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Benaresyama Cap. VIII

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Capitolo VIII

Gli Angeli entrarono, e una magnifica visione si presentò ai loro occhi immortali : colonnati di verde Giada si estendevano per una distanza di circa cinquecento metri fino a convergere ad un piazzale elissoidale che costituiva quasi l’anticamera del tempio stesso, che si ergeva davanti a loro in un solenne silenzio millenario.
Mentre si dirigevano all’entrata , ai loro lati fiumi di acqua scorrevano con incedere maestoso, come se le stesse particelle di quel fluido conoscessero l’importanza che avevano in quelle regioni riarse da un sole che non concedeva scampo al viandante imprevidente;l’unica cosa che appariva alla stregua di un’intrusa era la fioca luce che giungeva da chissà dove e che, rimbalzando sulle colonne, generava strani riflessi che conferivano all’immensa costruzione un’aria di infinita staticità.
Il tempio, una costruzione probabilmente risalente all’era di Nermer, aveva pianta a croce greca. I due, appena entrati , si trovarono nuovamente immersi nell’oscurità, subito rischiarata dalla debole luce di una fiaccola : il tempo appariva essersi fermato in quel luogo antico, tanto gli ornamenti che adornavano fastosamente l’interno della navata che conduceva al centro del tempio stesso rilucevano di splendore.
I passi rimbombavano all’incedere di Benares e Rama, mentre sontuosi colonnati li accompagnavano : proprio su questi Benares focalizzò la sua attenzione, notando la presenza di una piccola targa alla loro base, che sembrava indicare progressivamente la numerazione della colonna : ad un accurato esame , Rama notò che le colonne erano in realtà delle strane macchine, riempite di un liquido denso che appariva simile a liquido amniotico , di cui solo l’ultima sembrava recentemente utilizzata : nel luogo regnava, infatti, il più totale abbandono.
" Cosa pensi che siano ? " Chiese Benares.
" Siamo qui anche per scoprire questo, no ? Affrettiamoci verso il centro del tempio, dove mi sembra già di scorgere quello che ci interessa." E indicò quello che appariva essere un antico volume.
Era quello dove giaceva da millenni il libro segreto di Nermer un altare che incuteva un immenso sentimento di sacralità e di riverenza , decorato con storie di una mitologia ormai dimenticata : vi si descriveva la vita delle antiche popolazioni nomadi dell’area egiziana, tanti erano i riferimenti alle occupazioni umane in quelle epoche antiche : erano rappresentati saggi alle prese con discepoli recalcitranti , agricoltori che si dedicavano all’arte agraria con amore e che ringraziavano la divinità per le messi, e ,soprattutto, i più grandi guerrieri nomadi di tutti i tempi, rappresentati attraverso scene mitiche della loro vita : c’era quello che dominava il drago e la bestia feroce, quello che piegava al suo volere i cinque elementi, e infine lui , il figlio prediletto di Horus, Narmer, rappresentato nel momento del suo contatto con la divinità, in quello della guerra, in quello dell’unificazione dell’area sotto il suo controllo.
Rama prese con delicatezza il libro, scritto in una variante antica di un dialetto egiziano, ma che era comunque in grado di leggere ; iniziò a tradurre ad alta voce quello che appariva come il proemio : " Alcune persone si ergeranno per un credo religioso : esse vivranno secondo ciò che altri diranno. Tu ,invece, chiudi gli occhi e fai la tua scelta : chiama il mio nome e io sarò lì !Sii la mia voce e quello che io dico, sii la mia vista e ciò che vedo : non temere alcun dolore, se sarai al mio fianco !".
Il libro continuava illustrando la vita di Nermer : giovane uomo pieno di desiderio di gloria, aveva in sé il sogno della costruzione di un impero che comprendesse tutte le regioni attorno a quel fiume che anticamente si credeva rappresentasse il centro del mondo : esso lo osservava con gioia, sapendo che un giorno tutto sarebbe stato sotto il suo dominio. Passarono gli anni, ma il tentativo di organizzare un esercito alla cui testa potesse sottomettere le popolazione che ritenevano il nomadismo il miglior genere di società desiderabile era terribilmente frustrato dalle rivalità interne e dalle diverse opinioni che , a partire da quelli che appartenevano ai ranghi più alti dell’esercito, raggiungevano gli strati più bassi di questo; la folla dei soldati di rango più basso era pressoché ingovernabile : al suo interno minata da contrasti etnici antichi come il mondo stesso, appariva ora appagata del suo operato, dispiegata tranquilla e silenziosa ad ascoltare gli ordini di quelle poche persone dotate del necessario carisma per soggiogarla , ora dominata dall’odio reciproco dopo aver fallito in un loro compito ( giacché nessuno sbagliava personalmente, ma tutti erano responsabili e colpevoli dei falli altrui ) , ora infine turbolenta, dominata dallo spirito di rivolta inculcato nella sua testa da uno dei tanti demagoghi da strapazzo che probabilmente fino a poco prima veniva ritenuto feccia, ma che, rivalutandolo secondo senso comune, veniva ora innalzato quasi a livello divino: la folla seguiva chi capitava alla stregua di un gregge che si dirigeva non dove si doveva, ma dove si andava.
Lacrime di sangue sgorgarono allora sul viso di Nermer : la natura umana era difficile , troppo difficile da piegare, anche per un combattente come lui : tuttavia, per il suo sogno, fu disposto a gettare via la sua umanità. Non credendo più necessaria la sua presenza in questo mondo, decise di separarsi da quello che era stato il mezzo con cui credeva avrebbe realizzato il suo sogno, e si incamminò in silenzio verso le regioni più desertiche invocando la morte : ma essa non lo ascoltò : quella notte qualcosa di diverso ascoltava le invocazioni di aiuto dei pellegrini persi nel mare dell’esistenza. Da un arbusto si generò improvvisamente una vampata di colore verde, tale mai si era potuta vedere in natura, e, a poco a poco, si iniziò a delineare una forma che in principio appariva umana, ma che lentamente assunse i lineamenti e gli attributi del Dio falco, Horus.
Esso parlò : " Io sarò il tuo Dio, mentre tu incarnerai il mio verbo e la mia essenza in terra. " Mentre parlava le sue parole non avevano il carattere di sublime offerta dei doni dell’onnipotenza, quanto di un ordine perentorio e che mai avrebbe potuto essere rifiutato. " La tua morte, misero uomo, non sarebbe né di giovamento a te ( finiresti infatti nelle desolate lande dei morti, dove le ombre di voi mortali languiscono in eterno e sempre ) né di utilità per noi, che siamo gli dei a cui voi dovete tributare onori e gloria : abbandonati a me, e nel tuo corpo nuovo vigore e forza inumana urleranno come mai si è udito, e poteri che neppure i maghi più potenti di Numidia osano sperare di possedere si infonderanno. Certo, puoi sempre rifiutare…" e il suo tono era sprezzantemente cupo, come sussurrante arcane blasfemie " tornerai, dunque, o alla tua miserrima vita, dominata dai dubbi e dalle incertezze causati da una folla che ti è necessaria quanto ti è odiosa , o ai tuoi ridicoli propositi di morte, divenendo zimbello tra gli uomini e tra gli dei ; oppure puoi seguirmi, e il potere sarà tuo, come le terre e i popoli. Rispondimi, uomo, badando bene a non avere incertezze nel tuo cuore : Vuoi tu il potere ? "
Il giovane Nermer, col cuore in subbuglio, si fece prendere dalla sua immensa smania di grandezza e dal desiderio di potere, e, senza la minima esitazione, proferì quell’unica parola che se da una parte era l’unica che gli apparisse giusta, dall’altra era probabilmente la sola che non avrebbe scatenato le ire del Dio, "…si.".
Una profonda e lugubre risata di Horus interruppe il silenzio che per pochi secondi si era venuto a creare dopo la risposta affermativa del giovane : il Dio , finalmente, portò via il giovane.
Passarono lunghi momenti in un luogo buio, col corpo solleticato da un dolce liquido che allo stesso tempo riforniva i polmoni di ossigeno, l’uomo del giusto nutrimento : attorno a sé poteva vedere solo verdi bagliori che rilucevano in uno spazio immenso, e altri, molti altri contenitori pieni di uomini come lui, ognuno in un diverso stadio di crescita, forse eroi o eroi che sarebbero stati. In quello stato di pace e silenzio, con la sola compagnia del battito incessante del suo cuore che scandiva ritmicamente i secondi che passavano inesorabilmente, ombre del passato si agitavano, formando confuse e sfuocate figure, mescolandosi con ombre che avevano un qualcosa di più reale e che ciclicamente sembravano controllare ogni singolo contenitore ; di tanto in tanto poteva sentire alcune voci che sussurravano direttamente al suo cervello, con un tono che a poco a poco si insinuava nella parte più animale e istintuale della sua umanità : in effetti non erano voci, quanto piuttosto dei suoni, che però sembravano voler comunicare un insegnamento al corpo che ascoltava e assorbiva come una spugna ogni singola sillaba, dominato da una sorta di possessione ultra terrena che ne bloccava i più intimi e profondi sistemi di autodifesa psicologica mediante quel tono che era stato in precedenza proprio di Horus e a cui non obbedire era impossibile.
Dopo altri , interminabili istanti, vide finalmente una luce : come pargolo, che annaspando e lottando cerca la sua via per arrivare nel mondo degli uomini per avere nel corso degli anni il cuore spossato dai dolori della vita, e finalmente vi giunge, esso si ritrovò giacente sul pavimento di un’ampia sala, cercando di sputare e vomitare quegli ultimi residui di liquido che rendevano difficoltosa la respirazione in un ambiente ricco di ossigeno, nudo e tremante, sentendosi ancora più indifeso e inerme che in precedenza, alle sue spalle un contenitore cilindrico che appariva appena esploso ; udì alcune voci non riuscendo a capire cosa stessero dicendo, e subito vide un numero indefinito di mani che calavano impietosamente su di lui, non curanti dello stato in cui esso si trovava. Mentre le mani lo trascinavano su uno strano mezzo dotato di ruote , riuscì a proferire : " Io…s-sono Nermer…l’eletto di Dio…" : prima di svenire nuovamente sentì delle ironiche risate, probabilmente indirizzate alla sua persona.
La luce lo investì, e pose istintivamente una mano davanti agli occhi, in modo da proteggersi contro i raggi di una luce risplendente in modo ancor più esuberante di quella del Sole : non appena i suoi occhi si abituarono alla lucentezza lacerante, si ritrovò seduto su un trono finemente decorato in oro, con bassorilievi eseguiti con una precisione da procacciarsi l’invidia dei più grandi maestri della terra ; la sua persona era a sua volta vestita con un abito tra i più fini ed eleganti, non inferiore in ricchezza alle tuniche dei grandi sacrifici dei sacerdoti più importanti, riccamente cucito con fili d’oro e decorato con pietre preziose. Si guardò intorno : il trono era posto al centro di una circonferenza di luce del raggio di tre metri, al cui esterno vi era solo un buio che sarebbe stato impenetrabili anche per gli splendidi occhi degli uccelli predatori : in esso, alcuni visi di persone incredibilmente anziane apparivano vicendevolmente, con i linementi sconvolti da riflessi e da ombre causate da una luce che sembrava arrivare da una sorgente luminosa posta molto in basso.Fissandolo pensose scomparirono : al loro posto Horus, agghindato anch’esso con una preziosa e fulgida armatura di giada e con un lungo bastone che terminava in una croce egizia, si avvicinò maestoso e imponente, con gli occhi serrati in un fare solenne. Di scatto li aprì e parlò : " Uomo, io sarò il tuo Dio, mentre tu incarnerai il mio verbo e la mia essenza in terra. "
Nermer, intimorito, radunò tutte le forze che aveva e chiese : " Mio Dio, come potrò io, umile e stolto essere umano, utilizzare il dono che tu mi hai offerto, quando, inerme, non seppi resistere alle persone che mi trassero poco prima in questo luogo ? "
Con un moto di stizza, Horus proferì : " Stolto e umile indubbiamente, ma umano non più : tu sei il primo di quella che sarà la stirpe degli Ish Gabbor : un radicale e completo cambiamento è avvenuto alla base della tua esistenza in quanto essere umano : ciò fa di te il primo della stirpe di essere che porterà, nei secoli a venire, al risveglio di immensi poteri e di sopiti segreti per la gloria di noi, che siamo i soli e unici Dei. Ora credi in me : un gesto della tua mano farà tremare intere città , il tuo sguardo sarà ricordato come quello di colui che non teme neppure le folgori divine, dove camminerai l’erba non germoglierà mai più ; il tempo oramai è giunto, va e porta a compimento il tuo destino, dominatore di Egitto." E così dicendo nuovi bagliori , forti ancora di più rispetto a quelli di prima, inondarono la stanza con violenza, e un sibilo acuto assordò le orecchie di Nermer, il quale si pose le mani alle orecchie e si buttò a terra dominato dalle convulsioni e dagli spasmi di un dolore che cresceva senza pari.
Il bagliore ebbe finalmente fine.
Le sue mani, che in quel momento insieme alle ginocchia sorreggevano il peso di tutto il suo corpo, sprofondavano leggermente su alcuni dei miliardi di granelli di sabbia che formavano il deserto, e già poteva iniziare a percepire il caldo torrido del sole nelle ore in cui è più alto ; si alzò, ancora sontuosamente vestito, cercando di scorgere in lontananza un qualche accampamento dove le sue membra, che già iniziavano ad avvertire la stanchezza, potessero trovare finalmente requie. Il deserto sembrava divorare la Terra stessa in ogni direzione, tanto la landa desolata si estendeva in lunghezza, ma finalmente riuscì a trovare la via : fu un lungo viaggio, durato giorni e giorni, e dominato dalla fatica che sempre più si insinuava nelle sue stanche carni e dal dubbio che l’incontro con Horus fosse stata una misera visione generata da chissà quale causa :l’unica cosa che placava la sua incertezza era l’ammirare quello splendido vestito, dono degli Dei, che sanciva la veridicità dell’incontro stesso.
Arrivò finalmente a quello che riconosceva essere l’accampamento principale del suo esercito, ma una triste visione gli si presentò : commilitoni ormai allo sbando stavano per arrivare al duello per dei miseri beni di sussistenza, altri si scioglievano nella mollezza dell’ozio, altri ancora si dedicavano a piaceri dissoluti, tutti insomma apparivano non come un esercito di uomini forgiati per la battaglia, ma come la peggiore massa di stolti dediti al vizio.
Nermer, non ancora riconosciuto dai suoi sottoposti, ma anzi deriso e chiamato " sacerdote " per via del suo abito, si diresse verso la tenda che un tempo gli era appartenuta e che ora era di proprietà del comandante di tale esercito : entrò con un ira profondissima, e vide davanti ai suoi occhi un uomo dall’aspetto rozzo, che mai aveva visto in precedenza, e che ora si atteggiava da leader con grande naturalezza.

Federico Mori

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