Le nove e trentacinque, capitava sempre più spesso di arrivare in ritardo. Camminare per Oxford Street, correre, raggiungere l’ufficio, cominciare una giornata qualunque davanti al solito computer. La strada era affollata, non riusciva a passare, donne, bambini, culattoni, giapponesi, cariatidi senza sesso rincorrevano emozioni che non sarebbero arrivate, tutti in quel dannatissimo giorno. Cosa ci facevano a quell’ora del mattino? Non potevano rimanere a dormire?
Le dieci meno un quarto, la terza volta che arrivava in ritardo quella settimana. Il Direttore si sarebbe fatto sentire, al solito. Tutta colpa dello sciopero in metropolitana. Un mese che continuava, avrebbero dovuto licenziarli tutti, uno dopo l’altro, il solo sistema per far funzionare le cose.
Si fermò.
Riavvolse le percezioni alla ricerca di un frammento di memoria – un fotogramma – che irrimediabilmente aveva attirato la sua attenzione. Ma si trattava di una cosa senza senso, sicuramente uno sbaglio.
Riprese a camminare. Incrociò una bella ragazza, buone gambe, appariscenti. Pensò a Silvia, meccanicamente. Avrebbe dovuto chiamarla, invitarla, avrebbe dovuto sentirla, un paio di settimane che non andava a letto con lei. Meglio non lasciarsi dimenticare.
In realtà non riusciva a pensare a Silvia, alla ragazza, non riusciva a pensare a nulla se non a quel fotogramma che continuava a presentarsi nella sua testa.
Si fermò nuovamente.
Controllò l’orologio, le dieci meno cinque. Era un’assurdità, ma voleva controllare. Invertì la direzione e venne investito da una donna che prese a insultarlo. Continuò a ritroso per un centinaio di metri… niente! Dove diavolo aveva visto quel cartello?
Tornò sino all’imbocco di Hyde Park. Niente, nulla. Doveva essere un pazzo, perdersi dietro una cosa così con tutto quello che lo aspettava in ufficio.
Le dieci e dieci.
Dietro-front, rischiava di essere licenziato.
Un cartello pubblicitario come tanti altri, trasversale rispetto al senso di marcia, sporgeva all’altezza di Regent Street. Si fermò stupefatto, rilesse l’insegna quattro o cinque volte, considerando l’ipotesi di essere impazzito.
Si guardò intorno. La gente continuava a camminare, a guardare le vetrine, continuava a parlottare più o meno vivacemente. Come se nulla fosse successo, come se quel cartello non fosse mai esistito.
"Antonio Sassetti è pregato di ritirare la sua tessera per il paradiso".
Mentre veniva travolto da una mandria di spagnoli in gita scolastica si sentì sicuro di una cosa soltanto, non dovevano esserci tanti Antonio Sassetti in quella zona di Londra. Dimenticò il direttore commerciale, il suo ufficio, dimenticò il lavoro, i suoi impegni, in un istante dimenticò Silvia e quant’altro e spinse il portone sotto l’insegna. Una scala illuminata, all’interno, conduceva ai piani superiori. Avrebbe sistemato questa cosa alla svelta, se qualche idiota si era divertito a organizzargli uno scherzo sarebbe stato deluso dal suo atteggiamento.
Salì i gradini due alla volta. Sul primo pianerottolo trovò un cartello simile a quello che aveva visto sulla strada. Una freccia lo invitava a proseguire… La scena si ripeté fino al sesto piano, l’ultimo. Ansimava per la fatica, era nervoso. Un’unica porta, aperta. Entrò senza esitazione, si trovò in una sala d’aspetto, alcune riviste sparse su un tavolino di marmo, due sedie appoggiate contro il muro. Ma Antonio non vide le riviste, le sedie, non vide il tavolino di marmo, e per la seconda volta rimase senza parole. Anzi, quando realizzò quello che stava accadendo, quando associò quella scena con immagini ripescate dalla memoria, quando si convinse che quello non era uno scherzo, dovette sedersi per non rischiare di svenire.
"Non ti preoccupare, ci vorranno al massimo cinque minuti".
Non era possibile. Erano dieci anni che non sentiva quella voce. Sua madre era morta in un incidente aereo, di ritorno da una vacanza. E adesso era lì, davanti a lui, ringiovanita di almeno vent’anni rispetto alla tragedia. Si appoggiò allo schienale della sedia, chiuse gli occhi. Era come paralizzato. Doveva essere un sogno. Peggio, un’allucinazione. Si augurò di svegliarsi al più presto.
Quando riaprì gli occhi sua madre era scomparsa, ma la porta al termine del corridoio era aperta. Una voce dall’interno lo invitò ad entrare. Si alzò a fatica per trovarsi in un ufficio come tanti altri: la scrivania, una libreria, una sedia di pelle dove gli fu indicato di sedersi.
Dall’altra parte del tavolo un ragazzo sfogliava un voluminoso plico di carte.
"Dunque Sassetti, lei deve ritirare la sua tessera per il paradiso"
"Prego?"
"Ho la richiesta da qualche parte. E’ arrivata con la posta delle nove. Una volta riuscivamo ad evadere le consegne molto più velocemente, ma la crescita della popolazione mondiale ci ha mandato un po’ in crisi." Si sporse leggermente in avanti. Abbassò il tono della voce: "Personale poco qualificato, lassù si tengono gli elementi migliori…"
"Veramente io…"
"Stia tranquillo Sassetti, non ci saranno problemi. Ci sono delle formalità, questo è ovvio, i controlli, ma nel suo caso dovrebbe tutto essere in regola."
Cominciava ad averne abbastanza. Si alzò.
"Io non ho chiesto nessuna tessera per il paradiso!"
L’altro rimase impassibile.
"E chi è lei per domandare la tessera? E’ sempre qualcun altro che avvia queste pratiche. Uffici che interpellano altri uffici in base ai tabulati anagrafici. Quello che conta è che alla fine le richieste arrivano su questa scrivania."
Ad Antonio Sassetti sorse un dubbio. Era una cosa che doveva essere domandata. Si sedette nuovamente.
"Questo significa che è arrivato il mio momento? Che sono morto?"
"Morto?"
"Sì, defunto, crepato…"
"Che significa?"
"Mi vuol prendere in giro?"
"Nient’affatto. Dica, le sembro forse morto?"
Cercò di concentrarsi sul suo interlocutore. Era un ragazzo più giovane di lui, in elegante doppiopetto. Decisamente non era morto.
"Sono io che non capisco."
"A noi non interessa sapere se lei capisce o non capisce. Non abbiamo tempo da perdere, ci occupiamo solo delle tessere per entrare in paradiso. La vuole questa tessera o no?" disse mentre la madre di Antonio entrava nella stanza. Anche lei era poco più che ventenne. Allungò una tessera magnetizzata al ragazzo in doppiopetto.
"Ecco la sua tessera Sassetti. Non ci sono stati problemi, come le avevo detto. Tutto regolare, dovrà solo mettere qualche firma."
"…"
"Insomma Sassetti, la vuole o non la vuole questa tessera?"
Si appoggiò allo schienale. Sua madre cominciò a carezzargli la testa, dolcemente, come quando era bambino. Era una cosa indescrivibile sentirla nuovamente vicino a lui. Quanto gli era mancata in quegli anni, quante volte aveva immaginato un momento così nei suoi sogni. Era tutto così incredibile che lasciò passare qualche secondo prima di prendere una decisione, voltarsi verso il ragazzo e sentire la sua voce rispondere semplicemente:
"No."
Si ritrovò in strada. Erano le undici meno cinque. Avrebbe dovuto percorrere tutta Oxford Street per raggiungere il suo ufficio. Intorno a lui la gente continuava a camminare, a guardare le vetrine, continuava a parlottare più o meno vivacemente.
Si fermò da Tesco per comprare una bottiglia di vino. Sarebbe stata un ottima sera per uscire con Silvia.
a Mario, Mauro, Matteo e Dante
La tessera
Raffaele Gambigliani Zoccoli