Direttamente dal 16° Torino Film Festival (ex Cinema Giovani) il lungometraggio "After life" di Hirokazu Kore-eda non lo si dimenticherà facilmente. Già vincitore di un riconoscimento di prestigio a Venezia ’95 con "Maborosi", il regista e sceneggiatore giapponese stupisce il pubblico del festival con un film apparentemente leggero e superficiale che solo dopo mezz’ora ti fa accorgere di esserci completamente dentro e di non poterne più uscire, proprio come i personaggi.
Un edificio simile ad una scuola un po’ in disuso ed un gruppo di persone che si apprestano ad una giornata di lavoro. Tutto sembra normale. Si sistemano alcune stanze in modo semplice in attesa delle persone che arriveranno ben presto, chiamate con un appello senza replica. Solo adesso capiamo che queste persone sono appena morte e l’edificio altro non è che una sorta di limbo, ma non è affatto un purgatorio, dove avranno una settimana di tempo per scegliere un episodio della loro vita particolarmente felice o significativo, tanto che sarà poi l’unico ricordo che conserveranno e che sarà il loro paradiso, la loro eternità.
Compito delle "guide" è quello di aiutare le anime a scegliere, facendosi raccontare la loro vita, facendoli aprire, capendo i loro desideri. Tra le guide il giovane Mochizuki instaura uno strano rapporto col signor Watanabe che non riesce a decidersi e trascorre il tempo a ricordare che non c’è proprio nulla da ricordare di una vita piatta e inerte. L’atmosfera è perfetta. La settimana di tempo scorre come se nulla fosse accaduto, come se le persone alle quali appartenevano le anime sapessero già cosa gli sarebbe aspettato "oltre" la vita, dopo la vita. Scopriamo così le vite dell’impiegato che ha volato una sola volta ma ha sempre vissuto con quel ricordo, la vita della signora così gentile e così umile anche nella morte da viverla senza alcun patema, il rimorso macerante dell’uomo d’affari che non vuole ricordare più nulla, il rifiuto del giovane ribelle a citare un istante solo della sua vita. Le guide ascoltano pazientemente e tentano di arrivare ad una conclusione con i casi loro affidati, ma l’incarico non è così semplice come sembra, l’estrarre i ricordi di un’altra persona non può lasciare indifferente un’anima.
Kore-eda inventa poi una magia che lega il suo film al cinema. I ricordi delle anime saranno trasformati in riprese cinematografiche, interpretate da attori-anime e coordinate direttamente dai protagonisti. L’effetto è emozionante e non ci si può fare a meno di chiedere cosa avremmo scelto noi. Nella sala una sorta di alone telepatico fa capire che tutti gli spettatori stanno pensando alla stessa cosa mentre sul video una signora giapponese è emozionatissima nel vedersi da piccola con un vestito da ballerina. L’inizio del film sembra annoiare: i colloqui ed il ritmo lento della settimana non lasciano certo presagire che da lì a poco ci saremmo trovati anche noi nel limbo di "After life" e forse è proprio quello che il regista vuole. Tra le sfumature del film ci sono storie personali, discorsi e sguardi che in questo contesto assumono un significato diverso.
Da Torino un’altra segnalazione interessante dal Giappone, dopo che qualche anno fa proprio da questo festival uscì un certo Takeshi Kitano1…
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Il paradiso dei laici?
Benatti Michele
Takeshi Kitano è il regista di Hana-Bi, vincitore del Festival di Venezia 1997, e di altri film recentemente riscoperti.