Rizzoli – Pag 360 – Euro 18
Acciaio è uno di quei romanzi che ti riconciliano con la letteratura italiana contemporanea. Mentre scorri le pagine assorto nella lettura commenti a voce alta: “Non è vero che il romanzo è morto”, “Si scrivono ancora le storie”, “Non è finito il tempo di raccontare i sentimenti”. Era dalla lettura di romanzi come Lo schiaffo e Alla larga dai comunisti, entrambi di Luigi Carletti – editi da Baldini e Castoldi nel 2008 e nel 2009 – che non m’imbattevo in una così evidente capacità di raccontare storie, in questo caso ancor più sorprendente perché l’autrice ha soltanto venticinque anni.
Acciaio di Silvia Avallone è un romanzo di formazione che attualizza la lezione di Salinger e del suo fondamentale Giovane Holden. Racconta la storia della profonda amicizia tra Francesca e Anna, due ragazzine di tredici anni che diventano donne in una provincia depressa popolata da operai siderurgici, adulti disillusi bruciati da troppe sconfitte e ragazzi che sognano la fuga. Piombino è il palcoscenico degradato su cui recitano i personaggi, sempre curati e credibili, mai ridotti a stereotipi e a macchiette fumettistiche. Una via Stalingrado di pura fantasia – localizzabile nel quartiere periferico di mare noto come Salivoli e identificabile nel rione operaio dei Lombriconi – presenta casermoni in stile sovietico dove vivono operai della Lucchini, famiglie marginali, piccoli spacciatori, ladruncoli, perdigiorno, studenti e ragazzi che in estate popolano la piccola spiaggia davanti all’Isola d’Elba. Silvia Avallone sceglie di dare un nome di fantasia al teatro principale delle vicende perché rappresenta in un luogo geografico definito la vita problematica di ogni piccola città bastardo posto di gucciniana memoria. Non é Piombino l’obiettivo, ma la provincia italiana che cambia e la vita che pulsa lontana, distante milioni di anni luce dalle speranze dei giovani.
Ecco via Stalingrado a giugno, bruciata dal sole, descritta dalla penna ispirata di Silvia Avallone: Da una parte c’era il mare, invaso di adolescenti in quell’ora bestiale. Dall’altra il muso dei casermoni popolari. E tutte le serrande abbassate lungo la strada deserta. Il mare e i muri di quei casermoni sotto il sole rovente del mese di giugno, sembravano la vita e la morte che si urlavano contro. Non c’era niente da fare: via Stalingrado, per chi non ci viveva, vista da fuori, era desolante. Di più: era la miseria.
L’autrice riesce a raccontare la disillusione di una generazione che non crede più a niente e non si entusiasma per la politica, soprattutto non trova una via di fuga lottando per un ideale ma soltanto costruendosi un mondo irreale. Silvia Avallone racconta la droga presa nei cortili dei palazzi per noia, abitudine, per trovare il coraggio di affrontare un lavoro che distrugge la vita, per sentirsi uomini e affrontare una serata in discoteca o in un night a caccia di emozioni.
Il tema principale è l’amicizia tra due ragazzine, una bionda e l’altra mora, entrambe di una bellezza solare e sfacciata che vedono crescere i corpi femminili sotto lo sguardo interessato degli uomini. Un’amicizia che sfocia nel rapporto lesbico, appena sfumato dall’autrice che non calca la mano sui momenti morbosi e racconta con grazia i sentimenti, ma subito dopo muore per futili incomprensioni e gelosie, forse perché i loro giochi di ragazzine si sono spinti oltre il consentito. Francesca tenta di sostituire l’amica con Lisa, ma non è la stessa cosa, comincia un percorso di autodistruzione che la porterà a perdere la propria giovinezza sul palcoscenico del Gilda, un night club dove ballerà nuda e si concederà alle voglie represse di un pubblico di operai che sfoga le frustrazioni nel sesso.
Silvia Avallone ha una capacità descrittiva tipica solo dei grandi scrittori, perché riesce a catturare i sentimenti nelle frasi e a comunicare sensazioni descrivendo luoghi con un tono a metà strada tra l’elegiaco e il poetico. Il complesso di quattro casermoni da cui piovono pezzi di balcone e di amianto in un cortile dove i bambini giocano accanto a ragazzi che spacciano e vecchie che puzzano è il luogo dove si dipanano le esistenze dei protagonisti. Uomini e donne che si fanno un’idea del mondo restandone ai margini, credendo normale non andare in vacanza, non andare al cinema, non sfogliare il giornale e non leggere libri. Troviamo persino una citazione de La pioggia nel pineto di dannunziana memoria che costruisce una cadenza di eventi intorno a un tragico incidente avvenuto sotto la pioggia. La descrizione degli operai siderurgici e dei luoghi dove vivono è certosina, paziente, evoca sentimenti e ricordi.
Il Cotone, il quartiere dell’acciaio. Nudo come una tomba. Non una panetteria, un alimentari, un’edicola. Forse la serranda abbassata di un’officina. Lo spolverino prodotto dal carbone te lo sentivi entrare nei polmoni, appiccicarsi addosso, annerire la pelle.
Silvia Avallone racconta l’adolescenza, un’età potenziale dove tutto può ancora accadere e ogni possibile strada da prendere è ancora aperta, ma non scrive un facile romanzo giovanilistico alla Moccia che strizza l’occhio agli adolescenti. Acciaio è un romanzo problematico che parla di padri violenti che picchiano figlie disinibite ma sono loro i primi cattivi esempi, racconta di genitori assenti che fuggono da un destino operaio per trafficare in opere d’arte rubate e denaro falso, descrive il dramma delle morti sul lavoro in un’industria siderurgica, narra la perdita dei valori di una società che non crede più a niente, a parte sesso e denaro. I ragazzini sono la speranza, come diceva Pasolini, ma pure loro si perdono, purtroppo, perché diventano uomini e donne. Un romanzo pervaso da un pessimismo di fondo e da un andamento malinconico, come una poesia di Giovanni Pascoli o una ballata di Fancesco Guccini, ma che si legge con passione dalla prima all’ultima pagina, parteggiando per i protagonisti e fremendo per le loro vicissitudini. Acciaio appassionerà gli adolescenti che ci rivedranno la loro vita e tutte le persone che cercano in una storia la cruda realtà della vita quotidiana. Non piacerà a chi cerca l’elegia provinciale, il mito del cantuccio d’ombra romita, rifugio tranquillo dove stemperare i problemi quotidiani. La provincia toscana non è più così. Una raccomandazione: non fateci un film perché distruggerete l’incanto e la poesia della pagina scritta, non riproducibile dallo scarso mestiere di certi registi italiani contemporanei che seguono le orme di Moccia e Muccino. A meno che non si scoprano nuovi emuli di Pasolini e Germi, capaci di farsi cantori di un’epopea ambientata ai tempi in cui la classe operaia non può andare in Paradiso.
Silvia Avallone ha venticinque anni ed è al suo primo romanzo.
Al contrario dei suoi protagonisti – ha trovato la sua strada.