanza voluta che limita i danni che la vita stessa infligge.

Matt Dillon si prende i suoi tempi, segue la flemma esistenziale del suo personaggio che non si spaventa davanti a nulla, consapevole ormai di quanto la vita sia beffarda e di quanto sia inutile opporsi a quello che il destino ci riserva. L’unica cosa che possiamo fare è giocarcela fino in fondo, come ci ricorda la bellissima poesia che conclude il film.

 

se hai intenzione di tentare

fallo fino in fondo,

non esiste sensazione altrettanto

bella.

sarai solo con gli

dei

e le notti arderanno tra

le fiamme.

 

fallo, fallo, fallo.

fallo.

 

fino in fondo.

fino in fondo.

 

cavalcherai la vita fino alla

risata perfetta, è

l’unica battaglia giusta

che esista.

 

Il film viene costruito seguendo alcuni degli episodi del libro e trova le sue uniche differenze nel periodo in cui è ambientata la storia (nel libro siamo nel dopoguerra, nel film sembra di essere nei nostri giorni) e nell’età del suo protagonista (sui ventotto nel libro, sui trentacinque o più nel film). Ma quella che rimane immutata è l’anima di Hank e tutto quello che in essa vi è racchiuso. Tutto quello che con il tempo ho imparato a conoscere e poi ad amare, scoprendo una persona che attraverso le parole ha parlato per la prima volta (e più di qualsiasi altro scrittore) alla mia  anima. Ecco cosa rappresenta Bukowski più di ogni altra cosa, la possibilità di comunicazione con altre persone. Il pensare che gli altri, attraverso le parole, possano entrare nel fondo della nostra anima e riconoscersi con quanto stiamo dicendo. E credo veramente che nella vita ci sia poco in confronto a questo. O per lo meno nella vita di chi voglia essere uno scrittore.

Con gli anni Bukowski ebbe la buona idea di costruirsi attorno il proprio mito, quello che poi nel tempo è rimasto ma che di lui è solo la facciata, la parte esteriore. L’anima, invece, è in profondità ed è un regalo (o un tesoro) che ha nascosto nel fitto delle sue pagine e che solo chi ha avuto la voglia e il desiderio di leggersi tutti i suoi libri è riuscito a scoprire.

Perché oltre ai cavalli, le donne, i sigari, gli alcolici e le scopate ci sono loro, le parole, quelle che hanno costruito il suo mondo, le uniche che quest’uomo non ha mai tradito.

E che giustamente, dopo anni di tentativi, lo hanno ricompensato.

Perché la gloria, dovunque essa sia, può essere di tutti.

Basta solo tentare e farlo fino in fondo.

Alla tua, Hank.

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