Alla fine sono riuscito a conquistare le simpatie di MaryLou, dopo la solita trafila di palpitazioni e trame varie, dove la sincerità annaspa per rimanere a galla nell’ingorgo caotico dei dialoghi tra le mie diverse personalità. Non male, comunque, l’effetto finale con relativo accompagnamento a casa.
Premessa: serata in una discoteca BELLA. Dove la gente va prima di tutto per ballare e non:
– prima di tutto per bere;
– prima di tutto per rimorchiare;
– prima di tutto per farsi notare;
– prima di tutto per farsi.
E che bellezza! Che bellezza questo popolo di amici sereni con capelli vari ogni colore ogni genere di felicità mi colpisce con sottili passi laterali e qualche pestone inevitabile che sport che agilità SIAMO forse un popolo eletto? Di certo non fatico ad amarli tutti.
E la mia MaryLou… è una regina.
Incontrastabile.
Io vedo mille luci e mi ci lascio cadere io sento la musica e l’attraverso volteggiando io invoco il magico sudore e il battito veloce così sempre un attimino più distratto e sempre un attimino più solo – strana sensazione quella di lasciarsi prendere dalla musica quando perdi una certa tragicamente nota identità e per questo ti ritrovi solo, salvo poi ritrovarti abbracciato stretto al tempo della musica allo stuolo di amici che amano questo ritmo, ormai qui si è una compagnia unica, un organismo in continua evoluzione.
Siamo belli come il sole. E nel dolce mare delle note affogo.
Black-out.
Passano circa un paio d’ore prima che mi riprenda e ritorni ad avere un nome, un odore, facce intorno più familiari di altre. E dopo un bevuta d’obbligo e qualche paglia di rilassamento seguo i desideri d’allontanamento. Buonasera mia Regina. Abbracci innocui per il momento è tutto ciò che scoppietta tra di noi. Ma mi muovo bene e nel trambusto feriale dell’uscita dalla disco finisce che MaryLou ce l’ho in parte e alla fine ce l’ho in macchina. Ti porto a casa io, Regina, non temere. O forse, temi.
La concentrazione è d’obbligo, nulla di peggio per rovinare un momento spettacolare come questo di un incidente o comunque una mossa avventata, idiota, pericolosa. La rete che ci avvolge è un delicato telo orientale con tutti i colori dell’universo drappeggiati sopra e la sua fragilità si espande come un grido, come un richiamo, come un inconfondibile sguardo di seduzione, e promette che potremo dilatare le ore che ci separano dall’alba fino a renderle degne di una esistenza intera (saranno decine, alla fine della mia vita, le esistenze diverse che mi troveranno addosso) e a questa fragilità noi ci dobbiamo dedicare con la fede muta di un cavaliere, niente incidenti e imprevisti a spezzare la gaia potenzialità di quest’angolo di station-wagon.
E con meno parole ancora di quelle strettamente necessarie giungiamo a casa sua.
Dove mi fa salire.
Non sapevo vivesse da sola, in questa casa dove le scale sembrano immense, più che altro ne sono l’impronta principale. Una casa ahimè disordinata come solo determinate geniali personalità possono
Io mi ci sorrido dentro, con poche esitazioni.
– Musica – dice lei con un tono gentile che tuttavia riconosco come imperativo. Non è una domanda, né un suggerimento
Partono i Placebo. L’atmosfera è dorata, ragazzi miei, mi comincio a vedere ondeggiare morbido e SENSUALE come una bandiera antica, e intanto sarà la mia testa sarà l’emozione saranno gli ormoni mi sembra che vi siano meravigliose luci stroboscopiche come un’ora fa che mi abbagliano e mi sollevano, intanto che lei si aggira furtiva – la mia felina preferita – per una casa dalle luci basse e gli angoli affidabili.
E’ stato che i Placebo mi hanno preso troppo bene, è stato che avevo ancora un po’ di ebbrezza ballerina (tutta naturale, lo giuro), è stato forse che la stanchezza gioca scherzi strani alle menti sensibili come la mia. Ma è successo che per qualche minuto, credo siano stati tra i sette e i dieci, non ero più lì. Ero in piedi e mi sono come risvegliato ancora ondeggiante e sensuale ma questa volta decisamente esterno come uno spettatore di un patetico ballerino stanco. E ho sentito un rantolo.
Una decina di secondi tutta per riconfigurare le coordinate dell’evento: quando, dove, con chi, a che punto ero. E il successivo rantolo mi ha colto pronto a balzare verso la Regina, evidentemente in agonia in una delle stanze superiori.
Era il bagno, ragazzi miei che bagno. Al disordine comune s’aggiungevano le scarpe della suddetta e un portasalviette steso a terra, una grossa macchia di sostanze strane – poi riconosciute come da seguito – a pochi passi dai piedi della creatura da me desiderata che stava stesa più o meno al posto del tappetino che solitamente circonda il cesso. Uno straccio di donna. Dalle labbra ancora pendevano rivoli di vomito e dal cesso si esalava un odore familiarmente insopportabile.
Ed era questo bagno illuminato da una luce blu che mi sapeva di toilette da metropolitana, rendeva MaryLou quasi un’estranea.
Ma quant’è brutto quando vomiti e il tuo unico amico è il bidet nel quale cercare un poco di ristorante acqua fresca dopo che il tuo corpo si è sonoramente vendicato di ciò che hai fatto e bevuto fino a quel momento… questo pensiero mi ha dato la forza di aiutare l’amica in difficoltà. La Zanardite mi ha colto così all’improvviso impetuosa e prima di correre da lei (il cui corpo sembrava peraltro aver terminato il lamento per la serata) ho sollevato il portasalviette, ne ho presa una e l’ho poggiata sopra la macchia scura, e spostato tutto ciò che ingombrava la mia cavalleresca impresa, ho aperto l’acqua del bidet al quale poi ho avvicinato l’adorata, sollevandola piano e sciacquandole la bocca. Che ora come ora sinceramente, appariva decisamente meno invitante. Ho strappato qualche pezzo di carta igienica e l’ho pulita dolcemente. Che bella sensazione! Essere di conforto, intendo. Perché vomitare dopo una serata così non è niente di straordinario e tutto sommato è un male decisamente cercato, ma MENTRE stai male i tuoi pensieri non sono così morbidi: i tuoi pensieri vertono piuttosto su un complotto cosmico che si accanisce contro di te e la tua pace mentale cercando in un sol colpo di farti espiare i peccati di interi popoli.
E’ il momento del: dai che passa, dai resisti che adesso passa.
E’ il momento del: no, basta, non bevo più.
E’ il momento del: cazzo che male cazzo che male cazzo che male.
Non so voi, io generalmente piango.
Io e la Regina ci siamo addormentati esausti su un letto che pareva degno di una prostituta con entrate alte e frequenti, al termine di ordinarie battaglie a pagamento. Ma né io né altri esseri umani erano in qualche modo colpevoli di ciò se non la Regina stessa, nell’esistenziale contrasto se alzarsi o meno che si ripete il Sabato mattina.
Certo alla fine il letto vince sempre. Eccoci qua di nuovo.
Arrivò l’alba e arrivò il mezzogiorno e arrivò una signora, poi classificatosi come madre, svegliandoci. Ecco, mi sembrava che non vivesse sola.
Sono felice di non essermi svegliato prima, per conto mio, avrei potuto immaginare il lieto fine con la Regina che si sveglia si rende conto dell’accaduto s’intenerisce per lo Zanardi versione angelo custode e se lo scopa lì per lì nei raggi timidi di tende ricamate (dite la verità, che è fantastico far l’amore di mattina…)
Invece, ripeto, la madre ci svegliò e solo poi ci ho ripensato. Quando la Regina era ormai lontana. E’ tempo di cambiamento. Qualche sera fa ero di nuovo a ballare nella discoteca che ci vide eroi e di Regine, neanche l’ombra. Ti si vorrà bene in eterno, MaryLou che fosti regale e inimitabile.
Ma, magari, bevi di meno.
La regina
Alessandro Zanardi