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Tre ”non registi” a confronto

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Tre "non registi" a confronto

L’ondata di nuove uscite avvenuta proprio durante la chiusura del numero di Novembre mi impedisce di (o forse mi salva) di recensire i "filmoni" come "Salvate il soldato Ryan", "La leggenda del pianista sull’oceano", "Gatto bianco gatto nero", "Tutti pazzi per Mary", ecc.
Meglio così. Kult Underground si dimostra ancora una volta fuori dal coro dandovi la possibilità di fare un po’ gli snob estraniandovi dalle discussioni che riguardano questi film per buttare lì, con noncuranza, qualche disquisizione "off", tanto per lasciare allibiti gli amici, o tanto per perdere definitivamente il loro saluto…
I tre "non registi" del titolo sono due attori ed un cantante che nel corso dell’ultimo anno si sono cimentati dietro la macchina da presa. Dio mio, scrivo proprio come leggo. Mi rendo conto che espressioni come "fuori dal coro" o "cimentarsi dietro la macchina da presa" vengono pari pari dai quotidiani e dai periodici e sono così utilizzate da essere diventate un’unica parola per un unico utilizzo. Cercherò di fissare una sorta di dogma come quello "imposto" da Lars Von Trier (il regista di "Le onde del destino") ai suoi colleghi danesi: camera a mano, niente scenografie, musica e dialoghi in presa diretta ad esempio. Per "Alla prima e alla seconda" non si potranno utilizzare più le frasi fatte e le espressioni logore e scontate come "cimentarsi dietro la macchina da presa", appunto.
Johnny Depp trae da un romanzo la sceneggiatura di "The brave" ("Il coraggioso") e poi, su pressione dei produttori, ne interpreta il protagonista. Raphael è un nativo americano che vive in un villaggio sorto alle pendici di una discarica di rifiuti, presumibilmente alla periferia di una grande città statunitense del sud, dato che questa sorta di "corte dei miracoli" parla la lingua spagnola. Raphael è alcolizzato, ma neanche troppo, ed ha dei precedenti penali di poco conto. La sua famiglia passa le giornate a rovistare tra i rifiuti e a dormire. Non c’è verso di uscire da questa situazione, anche perché la recessione avanza e un abitante della discarica non ha nessuna possibilità. Raphael si reca in città per un lavoro, una "soffiata" che gli hanno fatto in un bar. Dopo qualche preambolo capisce che dovrà farsi torturare fino alla morte sul set di uno "snuff-movie", ma noi lo capiamo più da quanto abbiamo letto durante il festival di Cannes che dalle parole di Marlon Brando nel cameo regalato all’amico Depp. L’anticipo basta per comprare una nuova televisione ed un po’ di giochi per i figli ma il giorno si avvicina. Riconquistati moglie e figli, Raphael si reca poi all’appuntamento mentre le ruspe abbattono la baraccopoli.
Luciano Ligabue traduce in immagini quello che già aveva scritto in "Fuori e dentro il borgo". Il borgo è naturalmente quello di Correggio e le storie che vi si svolgono sono un po’ quelle che abbiamo vissuto tutti noi nati tra il ’65 ed il ’75. "Radiofreccia" prende come semplice pretesto la nascita di una radio libera grazie alla passione e alla testardaggine di uno studente come tanti. I suoi amici sono il figlio di papà, il bravo ragazzo, l’operaio ambizioso e il male integrato. Freccia è il soprannome del leader di questo gruppo. Freccia ha il maggiolone con il quale scorrazzare tra Brescello e Carpi, Freccia le ragazze se lo mangiano con gli occhi, Freccia, sotto sotto, ha qualcosa da dire. Così succede che, tanto per stare insieme, tutti si prodigano per mettere su la radio, rubacchiando qua e là e portando i propri dischi personali all’inventore di quest’avventura, anche quelli talmente inascoltabili da far venire voglia di mettere su la radio. Freccia poi si allontana dal gruppo. Una scelta "involontaria" lo rende tossicodipendente e ladruncolo. La madre e il suo nuovo compagno non aiutano la situazione. La radio va avanti con qualche compromesso di sponsorizzazione. Il figlio di papà è sempre stronzo. Un altro di loro nasconde dietro alla timidezza una situazione famigliare impossibile, tanto da portarlo in galera. Uno si sposa e poi Freccia muore (tanto lo avete già visto tutti) e con loro la giovinezza dei ragazzi del borgo.
Vincent Gallo, attore quasi cult, parlà di sé e solo di sé in "Buffalo ’66" dove interpreta sé stesso, o una sua rielaborazione se preferite, durante una visita famigliare più dovuta che voluta. Vincent esce di prigione e deve andare a trovare i suoi genitori (Angelica Houston e Ben Gazzara) ai quali ha però raccontato di avere un bel lavoro ed una moglie, forse per cercare inutilmente il loro affetto. Vincent è piuttosto improbabile, non è possibile avere un bel lavoro con quelle scarpe rosse a punta! Anche la moglie di Vincent è piuttosto improbabile. Mentre si reca dai genitori, a Buffalo appunto, Vincente deve assolutamente pisciare ma a dispetto del suo fare brusco e nevrotico non riesce semplicemente a farla contro un muro ma deve introdursi in una scuola di danza per andare in un bagno vero. Nella scuola di danza non riuscirà a fare pipì ma "rapirà" un’incredibile Christina Ricci e finirà col convincerla a recitare la parte della moglie di fronte agli sciroccati genitori. La madre è affettuosa a modo suo, ma la sua vita è riempita unicamente dalla squadra dei Buffalo della quale è una tifosa accanita tanto da rimpiangere il giorno del parto di Vincent perché si svolse in contemporanea con un’indimenticabile partita. Il padre è alcolizzato, tendente al porco ma nasconde un passato da cantante confidenziale alla Frank Sinatra con il quale fa sorridere anche la "nuora". E Vincent? Lui conta i minuti che mancano al termine di una visita di durata accettabile tra aneddoti e foto della sua infanzia, che lui ricorda in modo mooolto diverso, e dialoghi muti con i suoi genitori.
Cosa dire quindi di queste prove? "Il coraggioso" si basa su una buona idea e Depp svolge il suo compito con precisione scenografica e "grandeur" di mezzi. Il villaggio della discarica è un bello spaccato antropologico dei nuovi emarginati, di coloro che vivono aggrappati agli stracci del benessere. Poi Depp si perde in tramonti, in giochi di luci, in inutili romanticismi tanto da far passare due ore senza che si veda un solo fotogramma del suo "lavoro". Per una star come Depp, che star lo è a tutti gli effetti pur avendo girato solamente film di qualità senza nessuna concessione, "Il coraggioso" è un compitino, sembra un compromesso tra la sua indole alternativa e ribelle e la paura di dimostrare di esserlo veramente. "Radiofreccia" convince in tutto e per tutto. Ligabue è genuino, tanto genuino e schietto che non riuscirà mai più a fare un film così perché ha già dato tutto, perché quello che voleva raccontare è tutto qui. "Tutto qui" non in senso riduttivo ma in senso esaustivo. I modi di dire, le situazioni, le delusioni, i personaggi di "Radiofreccia" li abbiamo visti e vissuti tutti, lui, forte del suo potere commerciale, ha potuto girarli. Vedere "Radiofreccia" è come riassumere tutte le sparate e le storielle che ci siamo già inventati e reinventati tutti, ma vederle è tutta un’altra cosa. "Buffalo ’66" è praticamente perfetto. Ad una ricerca stilistica di paesaggi ed inquadrature, Gallo associa una storia raccontata in modo mai banale e con uno stile personale senza essere però forzatamente personale. In "Buffalo ’66" non c’è buonismo, quello che Gallo pensa lo tramuta in immagini, come dimostrano le sue interviste arroganti e piene di sé ("a 16 anni volevo uccidermi, ma poi ho pensato che qualcuno avrebbe portato via tutte le mie cose", "non ho niente a che fare con i miei genitori, ero il figlio sbagliato in una casa alla quale non appartenevo").
Tre episodi di uno stesso film, molto diversi tra loro. Tre artisti che raccontano sé stessi, chi malino, chi bene, chi benissimo.

Michele Benatti

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