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Inevitabile Vendetta (II)

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Inevitabile vendetta


Parte II


La macchina era sostanzialmente una grande arancia metallica. A parte le dimensioni – era alta poco più di due metri – era a tutti gli effetti un’arancia.
La superficie era ricoperta di un tessuto poroso sintetizzato, una specie di gomma pesante, simile in tutto e per tutto alla scorza dell’agrume. L’intera massa era suddivisa in cinque grandi spicchi, regolarmente separati l’uno dall’altro da settantadue gradi angolari. L’interno dell’arancia era una struttura sostanzialmente fibrosa, in tutto simile alla polpa del frutto omonimo.
L’unica differenza degna di nota tra il frutto e questa arancia è che quest’ultima non ha nessuna intenzione di farsi mangiare.
Al contrario.

***

Prima di inserire il corpo del bastardo nella macchina, Luca estrasse dalla tasca interna della giacca una fialetta contenente un liquido trasparente di leggera colorazione rosea.
La fialetta non aveva alcuna etichetta sopra, solo un piccolo tappo di plastica gialla.
– Speriamo che funzioni – , sospirò Luca osservando il liquido passare lentamente dalla fialetta alla siringa, – Altrimenti mi sarò giocato la mia ultima carta. –
Quando l’ago entrò nel braccio del bastardo, non ci fu nessuna reazione. Il calmante iniettato con la pistola sembrava aver avuto un effetto maggiorato, forse a causa dell’indebolimento fisico. In effetti, da quel che ricordava Luca di quella maledettissima notte, allora era molto più robusto e somigliava solo lontanamente al corpo che ora si trovava sdraiato per terra, nudo come un verme. Per un attimo sondò l’ipotesi che si potesse trattare della persona sbagliata, ma mise subito da parte l’idea: nonostante il tempo l’avesse leggermente segnato, Luca non avrebbe mai potuto dimenticare quel volto.
Estrasse l’ago dal braccio ed il proiettile soporifero dalla coscia destra, si avvicinò al PC ed avviò il programma di gestione della macchina. Non appena questo partì, il puntatore del mouse si spostò sopra al tasto Apri e premette.
Un istante, e con un soffuso cigolio la macchina cominciò ad aprirsi, lentamente, rivelando a poco a poco il contenuto. Migliaia e migliaia di aghi di acciaio inossidabile costituivano la polpa fibrosa dell’arancia, tutti sottili ma robusti come setole e rivolti verso il centro, ad evocare la peluria di uno stomaco animale. Quando il movimento si arrestò, l’altare che prima mancava al secondo piano si mostrò in tutto il suo splendore, un macabro fior di loto aperto e pronto a ricevere ogni singolo raggio di sole. La distesa di aghi luccicava come un laghetto inquieto baciato dal sole, e la regolarità geometrica dei cinque petali evocava quasi un rispetto religioso, tanto che Luca rimase per qualche manciata di secondi ad ammirare la sua creazione.
Poi ritornò alla realtà, raccolse il corpo del bastardo, lo depose al centro della macchina e lo distribuì lungo i petali, le due gambe aperte lungo gli spicchi inferiori, le braccia distese lungo gli spicchi laterali ed il capo adagiato e rivolto verso l’alto nello spicchio rimanente.
Durante l’operazione Luca non poté evitare di ferire il corpo nella zona del basso dorso, ma quando questo fu distribuito su tutta la superficie, gli aghi formarono un vero e proprio letto, sostenendolo come una superficie solida. Finì di legare polsi, caviglie, capo e vita e si fermò, aspettando che la fiala cominciasse a fare effetto.
Fu allora che i ricordi cominciarono a riaffiorare.
Guardando con distacco il corpo del bastardo disteso sulla macchina, si abbandonò sempre più al flusso di pensieri e sensazioni che ormai avevano raggiunto una dimensione incontenibile, e ritornò mentalmente a quella notte.
Quanto era bella.
Per quanto tempo l’aveva desiderata poi, tanto da avere l’impressione di non riuscire ad aspettare un giorno in più per mesi e mesi, fino alla prima notte come suo marito. Il matrimonio era stato un pieno successo, e la notte sembrava promettere il paradiso totale dei sensi. Il corpo di Lisa era di una tale armonia ed equilibrio che sembrava quasi impossibile da credere, tale era la bellezza che manteneva in ogni posizione, in ogni movimento, in ogni singola configurazione di curve e forme e pelle, luccicante, profumata, trepidante.
Luca non avrebbe mai pensato di riuscire ad amare così, perché mai si era sentito tanto coinvolto in una storia d’amore prima di allora. Pensò addirittura per un attimo di non essere lui lì, in quel momento, sembrava quasi che le sue labbra, le sue mani, il suo corpo intero agissero senza la sua volontà tale era la perfezione dei gesti, dei baci, dei corpi, guidate da chissà quale divinità dell’amore che aveva preteso il controllo del suo corpo per amare una dea come Lisa.
Poi entrarono loro, e cadde l’inferno.
Senza nemmeno accorgersene, ancora rapito dalla bellezza di Lisa, Luca si ritrovò le braccia legate dietro la schiena sbattuto su una sedia e legato alla stessa da due energumeni coperti da un passamontagna nero.
Il terzo uomo, il bastardo, si ritrovò davanti Lisa in tutta la sua vergine bellezza, e rimase silenzioso ed immobile per qualche secondo, seguendola con lo sguardo assorto, mentre lei si accoccolava verso l’angolo della stanza più lontano, inciampando ed annaspando, cercando qualcosa con cui coprirsi il corpo.
Troppo tardi.
Luca fu costretto ad assistere alla scena con la fronte paonazza ed il corpo teso dal dolore nello sforzo di liberarsi, di urlare, di impedire in qualunque modo la violenza a Lisa. Ma non fu possibile. Le immagini di quei minuti, filtrate e distorte dalle lacrime dense e lancinanti che inondavano i suoi occhi iniettati di un odio viscerale si fissarono nella sua memoria come lunghe e profonde cicatrici che Luca avrebbe portato con sé per sempre.
Le grida, il dolore, il volto stravolto e rassegnato di Lisa, privato di tutta la sua femminilità, di tutta la sua personalità, quegli occhi blu che parevano esser diventati di opaco celeste, il dolore insopportabile di una verginità strappata via da un misero figlio di puttana uccisero tutto quello che Luca era stato fino a quel momento.
E uccisero anche Lisa, che morì durante il tragitto in ospedale per la violenza delle percosse subite.

***

Luca si buttò sul corpo del bastardo e cominciò a colpirlo con tutta la forza che aveva in corpo, con tutta la violenza che non aveva potuto sfogare quella notte, poi si immobilizzò.
– Troppo facile, troppo semplice, troppo in fretta. –
Si rialzò dal corpo, che ora era parzialmente trafitto dagli aghi lungo il lato destro, si aggiustò la giacca, inspirò profondamente e rimase così, fissando il bastardo dentro agli occhi, sotto le palpebre abbassate.
Fu allora che egli le aprì, e quando lo fece Luca avvertì un freddo brivido lungo la spina dorsale che gli diede la conferma ultima.
Era lui.
Rimasero a fissarsi per una manciata di secondi, studiandosi, cercando negli occhi dell’altro un segno di insicurezza o di paura, come un felino che giri attorno alla preda cercando il lato più debole, aspettando il momento più opportuno per fare breccia nelle sue difese e sconfiggerla definitivamente.
Poi ci fu lo scatto furioso, seguito da un acuto grido di dolore. Il bastardo aveva tentato, con una mossa fulminea, di svincolarsi, strappare le funi e mettersi al riparo, senza aver realizzato la situazione in cui si trovava. Il movimento brusco di rotazione del bacino aveva spostato il baricentro del corpo verso il lato destro, aumentando la pressione in quel punto e trafiggendo la carne in profondità. D’un tratto un fiotto di sangue rossastro sgorgò verso la base degli aghi ma in pochi secondi rallentò bruscamente la corsa e cominciò a scurirsi, perdendo fluidità ed acquistando una velata opacità. Contemporaneamente, sul monitor del PC un istogramma si impennò registrando la variazione di pressione e avvicinandosi alla soglia di tolleranza, poi si riacquietò, dondolando sul fondo scala per qualche secondo.
Gli occhi del bastardo si aprirono in un’espressione di panico incontrollabile, raggiungendo di nuovo la posizione più stabile e balbettando tra i denti – Chi sei, pazzo? – .
– Come, non ti ricordi di me?… – rispose Luca con una voce perfettamente pulita e controllata, – Non ricordi quella notte? – .
– Notte? Quale notte? Ma tu sei pazzo, slegami subito, SLEGAMI SUBITO! –
– Ma come… non vorrai andartene proprio ora che comincia lo spettacolo, non è vero? – ribatté Luca con tono sarcastico, mentre una goccia di sudore percorse all’impazzata il volto del bastardo finendo giù in fondo, nel buio baratro tra una fila di aghi e l’altra.
Contemplando la scena, a Luca parve quasi di sentire il rumore di quella goccia di sudore raggiungere la base della macchina, e i suoi occhi furono percorsi dal bagliore lucido di un insano piacere.
– Gu…guarda… devi stare attendo sai?… tu non sai… non sai chi sono io… quando non mi vedranno… mi verranno a cercare e… e allora… tu pagherai, chiunque tu sia… sei già morto, MORTO! –
– Giusto… io sono già morto… – il tono di voce di Luca non tradì nessuna preoccupazione, rimase perfettamente armonico e bilanciato, quasi spersonalizzato. – Sei stato tu a strapparmi la vita, ricordi quella notte? –
– Ricordi? – la voce di Luca si ingrossò, e con un passo lento e deciso entrò nel campo visivo del bastardo, lasciandosi guardare. Quando lo sguardo di questo voltò nella direzione di Luca, l’ondata del ricordo fuoriuscì dalla sua mente rimodellando la sua espressione in una smorfia di paura inoccultabile.
– No, senti, non volevo farlo… eravamo entrati solo per rubare, non volevo la tua donna…. – Luca fece un altro passo in avanti – …nessuno la voleva, solo che quei bastardi mi avevano fatto tirare di coca e io ero dannatamente fatto capisci? – …e un altro passo… – Non è colpa mia, io non volevo, io mi… dispiace, mi dispiace, mi… – …e un passo ancora… – Posso pagarti, ora ho fatto un sacco di soldi sai? io posso darti tutto quello che vuoi, posso… – …l’ultimo passo… – No ti prego, quello che vuoi, quello che vuoi ma non uccidermi, NON UCCIDERMI, NO! TI PREGO! NO! –
Luca si fermò, respirando l’odore della paura del suo nemico, godendo della voce singhiozzante, del respiro affannoso, delle migliaia e migliaia di luccicanti goccioline di sudore che ricoprivano il corpo freddo come un cadavere del bastardo, come la leonessa che trattiene il muso della preda tra le fauci aspettando che questa rinunci a combattere e si lasci morire rassegnata.
– Ti è piaciuto godere quella notte? – esclamò di colpo.
– No, no, affatto, te l’ho detto, non volevo, non capivo, ero fatto, FATTO CAPISCI? –
– Tu provavi piacere, ricordo benissimo i tuoi gemiti, solo che lei piangeva, te lo ricordi che piangeva vero? –
– No, non è vero, non ricordo, non ricordo niente di quella sera, te lo giuro! –
– Ricordo io, e questo basta. Come lei ha provato dolore quella notte, tu ora proverai mille volte il suo dolore mentre qualcuno proverà piacere violentando il tuo corpo, ed io, come allora, me ne starò a guardare. –
Luca tradì un sorriso soddisfatto, alzò un braccio e con abilità schioccò le dita della mano.
Un istante dopo, entrarono loro.

(continua)

Fabrizio Cerfogli
FabrizioCE@usa.net

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